Semplificando un poco, si può dire che - secondo questi storici - la società di ordini è quella in cui la stratificazione delle categorie sociali si fa coniugando due criteri:
- la missione particolare di ogni strato, od ordine, nel paese;
- il grado di dignità attribuito a questa missione, secondo criteri astratti, in generale religiosi o metafisici.
Faccio un esempio fra molti altri.
In quasi tutte le nazioni cristiane dell’Europa, fino alla Rivoluzione francese, la prima categoria sociale era il clero, al quale potevano accedere liberamente — com’è noto — grandi e piccoli. Questa preminenza si fondava sul carattere sacro del sacerdozio, e anche sul fatto che era a suo carico quasi tutto l’onere oggi attribuito ai ministeri della Pubblica Istruzione e della Sanità. Il secondo strato sociale era quello dei guerrieri, cioè dei nobili, ai quali toccava fondamentalmente la missione — aureolata di una gloria tutta particolare — di versare il sangue per il paese. Il carattere specifico dell’autentico nobile consisteva nell’essere guerriero; e quello del guerriero insigne era di essere nobile.
Perciò innumerevoli popolani furono elevati alla nobiltà per fatti di guerra.
Nella nobiltà figurava anche, benché in una posizione meno rilevante, la magistratura, per la rispettabilità della funzione giudiziaria.
E, più o meno allo stesso titolo, entravano spesso nella medesima categoria sociale le grandi figure dell’amministrazione civile.
Non mancarono monarchi che diedero, per analoghe ragioni, titoli di nobiltà a personalità insigni delle lettere o della cultura.
Che parte aveva il denaro in tutto questo? Era considerato un complemento utile, e in qualche misura necessario, della condizione di una persona.
Per esempio, un vescovo, un generale o un diplomatico erano soliti avere i mezzi necessari per mantenere con decoro la propria condizione. Ma — ed è quanto importa notare — la considerazione di cui godevano non era determinata dal peso del denaro, ma dalla rispettabilità intrinseca della loro funzione.
Questo si coglieva in modo notevole relativamente alla borghesia che, per il fatto di essere la classe dei commercianti, era anche la più influente nella vita economica del paese.
Ma, secondo il consenso generale, per quanto fosse necessario e rispettabile il suo operare in favore del bene comune, la sua azione restava — secondo le condizioni dell’epoca — circoscritta alla sfera delle attività private.
E perciò non si rivestiva del lustro particolare di chi partecipava, a questo o a quel titolo, alla gestione della cosa pubblica, in pace o in guerra. La sua funzione era riconosciuta come onorata. Ma non come particolarmente onorevole.
E questo perché la sfera della vita pubblica possiede qualcosa di più elevato e di eccellente della sfera della vita privata.
Ovviamente, questo criterio non potrebbe essere applicato senza sfumature nella nostra epoca, in cui la gestione di interessi economici considerevoli, oltre a esigere, spesso, una capacità intellettuale rilevante, trascende non di rado la sfera privata e comporta, in tal caso, responsabilità di grande portata relativamente alla stessa cosa pubblica.
Ma, se immaginiamo la società attuale vista secondo i criteri prevalenti nella società di ordini, la persona o la famiglia responsabile di una funzione rilevante nell’economia vedrebbe riconosciuta la propria importanza, non direttamente in ragione del peso materiale del suo denaro — visto solamente come mezzo per collegare e per dirigere interessi privati — ma per la dignità intrinseca di un’attività di tanta portata per la cosa pubblica.
Cosa analoga, e perfino ipertrofizzata, si dava in certe società antiche. Per esempio nella Repubblica di Venezia, dove la classe dei commercianti, per la sua importanza particolare nella vita dello Stato, occupava il primo posto e concentrava nelle sue mani quasi tutta la direzione dello Stato.
O dinheiro não é valor supremo, in Folha de S. Paulo, 9-5-1971. Titolo e traduzione redazionali.
(Plinio Correa de Oliveira, Tratto da Cristianità 25 - N. 270 - ottobre 1997)
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