Per lo Yad Vashem la figura di Pio XII è «controversa» e collocata nella «Sala della vergogna». Ma la didascalia che presenta il Pontefice è storicamente corretta? Il professor Philippe Chenaux, 49 anni, biografo di Pacelli (Pio XII. Diplomatico e pastore, San Paolo), docente di Storia della Chiesa moderna e contemporanea alla Pontificia università Lateranense, ritiene di no. E la contesta, demolendola punto per punto.
Professore, il cardinale Segretario di Stato Pacelli nel 1933, firmando il concordato con la Germania, riconobbe il regime nazista?
«Il concordato non ebbe affatto questo significato e lo stesso Pacelli fece pubblicare subito un articolo sull’Osservatore Romano nel quale si spiegava che la Santa Sede, con quella ratifica, non riconosceva le dottrine politiche del governo tedesco (…)».
Pio XII accantonò un’enciclica antirazzista che il predecessore voleva invece pubblicare?
«Anche questa affermazione è discutibile: non c’è infatti alcun documento che lo dimostri. Da storico faccio invece rilevare che tutti i contenuti antirazzisti di quella bozza trovarono poi spazio proprio nella prima enciclica di Pio XII, la Summi Pontificatus, pubblicata nell’ottobre 1939».
Nella didascalia si dice che il Papa non protestò per la deportazione degli ebrei.
«Anche questo non è vero. Pio XII parlò in almeno due occasioni. Nel dicembre 1942, durante il radiomessaggio di Natale, il Papa denunciò la sorte di “centinaia di migliaia di persone” che senza “colpa propria” e a motivo della loro appartenenza razziale, venivano deportate e sterminate. Poi parlò in un’allocuzione ai cardinali, nel 1943. Per il resto, fece la scelta, sofferta, di evitare altre denunce pubbliche nell’interesse delle vittime stesse, per agire e salvare più vite umane possibile».
È vero che non intervenne per gli ebrei romani razziati dal ghetto il 16 ottobre 1943?
«Anche questa affermazione è da contestare. Intervenne invece subito, fece convocare l’ambasciatore tedesco per una protesta, usò vari canali per far cessare subito la deportazione. Nella capitale della cristianità si aprirono le porte dei conventi per accogliere i perseguitati. È un dato di fatto che la maggioranza degli ebrei romani si salvò».
Il Papa restò «neutrale» durante il conflitto?
«Neutrale non è la definizione corretta. La Santa Sede rimase piuttosto imparziale, nel senso che non prendeva parte alla guerra. Pio XII si rifiutò anche di benedire, dopo il 1941, la crociata antisovietica e anticomunista di Hitler e Mussolini. Papa Pacelli non fu affatto neutrale: nei radiomessaggi mostrò chiaramente di condividere i valori delle democrazie occidentali. Basta leggerli per rendersene conto».
Il clero decise per proprio conto che cosa fare, chi salvò vite umane lo fece senza aver ricevuto direttive?
«I discorsi del Papa, che fin dall’inizio della guerra si disse confortato di aver potuto aiutare i perseguitati, anche quelli “di stirpe semitica”, rappresentarono un invito alla Chiesa, al clero, ai religiosi. Chi si impegnò in favore degli ebrei, sapeva di essere stato invitato e sostenuto dal Papa».(Andrea Tornielli 19 ottobre 2008 - i grassetti sono nostri)
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