mercoledì 19 agosto 2009

La crociata del secolo XX

Nel Medioevo i crociati versarono il loro sangue per liberare il sepolcro di nostro Signore Gesù Cristo dalle mani degli infedeli e fondare un regno cristiano in Terra Santa.


Oggi, in Ungheria e in Polonia, in Cecoslovacchia e in Cina, scorre di nuovo il sangue dei figli della Chiesa. Perché? Per liberare la Cristianità dal giogo dell’anticristo comunista e restaurare nel mondo il regno di Cristo. Ma che cos’è il regno di Cristo, ideale supremo dei cattolici, e, quindi, meta costante di questa rivista? Cercheremo di definirlo con l’enumerazione di principi che di seguito presentiamo, come segno delimitante la nostra attività.

Il regno di Cristo

La Chiesa cattolica è stata fondata da nostro Signore Gesù Cristo per perpetuare fra gli uomini i benefici della Redenzione. Il suo fine si identifica, dunque, con quello della Redenzione stessa: espiare i peccati degli uomini per i meriti infinitamente preziosi dell’Uomo-Dio; rendere in questo modo a Dio la gloria esterna che il peccato Gli ha sottratto; e aprire agli uomini le porte del Cielo. Questo fine si realizza completamente sul piano soprannaturale, e in ordine alla vita eterna. Esso trascende assolutamente tutto quanto è semplicemente naturale, terreno, perituro. L’ha affermato nostro Signore Gesù Cristo, quando ha detto a Ponzio Pilato: «Il mio regno non è di questo mondo» (1). In questo modo la vita terrena si differenzia, e profondamente, dalla vita eterna. Ma queste due vite non costituiscono due piani assolutamente separati l’uno dall’altro. Nei disegni della Provvidenza vi è una relazione intima fra la vita terrena e la vita eterna. La vita terrena è la via, la vita eterna è il fine. Il regno di Cristo non è di questo mondo, ma è in questo mondo la via per la quale vi giungeremo. Come l’accademia militare è la via per la carriera delle armi, o il noviziato è la via per il definitivo ingresso in un ordine religioso, così la terra è la via per il Cielo.

Abbiamo un’anima immortale, creata a immagine e somiglianza di Dio. Quest’anima è creata con un tesoro di naturali disposizioni al bene, arricchite con il battesimo del dono inestimabile della vita soprannaturale della grazia. Nel corso della vita, dobbiamo sviluppare queste disposizioni al bene fino alla loro pienezza. A questo modo, la nostra somiglianza con Dio, che in un certo senso era ancora incompleta e semplice potenziale, diventa piena e attuale. La somiglianza è la fonte dell’amore. Diventando pienamente somiglianti a Dio, siamo capaci di amarLo pienamente, e di attirare su di noi la pienezza del suo amore. Siamo così preparati alla contemplazione di Dio faccia a faccia, e a quell’eterno atto di amore, pienamente felice, al quale siamo chiamati in Cielo. La vita terrena è, dunque, un noviziato durante il quale prepariamo la nostra anima al suo vero destino, che è la visione di Dio faccia a faccia, e l’amore per Lui per tutta l’eternità.

Presentando in altri termini la stessa verità, possiamo dire che Dio è infinitamente puro, infinitamente giusto, infinitamente forte, infinitamente buono. Per amarLo, dobbiamo amare la purezza, la giustizia, la fortezza, la bontà. Se non amiamo la virtù, come possiamo amare Dio, che è il Bene per eccellenza? D’altro canto, poiché Dio è il Sommo Bene, come può amare il male? Poiché la somiglianza è la fonte dell’amore, come può amare chi è totalmente dissimile da Lui, chi è coscientemente e volontariamente ingiusto, codardo, impuro, malvagio? Dio deve essere adorato e servito soprattutto in spirito e verità (2). Perciò dobbiamo essere puri, giusti, forti, buoni, nel più intimo della nostra anima. Ma se la nostra anima è buona, devono esserle necessariamente tutte le nostre azioni, perché l’albero buono può dare soltanto buoni frutti (3). Perciò è assolutamente necessario, per conquistare il Cielo, non solo amare il bene e detestare il male nel nostro intimo, ma praticare il bene ed evitare il male con le nostre azioni.

Ma la vita terrena è qualcosa di più della via alla beatitudine eterna. Che cosa faremo in Cielo? Contempleremo Dio faccia a faccia, alla luce della gloria, che è la perfezione della grazia, e Lo ameremo completamente e senza fine. Orbene, l’uomo gode già su questa terra della vita soprannaturale per il battesimo. La fede è un seme della visione beatifica. L’amore di Dio, che egli pratica crescendo nella virtù ed evitando il male, è già lo stesso amore soprannaturale con cui adorerà Dio in Cielo. Il regno di Dio si realizza nella sua pienezza nell’altro mondo. Ma per tutti noi comincia a realizzarsi in uno stato germinale già in questo mondo. Così come in un noviziato si pratica già la vita religiosa, anche se in uno stadio preparatorio; in un’accademia militare un giovane si prepara per l’esercito... vivendo la stessa vita militare. E la santa Chiesa cattolica in questo mondo è già un’immagine, e ancora più di un’immagine, un’autentica anticipazione del Cielo. Per questa ragione, tutto quanto i santi Vangeli ci dicono del regno dei Cieli può essere applicato appropriatamente ed esattamente alla Chiesa cattolica, alla fede che essa ci insegna, a ciascuna delle virtù che ci inculca.

Questo è il senso della festa di Cristo Re. Re celeste anzitutto. Ma Re il cui governo si esercita già in questo mondo. Re che possiede di diritto l’autorità suprema e piena. Il Re legifera, comanda e giudica. La sua regalità diventa effettiva quando i sudditi riconoscono i suoi diritti, ubbidiscono alle sue leggi. Orbene, Gesù Cristo possiede su di noi tutti i diritti. Egli ha promulgato leggi, dirige il mondo e giudicherà gli uomini. A noi compete rendere effettivo il regno di Cristo ubbidendo alle sue leggi. Questo regno è un fatto individuale, se considerato rispetto all’ubbidienza che ogni anima fedele presta a nostro Signore Gesù Cristo. Infatti, il regno di Cristo si esercita sulle anime; e, quindi, l’anima di ciascuno di noi è una parte del territorio di giurisdizione di Cristo Re. Il regno di Cristo sarà un fatto sociale se le società umane Gli presteranno ubbidienza. Si può, dunque, dire che il regno di Cristo diventa effettivo sulla terra, nel suo senso individuale e sociale, quando si conformano alla legge di Cristo gli uomini sia nell’intimo della loro anima che nelle loro azioni, e le società nelle loro istituzioni, leggi, costumi, manifestazioni culturali e artistiche. Per quanto concreta, evidente e tangibile sia la realtà terrena del regno di Cristo - come, per esempio, nel secolo XIII -, è necessario non dimenticare che questo regno è soltanto una preparazione e un proemio. Nella sua pienezza, il regno di Dio si realizzerà in Cielo: «Il mio regno non è di questo mondo» (4).

Ordine, armonia, pace, perfezione

L’ordine, la pace, l’armonia, sono caratteristiche essenziali di ogni anima ben formata, di ogni società umana ben costruita. In un certo senso, sono valori che si confondono con la nozione stessa di perfezione. Ogni essere ha un fine specifico, e una natura adeguata al raggiungimento di questo fine. Così, un pezzo di orologio ha un fine proprio, e, per la sua forma e la sua struttura, è adatto alla realizzazione di questo fine. L’ordine è la disposizione delle cose secondo la loro natura e il fine che è loro proprio. Si dice che vi ordine nell’universo sidereo perché tutti i corpi celesti sono ordinati secondo il loro fine e la loro natura. Esiste armonia quando le relazioni fra due esseri sono conformi alla natura e al fine di ciascuno. L’armonia è l’operare delle cose, le une in rapporto alle altre, secondo l’ordine. L’ordine genera la tranquillità. La tranquillità dell’ordine è la pace. Non merita di essere chiamata pace qualsiasi tranquillità, ma soltanto quella che deriva dall’ordine: la pace della coscienza è la tranquillità della coscienza retta: non può essere confusa con il letargo della coscienza ottusa. Il benessere fisico produce una sensazione di pace, che non può essere confusa con l’inerzia dello stato di coma.

 Quando un essere è interamente disposto secondo la sua natura, è in uno stato di perfezione. Così una persona con grande capacità di studio, un grande desiderio di studiare, messa in una università nella quale abbia tutti mezzi per fare gli studi che desidera, è posta, dal punto di vista della vita di studio, in condizioni perfette. Quando le attività di un essere sono interamente conformi alla sua natura, e tendono completamente al loro fine, queste attività sono, in un certo senso, perfette. Così, la traiettoria degli astri è perfetta, perché corrisponde interamente alla natura e al fine di ciascuno di essi. Quando le condizioni in cui un essere si trova sono perfette, lo sono anche le sue operazioni, ed esso tenderà necessariamente al suo fine con il massimo di costanza, di vigore e di perizia. Così, se un uomo è in condizioni perfette per camminare, cioè se vuole e può camminare, camminerà in modo irreprensibile.

La conoscenza vera di cosa sia la perfezione dell’uomo e della società dipende da una nozione esatta della natura e del fine dell’uomo. Anche la capacità, la fecondità, lo splendore delle azioni umane, sia individuali che sociali, dipendono dalla conoscenza della nostra natura e del nostro fine. In altri termini, il possesso della verità religiosa è la condizione essenziale dell’ordine, dell’armonia, della pace e della perfezione.

La perfezione cristiana

Il Vangelo ci indica un ideale di perfezione: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei Cieli» (5). Questo consiglio ci è stato dato da nostro Signore Gesù Cristo, ed Egli stesso ci insegna a metterlo in pratica. Infatti, Gesù Cristo è la somiglianza assoluta della perfezione del Padre celeste; il modello supremo che tutti dobbiamo imitare. Nostro Signore, le sue virtù, i suoi insegnamenti, le sue azioni, sono l’ideale definito della perfezione alla quale l’uomo deve tendere. Le regole di questa perfezione sono contenute nella legge di Dio, che nostro Signore Gesù Cristo «non è venuto ad abolire, ma a completare» nei precetti e consigli evangelici. E perché l’uomo non cadesse in errore nell’interpretare i comandamenti e i consigli, nostro Signore Gesù Cristo ha istituito una Chiesa infallibile, che ha la protezione divina per non errare mai in materia di fede e di morale. La fedeltà di pensiero e di azioni rispetto al magistero della Chiesa è quindi il modo con cui tutti gli uomini possono conoscere e praticare l’ideale di perfezione che è Gesù Cristo. Questo hanno fatto i santi, che, praticando in modo eroico le virtù insegnate dalla Chiesa, hanno realizzato l’imitazione perfetta di nostro Signore Gesù Cristo e del Padre celeste. È tanto vero che i santi sono giunti alla più alta perfezione morale, che lo proclamano gli stessi nemici della Chiesa, quando non sono accecati dal furore dell’empietà. Di san Luigi, re di Francia, Voltaire scrisse: «Non è possibile all’uomo portare più oltre la virtù». Lo stesso si potrebbe dire di tutti i santi.

 Dio è autore della nostra natura, e, quindi, di tutte le disposizioni e perfezioni che in essa si trovano. In noi, soltanto i difetti, frutti del peccato originale o dei peccati attuali, non provengono da Dio. Il decalogo non può essere in contrasto con la natura che Egli stesso ha creato in noi: infatti, dal momento che Dio è perfetto, non vi può essere contraddizione nelle sue opere. Perciò il decalogo ci impone azioni che la nostra stessa ragione ci mostra essere conformi alla natura, come onorare il padre e la madre, e ci proibisce azioni che con la semplice ragione vediamo essere contrarie all’ordine naturale, come la menzogna. La perfezione intrinseca della legge, e la perfezione personale che acquisiamo mettendola in pratica, consistono, sul piano naturale, nel fatto che tutte le operazioni conformi alla natura dell’agente sono buone.

In conseguenza del peccato originale, è rimasta nell’uomo la propensione a compiere azioni contrarie alla sua natura rettamente intesa. Così, egli è rimasto soggetto all’errore nel campo dell’intelligenza, e al male nel campo della volontà. Questa propensione è tanto accentuata che, senza l’aiuto della grazia, non sarebbe possibile agli uomini né conoscere né praticare, durevolmente e nella loro totalità, i precetti dell’ordine naturale. Rivelandoli, sull’alto del Sinai, istituendo, nella Nuova Alleanza, una Chiesa destinata a proteggerli contro i sofismi e le trasgressioni dell’uomo, e i sacramenti e altri mezzi di pietà destinati a fortificarli con la grazia, Dio ha posto rimedio a questa insufficienza dell’uomo. La grazia è un aiuto soprannaturale, destinato a irrobustire l’intelligenza e la volontà dell’uomo per permettergli la pratica della perfezione. Dio non rifiuta la grazia a nessuno. Quindi la perfezione è accessibile a tutti.

Un infedele può conoscere e praticare la legge di Dio? Riceve la grazia di Dio? Bisogna distinguere. In via di principio, tutti gli uomini che hanno contatto con la Chiesa cattolica ricevono grazia sufficiente per riconoscere che è vera, entrare in essa e praticare i comandamenti. Quindi, se qualcuno rimane volontariamente fuori dalla Chiesa, se è infedele perché rifiuta la grazia della conversione, che è il punto di partenza di tutte le altre grazie, si chiude da sé le porte della salvezza. Ma se qualcuno non ha mezzi per conoscere la santa Chiesa - un pagano, per esempio, il cui paese non abbia ricevuto la visita di missionari - ha la grazia sufficiente per conoscere almeno i principi più essenziali della legge di Dio, e metterli in pratica, perché Dio non rifiutala salvezza a nessuno. Bisogna tuttavia osservare che, se la fedeltà alla legge esige sacrifici talora eroici da parte degli stessi cattolici che vivono nel seno della Chiesa, bagnati dalla sovrabbondanza della grazia e di tutti i mezzi di santificazione, è di gran lunga superiore la difficoltà che incontrano nel praticarla quanti vivono lontani dalla Chiesa, e fuori da questa sovrabbondanza. Questo spiega come siano così rari - veramente eccezionali - i gentili che mettono in pratica la legge.

L’ideale cristiano della perfezione sociale


Se ammettiamo che in una determinata popolazione la generalità degli individui pratichi la legge di Dio, che effetto ci si può aspettare da ciò per la società? Questo equivale a chiedersi: se in un orologio ogni pezzo lavora secondo la sua natura e il suo fine, che effetto ci si può aspettare da ciò per l’orologio? Oppure, se ogni parte di un tutto è perfetta, che cosa si deve dire del tutto? È sempre un poco rischioso fare esempi ricavati dal campo della meccanica trattando argomenti umani. Atteniamoci all’immagine di una società in cui tutti i membri fossero buoni cattolici, tracciata da sant’Agostino: immaginiamo «[...] un esercito composto di soldati della tempera che la medesima dottrina di Cristo vuole; dei governatori di provincie, dei mariti, dei padri, delle spose, dei figli, dei padroni, dei servi, dei re, dei magistrati e perfino dei contribuenti e degli esattori del fisco, ornati delle qualità che richiede la cristiana dottrina, e vedremo se [i pagani] avranno il coraggio di dire che essa osteggia il benessere dello Stato, o non anzi si decideranno a proclamarla grande pegno di salute per lo Stato, quando ciascuno ad essa si conformi» (7).

In un altro scritto il santo Dottore, rivolgendosi alla Chiesa cattolica, esclama: «Tu muovi ed insegni, con argomenti adattati ai fanciulli, quelli che sono fanciulli; con magnanimi sensi i giovani, e con calma solenne i vecchi, secondo che richiede non pure l’età quale apparisce nello stato del corpo, ma quale si scorge in quello dello spirito. Tu fai che le spose se ne stiano con casta e fedele obbedienza soggette ai mariti, non a soddisfacimento di passioni, ma per averne figli, e procedere di conserva nel governo della famiglia. Tu metti i mariti a sovrastare alle mogli, non perché tolgano a soggetto di trastullo la debolezza del sesso, ma perché siano ad esse legati coi vincoli dì un amore sincero. Tu per via di una cotale servitù ingenua sottoponi i figli ai genitori, e costoro metti sopra i figli per via di un dominio pieno di tenerezze [...]. Tu i cittadini ai cittadini, i popoli ai popoli, e la umanità tutta intera, rammentando i primi progenitori, congiungi non pure con i legami della convivenza, ma ancora con quelli di una cotale fratellanza. Insegni ai re ad esser provvidi verso i popoli, ed i popoli ammonisci ad esser buoni sudditi dei re. Sei accorta maestra ad indicare a cui si debba fare onore, a cui si debba tributare affetto, a cui riverenza, a cui timore, a cui conforto, a cui consiglio, a cui esortazione, a cui freno, a cui rimprovero, a cui pena, mostrando come non ogni cosa a ciascuno si convenga di dare, sebbene si sia ad ognuno debitore della carità, ed a veruno non si abbia mai da far torto» (8). Sarebbe impossibile descrivere meglio l'ideale di società interamente cristiana. L'ordine, la pace, l'armonia, la perfezione potrebbero in una società essere portate a un punto più elevato? Una rapida osservazione ci basta per completare l'argomento. Se oggigiorno tutti gli uomini praticassero la legge di Dio, non si risolverebbero rapidamente tutti i problemi politici, economici, sociali che ci tormentano? E che soluzione ci si potrà aspettare per essi finché gli uomini vivranno nella inosservanza abituale della legge di Dio?

La società umana ha qualche volta realizzato questo ideale di perfezione? Indubbiamente. Lo dice l'immortale Leone XIII: operata la Redenzione e fondata la Chiesa, «[...] l'uomo, come destato da diuturno e mortifero letargo, scorse il lume della verità da tanti secoli desiderato e cercato invano: allora qual verità fondamentale conobbe d 'esser nato a destini senza paragone più degni ed eccelsi, che non siano le fragili e caduche cose sensibili, delle quali sino allora aveva fatto termine unico ai suoi pensieri e alle sue brame; e questo essere il carattere costitutivo della vita umana, e questa la legge suprema, a cui, come a fine, dover tutto riferirsi, che l'uomo uscito dalla mano di Dio, a Dio finalmente ritorni.

«Suscitata da questo principio e assisa su questa base, tornò in essere la coscienza della dignità umana: accolsero i cuori il sentimento della comune fratellanza; indi, com'era naturale che seguisse, doveri e diritti parte perfezionati, parte creati di fondo, e di conserva con questa, un fiorire non più visto di tali virtù, quali nessuna delle antiche filosofie sarebbe giunta a pur sospettare. Per la qual cosa altro corso presero gli intendimenti umani, la vita, i costumi: e diffusa ampiamente la cognizione del Redentore, penetrate l'intime vene dell'umano consorzio dalla sua virtù, vincitrice dell'ignoranza e dei vizi antichi, ne seguì quel felice rivolgimento di cose che diè vita alla civiltà cristiana e trasformò di sana pianta le sembianze del mondo» (9).

La civiltà cristiana, la cultura cristiana

Questa luminosa realtà, fatta di un ordine e di una perfezione piuttosto soprannaturali e celesti che naturali e terreni, si chiamò civiltà cristiana, prodotto della cultura cristiana, che a sua volta è figlia della Chiesa cattolica. Con cultura dello spirito possiamo intendere il fatto che una determinata anima non si trova abbandonata al gioco disordinato e spontaneo delle operazioni delle sue potenze - intelligenza, volontà, sensibilità - ma, al contrario, con uno sforzo ordinato e conforme alla retta ragione, ha acquisito in queste tre potenze qualche arricchimento: allo stesso modo il campo coltivato non è quello che fa fruttificare tutti i semi che il vento deposita in esso disordinatamente, ma quello che, per effetto del lavoro razionale dell’uomo, produce qualcosa di utile e di buono. In questo senso, la cultura cattolica è la coltivazione dell’intelligenza, della volontà e della sensibilità secondo le norme della morale insegnata dalla Chiesa. Abbiamo già visto che essa si identifica con la perfezione stessa dell’anima. Se sarà presente nella generalità dei membri di una società umana - anche se in gradi e modi adeguati alla condizione sociale e all’età di ciascuno -, essa sarà un fatto sociale e collettivo. E costituirà un elemento - il più importante - della perfezione sociale stessa.

Civiltà è lo stato di una società che possiede una cultura, e che ha creato, secondo i principi di base di questa cultura, tutto un insieme di costumi, di leggi, di istituzioni, di sistemi letterari e artistici peculiari. Una civiltà sarà cattolica, se sarà il risultato fedele di una cultura cattolica e se, quindi, lo spirito della Chiesa sarà il principio normativo e vitale peculiare dei suoi costumi, delle sue leggi, delle sue istituzioni, dei suoi sistemi letterari e artistici. Se Gesù Cristo è il vero ideale di perfezione di tutti gli uomini, una società che applichi tutte le sue leggi deve essere una società perfetta, la cultura e la civiltà nate dalla Chiesa di Cristo devono essere per forza, non solo la migliore delle civiltà, ma anche l’unica autentica. Lo dice il santo Pontefice Pio X: «[...] non vi è vera civiltà senza civiltà morale, e non vi è vera civiltà morale senza vera religione» (10). Ne deriva con evidenza cristallina che vi è autentica civiltà soltanto come conseguenza e frutto della vera religione.

La Chiesa e la civiltà cristiana

S’inganna singolarmente chi suppone che l’azione della Chiesa sugli uomini sia semplicemente individuale, e che essa formi persone, ma non popoli, né culture o civiltà. Infatti, Dio ha creato l’uomo naturalmente socievole, e ha voluto che gli uomini, in società, lavorassero gli uni per la santificazione degli altri. Perciò ci ha creati anche influenzabili. Tutti abbiamo, per la pressione stessa dell’istinto di socialità, la tendenza a comunicare in una certa misura le nostre idee agli altri, e, in una certa misura, a ricevere la loro influenza. Lo si può affermare sia a proposito dei rapporti fra individuo e individuo che di quelli fra l’individuo e la società. Gli ambienti, le leggi, le istituzioni in cui viviamo esercitano su di noi un’influenza, svolgono su di noi un’azione pedagogica. Resistere interamente a questo ambiente, la cui azione ideologica ci penetra quasi per osmosi e attraverso i pori, è frutto di grande e ardua virtù. E per questa ragione i primi cristiani sono più degni di ammirazione per aver conservato integro il loro spirito cattolico, benché vivessero in seno a una società pagana, che per aver affrontato le belve del Colosseo.
La cultura e la civiltà sono dunque mezzi fortissimi per agire sulle anime. Agire per la loro rovina, quando la cultura e la civiltà sono pagane. Per la loro edificazione e la loro salvezza, quando sono cattoliche. Come può, dunque, la Chiesa disinteressarsi della produzione di una cultura e di una civiltà, accontentandosi di agire su ogni anima a titolo semplicemente individuale? D’altronde, ogni anima su cui la Chiesa opera, e che corrisponde generosamente a tale azione, è come un focolaio o un seme di questa civiltà, che diffonde attivamente ed energicamente attorno a sé. La virtù traspare e contagia. Contagiando, si propaga. Agendo e propagandosi, tende a trasformarsi in cultura e civiltà cattoliche.
 Come abbiamo visto, è carattere peculiare della Chiesa la produzione di una cultura e di una civiltà cristiana. La produzione di tutti i suoi frutti in un’atmosfera sociale pienamente cattolica. Il cattolico deve aspirare a una civiltà cattolica come l’uomo imprigionato in un sotterraneo desidera l’aria libera, e il passero imprigionato anela a riconquistare gli spazi infiniti del cielo. E questa è la nostra finalità, il nostro grande ideale. Avanziamo verso la civiltà cattolica che potrà nascere dalle rovine del mondo moderno, come dalle rovine del mondo romano è nata la civiltà medioevale. Avanziamo verso la conquista di questo ideale, con il coraggio, la perseveranza, la decisione di affrontare e di vincere tutti gli ostacoli, con cui i crociati marciavano verso Gerusalemme. Infatti, se i nostri antenati seppero morire per conquistare il sepolcro di Cristo, non vorremo noi - figli della Chiesa come loro - lottare e morire per restaurare qualcosa che vale infinitamente di più del preziosissimo sepolcro del Salvatore, cioè il suo regno sulle anime e sulle società, che Egli ha creato e salvato perché lo amino eternamente?

(Plinio Corrêa de Oliveira. Articolo comparso con il titolo “A cruzada do século XX”, in Catolicismo, gennaio 1951, anno I, n. 1)

Note

(1) Gv. 18, 36.
(2) Cfr. ibid. 4,25.
(3) Cfr. Mt. 7, 17-18.
(4) Gv. 18, 36.
(5) Mt. 5, 48.
(6) Ibid., 5, 17.
(7) SANT’AGOSTINO, Epistula CXXXVIII ad Marcellinum, cap. 2, n. 15, cit. in LEONE II, Enciclica lmmortale Dei sulla cristiana costituzione degli Stati, del 1°-11-1885, in Atti di Leone XIII, Tipografia dell’Immacolata. Mondovì 1902-1903, pag. 192.
(8) SANT'AGOSTINO, De moribus Ecclesiae catholicue, cap. XXX, n. 63, cit. ibid., p. 191-192.
(9) LEONE XIII, Enciclica “Tametsi” futura su Gesù Cristo Redentore, del 1°-11-1900, ibid., pp. 606-607.
(10) SAN PIO X, La concezione secolarizzata della democrazia. Lettera agli Arcivescovi e ai Vescovi francesi “Notre charge apostolique”, del 25-8-1910.

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