giovedì 10 novembre 2011

L'Europa castigata da un mito rivoluzionario

Un “frullato di nazioni” opposto all’armonia carolingia rinnegata...


di Carlos Patricio Del Campo* 
*Economista laureato presso la University of California, Berkeley


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Benché dolorosa, l’unica soluzione per l’attuale crisi economica 
che devasta il continente europeo è l’abbandono dell’euro. 
L’insistenza sulla moneta unica non si giustifica, se non per motivi politico-ideologici.


Il modo come l’Europa si presenta oggi al mondo assomiglia a uno spettacolo di frenetici che hanno perso l’uso della ragione. Di fronte alla crisi che si espande, nell’ambiente politico europeo predomina l’indecisione, l’incertezza, la contraddizione e la mancanza di logica; a loro volta le fanno eco la maggior parte dei media con opinioni differenti, incomplete e contraddittorie, come se esistesse il timore di indicare schiettamente tutta la realtà.


Il vero impasse  
D'altronde, si capisce, è in gioco la sopravvivenza stessa del progetto “unione europea” tanto cullato  dai vertici  che governano l’Europa. È stata escogitata la costruzione di un’Europa unita, artificialmente strutturata secondo certe norme stabilite da una cupola, con la collaborazione di un parlamento e di una banca centrale europei e l’hanno posta sotto l’egida di un regime monetario a moneta unica - l’euro. Il frutto promesso di questa nuova Europa sarebbe un balzo in avanti nel progresso e nel benessere economico-sociale delle popolazioni dei 27 paesi membri. E questo senza la necessità, nei suoi aspetti basici, che tali paesi rinunciassero alle proprie strutture di governo individuali. Questa preservazione dell’ indipendenza politica ed economica - anche se entro certi limiti - rese il progetto presentabile agli occhi dell’opinione pubblica.


Tuttavia, il “tallone di Achille” è rappresentato proprio da questa indipendenza enunciata nel progetto. Infatti, in un regime a moneta unica, qualsiasi scompiglio fiscale o monetario, oppure l’esistenza di qualche tipo di rigidità nei prezzi e nei salari - frutti di pressioni politiche interne, o di una gestione sbagliata dell’autorità economica di un paese-membro - colpisce necessariamente e in modo diretto la sua economia reale, cioè, il livello dell’occupazione e del reddito. E, dipendendo dall’entità di questo scompiglio, il paese “ammalato” può contagiare tutto l’insieme. Non esiste la possibilità di alterare il tasso di cambio, che in queste situazioni potrebbe agire come una specie di ammortizzatore, diminuendo le conseguenze negative che questi scompigli causano all’occupazione e al reddito del paese colpito, evitando quindi il contagio.


In realtà, per un conglomerato di nazioni, la presenza di una moneta unica e l’indipendenza dei suoi membri nelle decisioni di campo economico-finanziario sono, in un certo modo, termini contraddittori. È un problema difficile da risolvere quando la rinuncia a questa indipendenza in favore di un governo centrale sembra essere un’utopia irrealizzabile; soprattutto trattandosi di paesi di grande tradizione storica, e marcati da differenze culturali profonde e ricche di consuetudini, come nel caso delle nazioni europee.


Questo è il vero impasse in cui si trova oggi l’Unione Europea. Ossia, come uscire dalla crisi mantenendo l’indipendenza politica ed economica dei suoi paesi-membri, specialmente in materia fiscale e monetaria.


La realtà dei fatti
Il primo paese a entrare in crisi è stata la Grecia - nel 2010, per l’incapacità di  pagare i propri debiti. In questo momento, il Portogallo e la Spagna sono sotto i riflettori, cioè, nell’imminenza di una crisi nei propri bilanci di pagamento. Qualcosa di simile  sorge all’orizzonte anche per l’Italia. 
Il comune denominatore di queste situazioni è la mancanza di disciplina fiscale, ossia, si spende oltre al consentito, accumulando un debito che, a causa del suo ammontare, minaccia di non poter essere risarcito. 


Quindi, la prima reazione del mercato è di sospendere i nuovi prestiti ed ostacolare il rinnovo di quelli precedenti, generando così un’esplosione negli interessi da pagare. E, alla fine di questo percorso, si arriva celermente al fallimento.


Per evitare questa situazione estrema, le nazioni sotto pressione si vedono obbligate a spendere meno - “stringono la cintura” - provocando la disoccupazione e il calo del reddito. E, come conseguenza naturale, si generalizza lo scontento tra la popolazione con prevedibili danni sociali e politici.


Questa situazione rende facilmente vulnerabili le banche creditrici, generando instabilità in tutto il sistema finanziario, specialmente quello europeo. Per evitare il contagio, gli organi finanziari internazionali, (la Banca Centrale Europea, l’FMI, ecc.)     corrono in aiuto delle banche creditrici comprando i titoli “marci” delle nazioni in crisi, in possesso di queste banche. Si tenta così di salvarle da un’eventuale bancarotta, addossandosi il debito non rimborsabile. Nel contempo, le autorità centrali premono i paesi in difficoltà perché mettano in pratica una disciplina fiscale che equilibri le spese con i redditi. In questo modo mirano a creare le condizioni affinché, in un lasso di tempo più o meno lungo, possano pagare i titoli che sono rimasti in possesso di questi organi finanziari internazionali. 


Chi assume il costo di questo “corri corri”? Il paese o i paesi in crisi e tutti gli altri appartenenti all’insieme - e dentro l’insieme, specialmente i paesi più forti e disciplinati. Detto con altre parole, il danno è generale, con una distribuzione del carico a seconda delle situazioni particolari e dei negoziati politici. Dinanzi a questa situazione, è del tutto ragionevole che i cittadini dei paesi più forti e disciplinati si domandino perché dovrebbero addossarsi una buona parte di questo costo. Peggio ancora, chi li assicura che, una volta risolta la situazione, non ci sarà una recidiva. Sono domande valide e difficili da rispondere.


La via d’uscita
Il lettore avvertirà facilmente che tutto questo costo politico, sociale ed economico emerge, in ultima analisi, a causa  del tentativo di sorreggere l’euro, la moneta unica dell’Unione Europea. 


Da quel che fin qui è stato detto non sembra difficile concludere che i paesi membri dell’Unione Europea sono davanti a una alternativa: rinunciare alla conduzione delle proprie economie o rinunciare all'euro. Rinunciare alla conduzione delle proprie economie significherebbe rinunciare, in non piccola misura, alla propria indipendenza politica. Orbene, grazie a Dio, questa via è totalmente inaccettabile  per la maggioranza degli europei. Resta, dunque, l’ipotesi di abbandonare la moneta unica.


La via d’uscita è senz’altro dolorosa. Ma, per lo meno, si avvia nella giusta direzione. Insistere con le pseudo-soluzioni che non risolvono il problema di fondo non sembra essere un atteggiamento sapiente. Sarebbe come se qualcuno assumesse un’aspirina per curarsi un cancro. Il cammino del progresso dell’Europa non passa dall’euro o da qualsiasi altra moneta unica. Basterebbero un mercato aperto per i prodotti e le risorse, nonché una politica economica individuale corretta da stabilità monetaria e fiscale. In un ambiente tale, la varietà dei meriti e delle qualità che caratterizzano i popoli europei, come frutto di antiche tradizioni che ancora sopravvivono, brillerà con un maggior splendore, per il fascino e vantaggio del mondo intero.


In questa situazione i paesi “indisciplinati” verrebbero “castigati” dal mercato. Ma, complessivamente, le vie d’uscita sarebbero più soavi e senza il pericolo di un grave contagio. Insistere sulla moneta unica non ha un fondamento economico di rilevante importanza. In effetti, e soprattutto, si giustifica soltanto in merito a scopi politico-ideologici.


Catolicismo agosto 2011




Chiavi di lettura

La magistrale opera del Prof. Plinio Corrêa de Oliveira, “Rivoluzione e Contro-Rivoluzione” fornisce oculate chiavi di lettura per capire i diversi aspetti del processo rivoluzionario in corso, nonché le indicazioni per una sapiente reazione controrivoluzionaria. Applichiamo quindi un brano di RCR a una realtà attuale.

L’utopia rivoluzionaria: la Repubblica Universale

Comunque, riponendo tutta la sua fiducia nell’individuo isolatamente considerato, nelle masse o nello Stato, la Rivoluzione confida nell’uomo. Reso autosufficiente mediante la scienza e la tecnica, l’uomo può risolvere tutti i propri problemi, eliminare il dolore, la povertà, l’ignoranza, l’insicurezza, insomma tutto quanto diciamo essere conseguenza del peccato originale o attuale. 
Un mondo nel cui seno le patrie unificate in una Repubblica Universale siano soltanto espressioni geografiche; un mondo senza disuguaglianze né sociali né economiche, diretto mediante la scienza e la tecnica, la propaganda e la psicologia, alla realizzazione, senza il soprannaturale, della felicità definitiva dell’uomo: ecco l’utopia verso la quale la Rivoluzione ci sta avviando. 
In tale mondo la Redenzione di Nostro Signore Gesù Cristo è del tutto inutile. Infatti l’uomo avrà superato il male con la scienza e avrà trasformato la terra in un “cielo” tecnicamente perfetto. E con il prolungamento indefinito della vita nutrirà la speranza di vincere un giorno la morte. (R-CR, Parte I, Cap. XI, 3).


Una ‘domanda-quiz’


In preparazione la ‘moneta unica mondiale’






E se l’intera umanità, 
seguendo certe norme stabilite da una super-cupola, 
provasse a superare tutti i problemi economici introducendo una moneta globale? 

Quali effetti produrrebbe? 



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