Il reale pericolo che la russificazione coatta dell’Ucraina possa condurre
a una nuova persecuzione religiosa ai danni della Chiesa cattolica di rito bizantino. L’arcivescovo maggiore di Kiev, mons. Svjatoslav Ševčuk,
ha lanciato un emotivo appello
affinché l’Occidente non abbandoni alla sua sorte
la chiesa greco-cattolica.
La crisi geopolitica che ha portato prima al rovesciamento del governo filo-russo a Kiev e in seguito all’annessione della penisola di Crimea da parte di Mosca ha un importante risvolto religioso su cui i notiziari quasi nulla dicono.
Nel periodo sovietico – non solo in Ucraina, ma anche in Bulgaria, in Romania, ecc. – il connubio fra i regimi e le chiese ortodosse portò al trasferimento forzato dei fedeli cattolici, praticanti della liturgia di s. Giovanni Crisostomo in unione con il Papa, alle chiese ortodosse colluse con i governi. E’ noto che i più alti rappresentanti di queste chiese ortodosse erano in stretti rapporti con le polizie segrete, e non poche volte usarono la delazione nei confronti dei sacerdoti cattolici.
Da parte loro, i governi comunisti, oltre a confiscare i beni ed i luoghi di culto delle chiese greco-cattoliche a beneficio della Chiesa ortodossa, non hanno esitato ad inviare nei Gulag e talvolta ad eliminare fisicamente gli esponenti cattolici di spicco. Roma ha beatificato e canonizzato numerose vittime di questi misfatti. Fra le più numerose vittime del comunismo devono annoverarsi i greco-cattolici ucraini, più numerosi ancora nella salita al calvario persino dei tantissimi compatrioti di rito latino, oggetto questi ultimi dell’eccellente studio di p. Paulo Vyshkovsky “Il Martirio della Chiesa Cattolica in Ucraina”, edito per i tipi di Luci sull’Est.
Ucraina coraggiosa nella fede
Il Papa Giovanni Paolo II ha elevato agli onori degli altari ben 27 testimoni della fede greco-cattolici nel mese di giugno 2001 nella città di Kiev. Al suo arrivo nella capitale ucraina, così si è rivolto al numeroso popolo venuto ad accoglierlo: “Ti saluto, Ucraina, testimone coraggiosa e tenace di adesione ai valori della fede… terra di Ucraina, grazie per l’esempio di fedeltà al Vangelo che hai offerto ai cristiani di ogni parte del mondo”.
I greco-cattolici sono ancora la realtà più invisa al nazionalismo russo– sia civile che ecclesiastico – convinto che ci sia una sorta d’interdipendenza fra il sangue russo e l’ortodossia. Un concetto etnico-religioso ignoto ai paesi dell’Occidente e, ovviamente, del tutto alieno alla universalità della Chiesa romana che non s’identifica con un popolo specifico ma li abbraccia tutti.
I russi nazionalisti non hanno mai smesso di ritenere che non solo la Crimea e l’Ucraina orientale (il Donbass) appartengono alla Grande Madre Russia, ma persino Kiev e il bacino del fiume Dnipro ne farebbero parte, visto che prima delle invasioni mongole questa è stata la culla della futura nazione russa, la quale fu chiamata dalla Provvidenza, sempre secondo una certa ricostruzione, a svolgere il ruolo di nuovo Impero Romano (Mosca è ritenuta così la “Terza Roma”, dopo le punizioni subite, a causa della loro “apostasia”, prima da parte della originaria Roma, in seguito da Bisanzio).
Il complesso intreccio religioso-nazionalista
Esiste pertanto un indubbio anche se complicato intreccio religioso-nazionalista nell’ambito della ortodossia russa il quale, alla teoria della ricostituzione della Grande Madre Russia, somma l’altra teoria di un “territorio canonico” che rende il patriarcato di Mosca l’unica legittima autorità cristiana in tutta questa gigantesca area, e da dove proviene la convinzione che un cittadino russo nel senso pieno, può essere solo ortodosso. Non ci sarebbe spazio pertanto per i seguaci del Papa di Roma nello spazio della Grande Madre Russia, anche se la fedeltà cattolica è una loro libera scelta e segue una multi secolare tradizione. Per paradosso, il problema si acuisce ancora se, all’unione col Romano Pontefice, i cattolici sommano una pratica liturgica bizantina (o greca) simile a quella ortodossa, aumentando pericolosamente il loro potenziale di “proselitismo”.
Del resto, si sa che la grande obiezione che il patriarcato di Mosca muove esplicitamente al dialogo ecumenico con la Santa Sede risiede proprio in due elementi: la natura del primato del successore di Pietro e la situazione“illegittima” in cui sarebbero i cattolici “uniati”, come, in modo sprezzante, vengono chiamati questi greco-cattolici abitanti nei territori “canonicamente” rivendicati dal patriarcato moscovita. Questi cattolici dovrebbero essere abbandonati da Roma e annessi senza tante cerimonie alle fila del patriarcato. Entrambi i problemi nascono da queste peculiari teorie religioso-nazionaliste.
Inoltre, da questa pretesa egemonica da parte di Mosca nascono persino le difficoltà che dividono gli stessi ortodossi: in Ucraina solo una parte di essi accettano la preminenza moscovita e gli altri si dividono in due importanti tronconi, il Patriarcato ortodosso di Kiev e una Chiesa autocefala locale.
Perché l’annessione della Crimea preoccupa i cattolici
La questione religiosa non è per nulla aliena alle grandi preoccupazione che ora suscita la politica di espansione di Putin in Crimea ed eventualmente un domani in altre regioni come il Donbass o la Transnitria moldova. Non a caso il Patriarcato di Mosca non riconosce neppure autonomia agli ortodossi di Kiev, i quali vivono ben al di fuori delle aree più russofile dell’oriente ucraino. Il fatto quindi che si consolidi una nuova alleanza trono-altare a Mosca, non augura certo niente di promettente agli abitanti dello stesso bacino del Dnipro.
Sullo sfondo di questo panorama si ritagliano gli eventi più recenti che stanno sconvolgendo la nazione ucraina. Non è un mistero che sacerdoti greco-cattolici hanno dato supporto spirituale ai manifestanti antigovernativi di Maidàn, ma altrettanto hanno fatto sacerdoti ortodossi aderenti al Patriarcato di Kiev così come esponenti di altre religioni.
Tutto ciò si comprende. L’Ucraina non serba un buon ricordo dell’egemonia moscovita almeno dai tempi dello Holodomor, la “morte per fame” decretata da Stalin, uno dei più spaventosi genocidi del ventesimo XX. Né dimentica certo le grandi deportazioni di ucraini in Siberia, accompagnate dal fenomeno simmetricamente opposto della mobilitazione di elementi provenienti dall’est nel proprio territorio al fine di “russificarlo”, come fu fatto anche in altri paesi confinanti.
La memoria dei martiri
Da parte loro, i cinque milioni di cattolici ucraini non vorranno neppure mandare nel dimenticatoio i loro eroici vescovi deportati in Siberia né i loro sacerdoti e fedeli letteralmente costretti a passare sotto l’autorità del Patriarcato di Mosca, dietro le manovre ignobili della polizia segreta russa. Nel 1946 i dirigenti del Cremlino dichiararono la Chiesa greco-cattolica illegale e trasferirono le sue proprietà alla Chiesa ortodossa moscovita, allora chiaramente asservita al potere. Questo stato di cose durò fino al 1989. Uscita dalla notte oscura delle catacombe e dei lavori forzati nei Gulag, la Chiesa greco-cattolica ucraina è diventata per tutta la nazione, e non solo per i suoi fedeli, un simbolo di eroismo ed un alto riferimento morale.
Sia per i cattolici che per gli ucraini in genere, i fatti del secolo scorso hanno determinato in modo indelebile l’aspirazione a separare le loro vie da quelle tracciate da Mosca. Un fatto la cui sensatezza nessuna persona dovrebbe oggettivamente mettere in dubbio.
Torna l’aria di bufera
Le inquietudini della Chiesa greco-cattolica ucraina crescono esponenzialmente con l’annessione della Crimea e con gli ipotizzabili scenari aperti dalla politica russa, la quale emula i tempi dello “spazio vitale”di hitleriana memoria. Visti da sempre come “spie del Vaticano”, i greco-cattolici temono per il numero non piccolo di fedeli che in Crimea e altrove potranno ora ricadere sotto il controllo del Cremlino e del Patriarcato moscovita.
Benedetta Frigerio scrive su Tempi (20/3/14) che “dopo l’annessione della Crimea alla Russia, i cristiani raccontano di persecuzioni e imposizioni che sembravano relegate al buio passato sovietico”. Si teme che il Patriarcato di Kiev sia inglobato da quello moscovita, ma anche i greco-cattolici tremano perché la loro Chiesa è vista da sempre in Russia “come una pericolosa forza sovversiva”. Tre sacerdoti greco-cattolici sono stati sequestrati e dopo rilasciati da soldati russi, in una chiara mossa d’intimidazione. Aggiunge la Frigerio, “alcune chiese cattoliche dell’Ucraina sono state attaccate, come quella della città di Kolomyya che ha subìto atti vandalici e una di Dora che è stata bruciata”.In altre ancora sono stati compiuti furti di oggetti sacri. Il vescovo ausiliare di Sinferopoli ha chiesto ai cattolici dell’Occidente “aiuto, supporto spirituale, preghiera e digiuno…perché ci serve un miracolo”.
Dal canto suo, Marco Tosatti, vaticanista de La Stampa, narra il 15 marzo scorso di una conferenza fatta a Londra da padre Mykhailo Milchakovskyi, responsabile della Chiesa greco-cattolica a Kerch in Crimea: loro temono il ritorno allo stato di persecuzione durato dal 1946 al 1989 e perciò molti cattolici stanno cercando di trasferirsi altrove, giacché “la nostra Chiesa non ha uno statuto legale nella Federazione Russa”. La chiesa greco-cattolica conta all’incirca il dieci per cento dei due milioni di abitanti della Crimea e, secondo padre Milchakovskyi, l’arcivescovo maggiore Schevshuk chiede “preghiere e appoggio” perché questi fedeli “si troveranno in pericolo”. Alcuni, secondo il sacerdote, hanno già smesso di andare in chiesa “dopo essere stati bollati come fascisti” da provocatori russofili.
La grande verità che nessuno riconosce
Proprio l’Arcivescovo Maggiore di Kiev, mons. Sviastolav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ha messo il dito nella piaga, formulando una verità storica che pochi ormai sembrano voler riconoscere. Secondo quanto ci racconta Nina Achmatova in un articolo per Asia News (22/03/14) il presule ucraino ha dichiarato in una intervista al quotidiano ucraino Den: “la capacità di chiedere perdono indica una coscienza cristiana viva, che è precondizione per la cosiddetta guarigione della memoria”. “La Chiesa russo-ortodossa è stata usata dal regime di Stalin per la liquidazione forzata della nostra Chiesa – ha aggiunto – e il fatto che non ci sia stata una riconciliazione simbolica tra noi è davvero un serio ostacolo allo sviluppo delle relazioni reciproche”.
In altre parole, se non c’è una onesta ammissione da parte delle autorità ecclesiastiche moscovite dei trascorsi collaborazionisti col regime comunista e dei torti fatti ai fratelli greco-cattolici, sarà difficile che ci sia mai una autentica riconciliazione.
È doveroso esigere un simmetrico discorso sulla “purificazione della memoria”
anche da parte delle autorità civili moscovite, se non altro per ragioni di onestà morale da parte loro e di prudenza da parte nostra. A partire da Putin, non di rado si sentono dirigenti russi proporsi come grandi portabandiera, a livello mondiale, di valori nazionali e familiari davanti alla offensiva secolarista, globalista e anticristiana effettivamente predominante. Posizioni con le quali in tesi è difficile non simpatizzare, sennonché questi dirigenti hanno attivamente militato in regimi in cui gli stessi valori difesi furono conculcati per decenni.
Una certa smemorata opinione pubblica sembra mordere l’esca troppo facilmente, inconsapevole delle machiavelliche abilità della scuola del KGB, ben abituata a fare, se necessario, i più suadenti discorsi. Noi dovremmo esigere a chi si propone condottiero della più che mai urgente rinascita morale almeno un attestato di credibilità consistente in una sorta di articolato J' accuse o, se si vuole, un chiaro mea culpa, che comprenda la chiara denuncia e la totale abiura dei misfatti sociali, culturali, morali, religiosi compiuti dal bolscevismo. E, nell’ambito di questo gesto, una delle misure più urgenti da intraprendere sarebbe la totale riabilitazione legale e morale delle chiese greco-cattoliche, accompagnata dalla restituzione dei loro beni.
Altroché che lamentarsi che uno dei grandi disastri del secolo ventesimo è stato lo scioglimento dell’URSS, come ha fatto Putin diverse volte. E finché non sarà superata questa prova di credibilità, per i cattolici deve prevalere il principio della cautela sugli ammalianti canti delle sirene.
(Sito dell'Associazione Luci sull'Est)
(Titolo e grassetti sono nostri)
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