giovedì 3 novembre 2011

Una primavera autunnale. Cosa sta realmente accadendo nei paesi musulmani

"La nuova Libia sarà ispirata alla legge islamica"

"L'onda islamica conquista Tunisi"

"La nuova Libia rinascerà sul Corano"

"Verso un nuovo ordine nel mondo arabo: avanza l'islamismo"

"Tunisia: il salafismo esce dall'ombra"

Ecco alcuni titoli di giornale di questi ultimi giorni.

Sembra che si stiano avverando le peggiori previsioni. Dall'inizio della famigerata "primavera araba", mentre certa propaganda salutava una nuova era storica per il mondo musulmano, fatta di libertà, modernità e democrazia, un piccolo numero di analisti  — allora fuori dal coro — avvertivano come l'unico elemento che collegava i vari movimenti ribelli fosse la prevalenza delle fazioni islamiste.

Pur con tanti, gravissimi e palesi difetti, i vari dittatori nord-africani avevano comunque tenuto a bada le fazioni più radicali dell'islamismo. Robert Fisk, corrispondente dal Medioriente del britannico «The Independent», scriveva all'inizio dell'esplosione araba: "Credo che la maggior parte dei dittatori corrotti della regione cercheranno sempre l'appoggio di noi occidentali, come ha fatto Ben Ali con la Francia, la Gran Bretagna e gli altri paesi europei e gli Stati Uniti, ovviamente. Lo faranno perché questi leader, che non si presentano certo come democratici, garantiscono il pugno di ferro per tenere sotto controllo le fazioni islamiche violente e Al-Qaeda".

In Tunisia le moschee erano sotto la stretta tutela del Ministero degli affari religiosi. Nella predica del venerdì, gli imam dovevano fare atto di omaggio al presidente della Repubblica. I luoghi di culto venivano aperti soltanto durante le ore di preghiera ed era severamente vietato attardarsi o raggrupparsi nei suoi paraggi, fosse soltanto per commentare con amici le parole della preghiera.

Situazione non molto diversa in Libia, dove Gheddafi controllava e teneva a freno l'estremismo islamico. Un comitato di saggi islamici a Tripoli preparava in anticipo il testo dell'insegnamento religioso del venerdì, e lo mandava a tutte le moschee del paese. L'imam doveva leggere quel testo senza aggiungere né togliere nulla, pena la perdita del posto. Tramite un accordo stipulato dal figlio di Gheddafi, Saif-al-Islam, tutte le cellule di Al-Qaeda nel Paese erano state smantellate.

Ma, per ragioni che restano uno dei più fitti misteri di tutta questa faccenda, l'Occidente ha invece scelto di buttarsi nell'avventura, contribuendo, anche militarmente, al rovesciamento di questi regimi.

Una delle voci fuori dal coro era quella di Magdi Cristiano Allam che, il 26 marzo scorso, scriveva su «Il Giornale»: "Nella guerra esplosa in Libia e che vede l'Italia in prima linea, l'unica vera certezza, al di là delle reali intenzioni di chi l'ha scatenata, è che a vincere saranno gli integralisti islamici e che, di riflesso, le popolazioni delle sponde meridionale e orientale del Mediterraneo saranno sempre più sottomesse alla sharia, la legge coranica che nega i diritti fondamentali della persona e legittima la dittatura teocratica. Un esito che è esattamente l'opposto dei proclami ufficiali di Sarkozy e Obama straripanti delle parole d'ordine ‘libertà' e ‘democrazia'".

Detto e fatto. La caduta dei regimi ha permesso il ritorno in patria dei leader radicali in esilio e la riapertura dei centri legati alle fazioni più estremiste del salafismo e di Al-Qaeda. Il riemergere di queste fazioni ha fatto sì che i partiti sino ad ora ritenuti la punta di lancia dell'islamismo, come i Fratelli Musulmani in Egitto e il Nahda in Tunisia, si potessero permettere il lusso di presentarsi come "moderati". "Non siamo integralisti", ripeteva Hamadi Jebali, Segretario generale del movimento Nahda.


Un moderatismo che, però, non riesce a controllare (o non vuole controllare) le fazioni estremiste, col conseguente dilagare della violenza. Dall'assalto all'ambasciata di Israele al Cairo, all'assalto alla NessmaTV in Tunisi, al massacro dei cristiani copti in Egitto, un po' ovunque queste fazioni stanno padroneggiando le piazze. Alle bandiere verdi della ribellione araba si affiancano sempre di più quelle nere dei salafiti di Hizb Attahrir.

E adesso i partiti islamisti si apprestano a scalare il potere per via elettorale, a cominciare dalla Tunisia, dove le urne hanno consacrato la vittoria del Nahda. "L'onda islamica conquista Tunisi", titolava il «Corriere della Sera».

A novembre si voterà in Egitto, dove si prospetta un successo dei Fratelli Musulmani. Quando, nel 2005, il regime di Mubarak aveva timidamente aperto a possibili elezioni libere, i Fratelli avevano ottenuto un sorprendente 50% dei consensi. Gli attuali sondaggi gli attribuiscono intorno al 35%.

La "primavera araba" rischia perciò di trasformarsi, velocemente, in un precoce autunno. "La primavera araba si prepara a diventare qualcosa di più complicato e gelido", sentenzia «La Repubblica». "Nella Tunisia di questi giorni è calata una cappa soffocante di tensione e paura", avverte un blog specializzato in notizie sul mondo arabo. "Dopo una stagione di ribellione, nel Nord-Africa inizia una stagione di paura", scrive Roula Khalaf, esperta arabista e corrispondente del «Financial Times».

Ancora una volta, la storia sembra dare ragione ai "profeti di sventura"...


Il salafismo

Il termine “salaf” in arabo significa “devoti antenati”, e vorrebbe significare i compagni di Maometto. La corrente salafita propugna un ritorno alle origini, alla purezza dell’insegnamento dell’islam, non contaminato da nessuna tradizione e, soprattutto, libero da qualsiasi influenza occidentale e, in particolare, cristiana. “L’Occidente, con il suo benessere, con le sue vetrine scintillanti, con la sua potenza economica può essere considerato la tentazione di seguire una via diversa da quella insegnata da Allah”, commenta l’arabista prof. Giovanni di Dio Cesari.

I salafiti rifiutano qualsiasi interpretazione moderna del Corano e degli hadith – i racconti dei fatti e delle gesta di Maometto – imitando alla lettera il comportamento del profeta. La dottrina salafita inserisce lungo la linea di discendenza dei teologi più rigoristi dell’islam wahabita.

Il salafismo racchiude due anime. Coincidendo nell’intento di islamizzare l’Occidente, le due correnti si differenziano nei mezzi. Mentre la corrente “politica” predica un’espansione attraverso la predicazione e la conquista pacifica, la corrente “jihadista” proclama invece la guerra santa per sopraffare i miscredenti. A quest’ultima appartiene, per esempio, Al Qaeda.


L'islam alla riconquista di Spagna?

di Augusto de Izcue



"Cosa è successo a Valencia, ai suoi scintillanti giardini?

 "Cosa è successo a Murcia e a Játiva, città di eccelsa bellezza?

"E a Jaén?

"Cosa è successo a Córdoba, dove le scienze sedevano come su un trono e le arti fiorivano come in primavera, e la gloria tutto illuminava?

"Cosa è successo a Sevilla, alle sue feconde riviere, rivestite di fiori profumati?"


Così piangeva il poeta arabo Abu-l-Baqa’Salah al-Rondi la perdita di El Andalus, ovvero il regno islamico stabilito nella Penisola iberica a partire del secolo VIII, e faticosamente riconquistato dai cristiani in una lunghissima guerra durata quasi otto secoli, dalla battaglia di Covadonga nel 722 alla caduta di Granada nel 1492. Il Califfato di Cordoba era un fior all’occhiello dei seguaci di Allah, nonché una spina nel fianco dell’Europa cristiana. La sua perdita ha significato un durissimo colpo.

I maomettani non hanno mai digerito questa perdita e da sempre anelano la ricostituzione del grande califfato iberico. “Molte famiglie musulmane ancor oggi conservano le chiavi delle case dove presumibilmente abitavano i loro antenati in El Andalus”, rivela lo scrittore e giornalista di origini marocchine Said Jedidi, direttore della prima TV musulmana in spagnolo. Finanziata dallo sceicco ultraconservatore Abdelaziz al Fawzan, imparentato con la famiglia reale saudita, questa TV trasmette da Cordoba.

Questa aspirazione alla ricostituzione di El Andalus ha ricevuto un ulteriore impulso dopo gli attentati alle Torri Gemelle. “Dopo l’11 settembre la questione di El Andalus è passata ad occupare un posto centrale nelle preoccupazioni dei musulmani”, secondo lo storico Abdeluahed Akmir, direttore del Centro Studi su El Andalus, di Rabat, Marocco.

La presenza musulmana in Spagna è sempre stata assai cospicua, ed è in continuo aumento anche grazie alla conversione di spagnoli alla fede di Allah. Gli anagrafi registrano 1.300.000 musulmani, non considerando i clandestini. Esistono 974 moschee ufficiali e un’infinità di piccoli centri islamici più o meno pubblici. Nel 1992, alla presenza del Re Juan Carlos, è stata inaugurata a Madrid la più grande moschea di Europa. Dal 2005, il governo socialista ha introdotto l’ora di religione musulmana nelle scuole. Nel 2009 è stato costituito il primo partito politico maomettano, Rinascimento e Unione di Spagna, guidato da Mustaf Barrach, professore di arabo a Granada.

È chiaro che non tutta questa massa è costituita da seguaci di Bin Laden. Ma recenti rapporti dei servizi di intelligence, resi noti dal quotidiano «ABC» di Madrid, mostrano una inquietante avanzata dei settori più radicali, come quello salafita, al quale appartenevano gli attentatori che hanno fatto saltare i treni a Madrid nel 2004, provocando 180 morti e 1900 feriti.

Nel 2010 in Spagna si sono realizzati ben dieci convegni salafiti, con una partecipazione media di 2-3 mila persone, a confronto di uno solo nel 2008. Gli specialisti vedono in questo incremento la concretizzazione del appello di Ayman Al Zawahiri per “disinfettare El Andalus dagli infedeli”.

In un video diffuso in Spagna nel 2009, il luogotenente di Bin Laden aveva esibito una mappa dell’antico Califfato di Cordoba, conclamando “i figli di El Andalus” a “riprendersi ciò che gli appartiene”.

Gli specialisti calcolano che almeno 80 imam spagnoli fanno capo a questa corrente, la quale viene seguita in almeno il 10% delle moschee. La diffusione della corrente salafita è soprattutto vistosa in Andalusia, Catalogna e Aragona. L’imam di Lerida, per esempio, difende apertamente lo stabilimento di una “polizia religiosa”, ispirata alla Muttawa saudita, per imporre la sharia in Catalogna.

“La diffusione in Spagna delle reti più integraliste dell’islam non è un messaggio allarmista bensì una costatazione di fatto, registrata dai servizi di informazione dello Stato”, commenta un editoriale dell’«ABC». E continua: “Il salafismo è una corrente dell’islam che predica un’applicazione stretta delle regole del Corano. Ad essa appartiene Al Qaeda, ed è tramite essa che la rete terrorista cerca di attuare la sua meta di restaurare il califfato nei territori dove un giorno c’era una presenza islamica in Spagna”.

In numeri sempre crescenti, leader salafiti provenienti dalla Giordania, Egitto, Kuwait e Arabia Saudita, stanno approdando in Spagna per presiedere giornate di preghiera e di studio alle quali partecipano migliaia di musulmani. “La vasta formazione teologica di questi predicatori, unita al grande carisma che dimostrano, trasforma le loro visite in efficacissimi strumenti di radicalizzazione”, commenta un rapporto del Ministero dell’Interno. E continua: “I loro discorsi, sempre densi e articolati, contrastano pietosamente con la scarsa cultura religiosa di molti imam residenti in Spagna, causando grande impatto sulla comunità musulmana. Questi leader difendono una visione ultra-ortodossa, che in pratica impedisce qualsiasi integrazione nelle società occidentali”.

Alla fine di questi incontri, si fa una questua destinata alla costruzione di nuovi centri salafiti.

La crescita del salafismo in Spagna coincide poi con l’occupazione di ampie zone del deserto di Sahel da parte del gruppo terrorista Maghreb Islamico, facente capo a Al-Qaeda. Dal Maghreb, questo gruppo è in grado di minacciare l’Europa, anche attraverso l’infiltrazioni di finti “immigrati”. Negli ultimi anni, le forze di sicurezza spagnole hanno smantellato decine di cellule terroristiche di questo gruppo.

(Tratto da «Radici Cristiane», aprile 2011)

Fonte: Newsletter Tradizione Famiglia Proprietà - Ottobre 2011

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