Ogni rivoluzione ha manipolato il linguaggio per offuscare la realtà, aggiustandola alla sua particolare ideologia. Oggi, questa manipolazione raggiunge un parossismo: l’uccisione di un nascituro diventa “interruzione volontaria della gravidanza”; gli omosessuali si fanno chiamare “gay”, cioè gaudenti.
È un linguaggio che, lungi dall’essere moralmente neutro, induce al peccato presentandolo sotto una luce benevola. Adesso, con la cosiddetta teoria gender si varca un ulteriore traguardo. Questa teoria nega la naturale dicotomia maschio/femmina, sostituendola con un’infinità di “orientamenti sessuali”.
La teoria gender nega che esista un’identità sessuale fondata sulla natura. Questa sarebbe il risultato di condizionamenti culturali, sociali e linguistici, mutevoli per definizione. Viene quindi affermato che niente – nemmeno la natura – è oggettivo, ma può essere manipolato a piacere dall’uomo, che in questo modo diventa un demiurgo, non guidato dalla ragione ma dalle passioni sregolate. La sessualità, liberata in modo polimorfico a seconda di capricci soggettivi, e non dipendente nemmeno dalle leggi naturali, diventa quindi la forza motrice della società post-moderna.
Qui non siamo più di fronte alla manipolazione del linguaggio, bensì al tentativo di sovvertire la natura.
Ciò che definisce il processo rivoluzionario è l’egualitarismo con il suo necessario corollario, il liberalismo, fonte di immoralità.
Il protestantesimo cercò l’uguaglianza nella sfera religiosa. La rivoluzione francese traspose i principi ugualitari nel campo politico. Il comunismo si scagliò contro l’ultima disuguaglianza rimasta, quella economica. Ma restava un’ultima gerarchia da distruggere, quella in interiore hominis, per la quale la Fede illumina l’intelligenza, che guida la volontà, che a sua volta domina la sensibilità. Questo è il compito della rivoluzione culturale. Si parla di una “liberazione”, che in realtà implica la tirannia delle passioni su qualsiasi freno di tipo morale, sociale o culturale.
Cardine di questa rivoluzione è la liberazione sessuale. Si proclama il decadimento della morale e la libertà di fare sesso con chiunque si voglia, ovunque si voglia e comunque si voglia. Intesa inizialmente come sesso libero fra uomini e donne, questa rivoluzione è andata sviluppandosi sempre di più come una proliferazione dell’omosessualità e, più recentemente, della pan-sessualità.
Niente di più logico. Per i più estremisti, il sesso genitale è ancora “oppressivo”, in quanto si attua secondo modi definiti dalla nostra naturale morfologia. Proclamano, quindi, che l’essere umano deve “liberarsi” perfino dalla sua morfologia, sperimentando la propria sensualità attraverso ogni fibra, ogni poro, ogni possibile fantasia.
Questo tipo di pan-sensualità, però, si scontra con un ostacolo insormontabile: l’oggettività del reale, in altre parole la natura. Lungi dal voler piegarsi alle leggi della natura, i partigiani della teoria del gender negano che la differenza fra i generi, con la conseguente distinzione dei comportamenti fra maschi e femmine, sia oggettiva. Per affermare questo assurdo sostengono che il reale non esiste come oggettività, tutto è soggettivamente interpretabile, riscrivibile e rinominabile a piacere. Non si tratta più di un “pensiero debole”. Qui siamo di fronte alla proclamazione della fantasia come regola di comportamento.
Ciò che definisce clinicamente la follia è proprio la non conformità dell’intelletto con la realtà, e la conseguente invenzione di un mondo interno che non corrisponde più con quello esterno. I partigiani della teoria gender vogliono distruggere la legge naturale. Ora, questa non è altro che la legge divina incisa nella natura. Cercano di sovvertire la struttura più intima della natura, laddove l’uomo comincia a comportarsi come Dio, sognando una nuova creazione opposta a quella divina.
Mai il non serviam di Satana era arrivato a una tale radicalità. Pur nella loro distruttività, tutte le rivoluzioni avevano finora rispettato le leggi della natura. Qui siamo di fronte alla più tremenda rivoluzione di tutti i tempi.
(Rivista Tradizione, Famiglia, Proprietà – Marzo 2014)
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