Forse è opportuno stilare un primo bilancio del Trattato di Maastricht, proprio nel momento in cui l’Unione Europea comincia a mostrare inquietanti crepe.
Il 7 febbraio 1992, i dodici Paesi che allora formavano la Comunità Europea firmarono il Trattato di Maastricht, entrato poi in vigore il 1° novembre dell’anno successivo. Il Trattato stabiliva una road map vincolante verso l’integrazione politica ed economica del Continente. Come presagendo una sorda ostilità, i vertici dell’UE scelsero di far ratificare il Trattato dai rispettivi Parlamenti, evitando quindi di sottoporlo all’approvazione dei cittadini.
Il presidente François Mitterrand convocò a sua volta un referendum a settembre. In quell’occasione, la TFP francese diramò un manifesto nel quale esternava la sua opposizione a Maastricht. Col titolo “La TFP dice NO a Maastricht. Si può approvare un trattato illeggibile?”, il manifesto fu pubblicato da diversi organi di stampa e poi ampiamente diffuso in campagne di piazza.
Le ragioni di tale rifiuto sono oggi più attuali che mai, anzi si sono dimostrate lungimiranti, vista la piega che hanno preso gli ultimi avvenimenti.
Perdita della sovranità nazionale
La TFP inizia segnalando “il carattere notoriamente indigesto del testo. (...) Per l’uomo della strada il Trattato è difficilmente comprensibile, a causa dell’imprecisione dei suoi numerosi obiettivi e della complessità dei meccanismi che mette in atto. La confusione è accresciuta dal linguaggio, spesso astruso e tecnico”. Questa imprecisione sembra proprio voluta per impedirne un giudizio ragionato, lasciando così il povero cittadino in balia alla martellante propaganda paneuropeista.
Un primo pericolo, fondamentale, del Trattato di Maastricht è la perdita della sovranità nazionale. Questo Trattato, secondo la TFP, “porrebbe la Francia su un cammino il cui obiettivo è la più grande trasformazione strutturale della nostra storia, addirittura col rischio di sparire come nazione indipendente:
- per la rinuncia a importanti parcelle di sovranità, a profitto delle istituzioni comunitarie;
- per il consolidamento di strutture economiche e politiche antidemocratiche, controllate da una nomenklatura di tecnocrati;
- per la formazione di un potere sovranazionale europeo, che governerebbe una massa umana senza identità, sulla via utopica di un governo mondiale”.
Poiché la sovranità è un potere supremo e non subordinato, non può essere né amputato né condiviso. Un primo elemento della sovranità è l’autosufficienza militare, vale a dire la capacità di difendersi, o di attaccare, con l’esclusivo uso delle proprie forze armate. Questo elemento verrebbe meno con l’integrazione delle forze armate europee.
Sovranità culturale
La sovranità implica anche l’integrità culturale del Paese. “Esiste una sovranità fondamentale della società che si manifesta nella cultura della nazione”, affermava Giovanni Paolo II all’Unesco il 2 giugno 1980. Il Pontefice quindi richiamava quest’organo ai suoi doveri: “Vigilate, con tutti i mezzi a vostra disposizione, su questa sovranità fondamentale che possiede ogni nazione in virtù della sua propria cultura. Proteggetela come la pupilla dei vostri occhi per l'avvenire della grande famiglia umana. Proteggetela! Non permettete che questa sovranità fondamentale diventi la preda di qualche interesse politico o economico”.
Il giorno in cui un potere sovranazionale vorrà privare la Francia delle sue tradizioni culturali, il Paese non si sentirebbe ferito tanto quanto nel caso di un’invasione straniera? In passato, intere generazioni di giovani hanno marciato alla guerra in difesa dell’integrità territoriale della Patria. “Che differenza — lamenta la TFP francese — fra questi valorosi patrioti e i negoziatori di Maastricht che hanno permesso, con cuore allegro, che la nostra sovranità diventasse preda di oscuri interessi politici ed economici!”
Sovranità monetaria
Il manifesto della TFP francese affronta poi il problema della moneta unica.
“Il Trattato invade il campo specifico della sovranità nazionale in diversi punti centrali. Instaura una moneta unica amministrata da una banca centrale europea, non dipendente dai governi nazionali, eliminando le monete locali. Questo implica il trasferimento della sovranità monetaria. Su questo punto, il Trattato ha un carattere obbligatorio e irrevocabile. Una volta adottato, non può essere modificato dagli Stati membri, che dovranno allora obbedire a certi parametri imposti da questa banca”.
Con l’instaurazione della moneta unica, è tutta la politica finanziaria (bilancio dello Stato, regime tributario e via dicendo) che scappa dalle mani dei rappresentanti eletti del popolo, passando a quelle di ignoti burocrati.
A questo si somma una politica estera unica, grazie alla quale i Paesi membri non potranno più parlare con voce propria; una politica interna subordinata alle decisioni di Bruxelles e, quindi, non più libera di decidere sul proprio territorio; una politica sociale uniformata che non tiene conto dei propri interessi ma di quelli dell’UE; e, soprattutto, una politica ambientalista che imporrebbe l’agenda degli ecologisti più estremisti.
Repubblichette islamiche
Un punto spinoso è il problema dell’immigrazione. Abolendo i confini fra i Paesi membri, il Trattato di Maastricht (poi integrato col Trattato di Schengen) favorirebbe i flussi immigratori all’interno del continente. Visto l’evidente intuito di certo islam di penetrare l’Europa, avverte la TFP francese, “non ci dovremmo stupire nel vedere le creazioni di stati all’interno dello stato”. Già nel 1990, l’Istituto islamico di Londra aveva esatto “la creazione di uno Stato islamico non territoriale, dotato di un Parlamento capace di emettere decreti vincolanti per la comunità musulmana”.
All’orizzonte, dunque, la possibilità della proliferazione di miriadi di “repubblichette islamiche” all’interno di un Continente liquefatto da un’integrazione innaturale e coatta.
Secondo l’ideologia democratica, alla quale i leader europei dicono di aderire, il popolo è il detentore del potere sovrano. Ora, questo non sarà più quando grosse parcelle di questa sovranità saranno state trasferite a organismi burocratici sovranazionali, vere e proprie “nomenklature” di sovietica memoria. Nomenklature, a loro volta, in continua evoluzione — come un corpo in gestazione — verso forme ancora sconosciute. “Non ci sono enunciati chiari”, ammetteva Jacques Delors, allora Presidente della Commissione europea. Ciò spiegherebbe l’ambiguità del Trattato di Maastricht: nemmeno gli autori hanno le idee chiare...
Perché la costruzione di una Europa unita possa essere autenticamente democratica, servirebbero, anzitutto, obiettivi chiari sui quali i cittadini possano discutere, salvo poi votare in modo democratico attraverso referendum nazionali. L’omissione di uno qualsiasi di tali elementi squalificherebbe il progetto europeista come democratico. “Lungi dal costruire l’Europa dei popoli stiamo costruendo l’Europa senza il popolo — ammetteva con candore il socialista Jean-Pierre Chevènement — i vertici della Comunità Europea emettono decreti senza nemmeno preoccuparsi del consenso democratico”.
Ricordiamo che nessun organo amministrativo della Comunità (oggi Unione) Europea è eletto dal popolo. Sono tutti “designati”. Sono quindi statutariamente indipendenti dagli Stati membri. Di conseguenza, non devono rendere conto a nessuno.
L’utopia di un governo mondiale
Avviandosi alla conclusione, la TFP francese dimostra come tutto questo punti alla “dissoluzione delle nazioni, che perderebbero i loro confini, per formare un magma, sovrastato da una babele di poteri sovranazionali. (...) Il termine di questo processo non può essere che un super-governo mondiale, che divorerà ogni società organica”.
Davanti a questa concreta prospettiva, conclude la TFP francese, non possiamo restare indifferenti e silenziosi. La nostra coscienza cattolica ci sprona a dire NO a un Trattato che distruggerà le nostre tradizioni, ricadendo anche sulla famiglia e sulla proprietà, che entrerebbero in agonia.
(Testo tratto dalla rivista Tradizione, Famiglia, Proprietà - Giugno 2012 - i grassetti sono nostri)
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