Senza paragone più pericoloso si dimostrò il 1° Agosto un ammutinamento in Civitavecchia; detenuti, che servivano da rematori sulla galea privata pontificia, si sollevarono al grido di: <<Viva la libertà, viva l’Assemblea nazionale francese!>>. Essi acquietaronsi solo innanzi alla minaccia del comandante la fortezza di farli fucilare. Nello stesso mese avvenne anche un ammutinamento a Castel S. Angelo, e così pure torbidi a Velletri ed a Fano, nell’ultimo luogo per il pane cattivo. Allorché a Parigi si moltiplicarono gli attacchi alla Chiesa ed alla persona del Pontefice, anche l’uditore di nunziatura Quarantotti dové al principio di agosto 1791 lasciare il suo posto. Il 14 settembre 1791 l’Assemblea nazionale decise la riunione di Avignone colla Francia. Inoltre all’agente non ufficiale Bernard tuttora dimorante in Roma, venne ingiunto di astenersi d’ora in poi da ogni rapporto col governo del Papa. Taluni cardinali proposero di protestar subito solennemente per la presa di Avignone. Ma il Papa lo fece solo il 26 ottobre in una lettera diretta a tutte le Potenze, concepita in termini assai forti.
Mai ancora in tutti i secoli, giudica l’ambasciatore veneziano Antonio Capello il 19 novembre 1791, la Santa Sede si è trovata in posizione tanto critica. La Francia l’ha attaccata sul terreno ecclesiastico e su quello politico. V’è il pericolo, che altri sovrani imitino questo esempio. Perciò qui si è vista con piacere la formazione della coalizione, ma anche questa speranza minaccia di fallire. La risposta della maggior parte delle Potenze alla protesta per la presa di Avignone riuscirono deprimenti, perché in sostanza non contenevano se non speranze nel futuro. In conseguenza delle emozioni il Papa già alla fine di agosto del 1791 era ammalato di febbre, in dicembre si ammalò di nuovo. A causa della sua bocca storta si parlò di un attacco apoplettico, tanto più che questo male era ereditario nella sua famiglia. Egli, però, non voleva sapere di aversi riguardo: suo padre, egli diceva, aveva avuto la stessa malattia, eppure aveva vissuto ancora 18 anni. Egli seguitò a dedicarsi come prima a tutti gli affari; il 16 dicembre 1791 ricevette l’abbè Maury, giunto poco prima a Roma, in una udienza di tre ore e mezza. L’ambasciatore veneziano Capello, che riferiva la cosa, esprimeva ancora una volta la propria opinione, che in Francia si giungerebbe spontaneamente ad una controrivoluzione.
Mai ancora in tutti i secoli, giudica l’ambasciatore veneziano Antonio Capello il 19 novembre 1791, la Santa Sede si è trovata in posizione tanto critica. La Francia l’ha attaccata sul terreno ecclesiastico e su quello politico. V’è il pericolo, che altri sovrani imitino questo esempio. Perciò qui si è vista con piacere la formazione della coalizione, ma anche questa speranza minaccia di fallire. La risposta della maggior parte delle Potenze alla protesta per la presa di Avignone riuscirono deprimenti, perché in sostanza non contenevano se non speranze nel futuro. In conseguenza delle emozioni il Papa già alla fine di agosto del 1791 era ammalato di febbre, in dicembre si ammalò di nuovo. A causa della sua bocca storta si parlò di un attacco apoplettico, tanto più che questo male era ereditario nella sua famiglia. Egli, però, non voleva sapere di aversi riguardo: suo padre, egli diceva, aveva avuto la stessa malattia, eppure aveva vissuto ancora 18 anni. Egli seguitò a dedicarsi come prima a tutti gli affari; il 16 dicembre 1791 ricevette l’abbè Maury, giunto poco prima a Roma, in una udienza di tre ore e mezza. L’ambasciatore veneziano Capello, che riferiva la cosa, esprimeva ancora una volta la propria opinione, che in Francia si giungerebbe spontaneamente ad una controrivoluzione.
Le speranze in una coalizione delle Potenze contro la Francia, dovettero divenire nel Papa, che a Natale compì tutte le affaticanti funzioni religiose, ancora più forti, allorché giunsero notizie dell’andamento favorevole delle trattative per una alleanza difensiva austro-prussiana, che fu conclusa il 7 febbraio 1792. La morte improvvisa dell’imperatore Leopoldo II (1° Marzo) suscitò a Roma costernazione non minore che a Vienna; ma si apprese presto, che Francesco II avrebbe continuato la politica del padre. Destò soddisfazione anche la notizia, che Francesco insisteva per la restituzione di Avignone al Papa.
La notizia dell’assassinio del re di Svezia Gustavo III, pervenuta a Roma alla fine dell’aprile 1792, turbò assai il Papa, poiché Gustavo era stato amico dei cattolici e nemico dichiarato della Rivoluzione francese, per combattere la quale meditava grandi piani. L’ambasciatore veneziano giudica fin dal principio assai freddamente le prospettive di riuscita della prima guerra di coalizione. Egli non si nasconde che cosa significhi la lotta con una così grande nazione e quali pericoli si celino sempre per necessità nelle coalizioni di diverse Potenze. Anche il fatto, che l’Inghilterra perseguiva una politica egoistica, era visto chiaramente dal Capello, come pure che da principio non c’era da contare sopra un’accessione della Spagna, del Portogallo e della Svezia. Infine egli rileva che la crisi polacca, in cui era impegnata la Russia, minacciava di dividere anche Austria e Prussia.
Il Papa allora era preoccupato da timori per la sicurezza dello Stato ecclesiastico. Egli fece la scoperta, che i torbidi di Fano nell’agosto 1791 erano stati istigati da emissari dell’Assemblea nazionale francese; a Ferrara venne scoperto un club formato su modello francese. Il Papa quindi ordinò nuove espulsioni di sospetti e rese di nuovo più rigoroso il controllo dei passaporti. Le notizie sugli armamenti francesi a Tolone facevano temere un attacco a Civitavecchia. Nuove contromisure ordinate per la protezione della costa sotto la direzione del tesoriere Ruffo dimostrarono purtroppo bentosto l’incapacità dello Stato ecclesiastico per ogni provvedimento mediocremente guerresco. L’entrata di francesi sul territorio pontificio venne resa ancor più difficile nel luglio 1792 e fu emanato un rigoroso editto per la polizia sugli stranieri, perché si riteneva di avere scoperto un complotto francese di assassinio contro la persona del Papa, circa questo tempo di nuovo completamente ristabilito. Pio VI, che precedentemente non aveva voluto nessuna misura per la sua protezione, ora ne ordinò. In agosto vennero tenute preghiere e processioni per la protezione del trono e dell’altare in Francia.
La notizia della caduta della monarchia in Francia e dei massacri di settembre diffuse anche a Roma indignazione e terrore. Contemporaneamente le prime monache espulse giungevano dalla Francia a Civitavecchia. Data la persistente, estrema ostilità popolare contro i francesi, il governo pontificio cercò di impedire eccessi. Allorché dopo l’uccisione di tre compatrioti la Guardia svizzera voleva per vendetta assalire l’Accademia artistica francese a Palazzo Mancini, il cardinale Segretario di stato l’impedì. Quanta cura ansiosa si mettesse a cercar di non compromettersi, risulta dal contegno riguardo alla domanda di aiuto del Piemonte contro la minaccia di un attacco francese. Pio VI sapeva assai bene quanto poco ci fosse da fidarsi del governo di Torino. Tuttavia la questione di un appoggio fu discussa seriamente. In seguito ad una domanda di aiuto del Re Vittorio Amedeo, portata da un corriere straordinario, il Papa convocò al principio di ottobre una apposita Congregazione cardinalizia, la quale decise di eccitare tutte le Potenze italiane ad appoggiare la Savoia, ma dichiarò impossibile concedere sussidi.
Già l’8 ottobre giunse la notizia, che i francesi avevano invaso la Savoia senza dichiarazione di guerra e conquistato Nizza. L’inviato savoiardo richiese adesso l’invio immediato di navi pontificie per la protezione della Sardegna - cioè l’entrata aperta del Pontefice nella lotta contro la repubblica francese. Questa pretesa era tanto più strana in quanto le sconfitte, specialmente la perdita di Nizza, erano state dovute principalmente alla viltà delle truppe savoiarde. A questa circostanza si dette assai rilievo anche nella Congregazione cardinalizia; così pure al fatto che per allora lo Stato ecclesiastico non aveva nulla da temere dai francesi, né per terra né per mare. Il pericolo minacciava non dal di fuori, ma dal di dentro; la penetrazione delle nuove idee ammoniva imperiosamente a pensare alla sicurezza della casa propria. I sostenitori di questa opinione potevano riferirsi al fatto che riviste e fogli volanti francesi eccitatori venivano letti con ardore a Roma, che gli alunni dell’Accademia artistica francese diffondevano idee rivoluzionarie, che anche a Bologna ed in altri luoghi dello Stato della Chiesa si manifestavano fenomeni preoccupanti.
Non solo questo fermento e la completa insufficienza delle misure difensive del Ruffo, ma anche la critica situazione finanziaria suscitavano necessariamente le più grandi preoccupazioni. L’aumento della carta-moneta, al quale il governo pontificio aveva dovuto far ricorso già prima del 1789, non poteva che accrescere le strettezze di denaro. Le cedole, che prima non erano state mai inferiori all’importo di 10 scudi, già nel 1790 venivano emesse per la metà di questa somma. A una liquidazione di questi biglietti in contanti si poteva pensare tanto meno, in quanto le monete pontificie scomparivano assai rapidamente dalla circolazione, venendo esportate a Milano, Genova, Firenze, Napoli. Gli inconvenienti, che necessariamente derivavano dalla costante emissione di carta- moneta, vengono descritti con molta perspicuità dall'ambasciatore veneziano Capello; egli chiama comoda, ma assai pericolosa, questa maniera di procacciar danaro.
Quanto meno lo Stato ecclesiastico, nonostante tutti i costosi armamenti, poteva contare sulle forze proprie, con tanta più ansia si guardava in Roma alla guerra di coalizione. Subito al principio la forte resistenza dei francesi e la cauta condotta degli alleati avevano svegliato serie preoccupazioni. Si oscillò per due mesi tra la speranza nella coalizione e il timore dei francesi, la cui flotta era stata spedita sotto l’Ammiraglio La Touche Tréville contro Napoli, cosicché si temeva che essa prendesse Civitavecchia.
Al principio di novembre giunse la notizia terribile, che il comandante supremo della coalizione, Carlo Ferdinando di Brunswick, aveva sgombrato il suolo della Francia. Per quanto i membri della Congregazione cardinalizia deliberassero durante il giorno dopo, risultava con spaventosa chiarezza, che lo Stato ecclesiastico era senza difesa. <<Non abbiamo né truppe, né flotta>>, scrisse Pio VI il 3 novembre 1792 alla Zarina, per indurla a inviare le sue navi nel Mediterraneo. L’ambasciatore veneziano diceva in quel tempo che i provvedimenti di difesa venivano presi <<in fretta e senza chi sappia dirigerli, la tattica militare non essendo la scienza de’ preti, onde spendesi molto denaro in una difesa più apparente che reale. Tutto essendo confusione a Civitavecchia, la maggior difesa dello stato pontificio è il libeccio>>, che in questa stagione rendeva impossibile uno sbarco. A Roma vennero ordinate preghiere, ma il panico era così grande, che molti già si preparavano alla fuga. Anche il card. Herzan e il Brunati ci pensavano. Il Papa, nelle angustie che lo circondavano da ogni parte, manteneva la sua pia fiducia nella Provvidenza. Alla domanda su ciò che farebbe, se i francesi venissero a Roma, egli rispose: << Il mio posto è alla porta della chiesa di S. Pietro>>.
Non furono tanto le novelle infauste giunte in novembre delle vittorie degli eserciti repubblicani sul Reno e in Belgio, quanto il riconoscimento della repubblica francese da parte di Napoli, a costringere anche lui ad un cambiamento di contegno. Coloro che erano attorno a Pio VI, e che man mano ch’egli invecchiava acquistavano sempre più influenza, gli fecero presente con insistenza, che non si poteva persistere nell'atteggiamento di semplice aspettativa finora tenuto di fronte al governo di Parigi senza esporsi ai più grandi pericoli. Egli quindi piegò. Allorché l’inviato francese a Napoli, Mackau, fece far rimostranze al cardinale Zelada perché il 22 settembre due artisti francesi, lo scultore Chinard ed il pittore Ratter, erano stati arrestati per aver portato la coccarda tricolore e fatta una statua della Libertà che abbatte il Fanatismo, ambedue furono messi in libertà. Un altro passo conciliante fu l’istruzione data ai comandanti dei porti dello Stato ecclesiastico di fornire alle navi francesi viveri dietro pagamento.
(Ludwig VON PASTOR, Storia dei Papi. Dalla fine del medio evo, Desclée, Roma 1955, vol. 16-3, 1775-1799)
Continua..... |
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