L’Italia è la culla del presepe.
Da quando, nel Natale del 1223, il Poverello di Assisi allestì il primo presepe,
l’usanza di rappresentare le scene natalizie con statue,
o figure dal vivo, si è diffusa su tutta la Terra.
Il nostro Paese vanta una ricchezza impareggiabile nell’arte natalizia.
Ma, forse, nessuna è più preziosa del presepe napoletano,
vero capolavoro dell’artigianato italiano
Le origini del presepe
Fin dai primordi dell’Era cristiana la nascita di Nostro Signore Gesù Cristo, evento centrale della redenzione del genere umano, fu raffigurata per mezzo di affreschi, bassorilievi, incisioni, su pareti, sarcofagi e formelle inseriti in edifici del culto. Tali testimonianze sono numerosissime e anche molto importanti perché l’evoluzione della loro iconografia interesserà anche lo sviluppo del presepe.
Nel corso dei secoli il termine presepe (dal latino praesaepium, che significa greppia, mangiatoia) è stato attribuito via via soltanto alle rappresentazioni plastiche a tutto tondo sia della sola scena della Natività sia di quelle aggiunte nel tempo, come l’Adorazione dei pastori, l’Adorazione dei tre Re Magi, l’Annuncio ai pastori e via dicendo.
Ma nessun reperto o testimonianza scritta sulle opere dedicate alla Natività ci è giunto se non fino alla prima metà del 1200.
D’altra parte una sorta di presepe embrionale può essere individuato nella “tettoia” di legno retta da tronchi d’albero che già Papa Liberio (352-355) fece erigere a Roma nella Basilica detta appunto “Santa Maria ad praesepe”, oggi nota come Santa Maria Maggiore.
Una tettoia siffatta, quasi lo schema essenziale di una stalla, fu posta davanti all’altare presso il quale, il 24 dicembre di ogni anno, si celebrava la Santa Messa di mezzanotte. Altre “tettoie” furono erette in numerose chiese a Roma (Santa Maria in Trastevere), a Napoli (Santa Maria della Rotonda) e certamente in molte altre città.
Si sa pure che Papa Gregorio II (731-734) fece sistemare sotto la tettoia di Santa Maria Maggiore una statua d’oro della Madonna con il Bambino e che anche in altre chiese furono collocati sotto tali tettoie statue o decori che ricordavano il Sacro Evento.
Secondo un’antica tradizione fu san Francesco d’Assisi (1182-1226) ad ideare il presepio, nella santa notte di Natale del 1223 a Greccio, nella conca reatina. Seguendo una profonda ispirazione, il Santo si fece portare nella grotta dove si sarebbe svolta la celebrazione liturgica una mangiatoia piena di fieno dove c’erano un asino e un bue vivi, e poi fece suonare le campane per chiamare i pastori e i contadini dei dintorni. Nella commozione del momento, tra i canti e la solennità del rito, gli astanti videro tra le braccia di san Francesco un bambinello, fulgido per la bellezza e l’intensa luce che da esso promanava.
Via, via, poi, il presepe si è andato formando attraverso un insieme di usi, tradizioni, costumi, addobbi, quadri nelle chiese e sacre rappresentazioni.
Il primo presepe con personaggi risale al 1283: un’opera poderosa scolpita da Arnolfo di Cambio, su committenza di Papa Onorio IV, al secolo Giacomo Savelli (1210-1287). Di essa restano, oggi, solo cinque figure originali.
L’Ordine religioso che per primo favorirà la diffusione del presepe fu, senza dubbio, quello francescano, ma a partire dall’epoca della Contro-Riforma saranno anche i Teatini e gli Scolopi diedero il loro contributo.
Il presepe napoletano
A Napoli la prima notizia dell’allestimento di un presepe risale al 1025, realizzato nella chiesa di Santa Maria del presepe. In un documento del 1324 è, poi, citata ad Amalfi una “cappella del presepe di casa d’Alagni”. Nel 1340 il primo presepe ligneo fu donato dalla regina Sancia alle Clarisse: di esso rimane solo la Madonna giacente.
Nel 1400 compaiono i primi presepi scolpiti in legno, quelli in terracotta nel 1500.
Verso la prima metà del XVI secolo il presepe napoletano assume la propria forma caratteristica. Il primo presepio plastico moderno, merito, secondo la tradizione, di San Gaetano da Thiene (1480-1547) sarà realizzato, intorno al 1530, nell’oratorio di Santa Maria della Stelletta, presso l’Ospedale degli Incurabili, con figure di legno abbigliate secondo la foggia del tempo.
Ma è il patriziato locale a favorirne la diffusione, fino a farlo diventare popolare: ogni famiglia per Natale allestiva il suo presepe domestico.
Nel secolo della Controriforma inizia a comparire il paesaggio in rilievo che sostituisce quello del fondale dipinto; e al bue e all’asinello - unici animali rappresentati - si aggiungono man mano cani, pecore, capre e altri animali. Si intensifica anche la costruzione di presepi con figure di dimensioni sempre più ridotte fino a giungere alla realizzazione del primo presepe mobile a figure articolabili, allestito dai padri Scolopi nel 1627.
Il secolo d’oro del presepio a Napoli è, però, il Settecento, che coincide con il regno di Carlo III di Borbone. Il Sovrano mecenate riportò la città partenopea al livello delle più ferventi capitali europee, alimentando una meravigliosa fioritura culturale e artistica, testimoniata anche dalla magnifica produzione di presepi. Il tradizionale presepe napoletano era, ed è, costituito da statuine con un’anima di ferro imbottita, testa in terracotta e vestiti in stoffa.
In questo periodo cambiano, infatti, le tecniche di realizzazione del “pastore” - termine con il quale s’individua qualsiasi personaggio del presepio - sostituendo la statua scolpita, la cui fattura richiedeva troppo tempo, con manichini costituiti da un’anima di fil di ferro, arti in legno e teste di terracotta ricavate da piccoli stampi, che avevano anche il pregio di poter essere articolati come richiedeva il personaggio, rappresentato nell’atto in cui veniva colto, dando l’impressione del movimento.
Il “figurinaio” diviene una vera e propria professione, che coinvolge anche le donne di casa adibite al taglio e cucito delle vesti, con specializzazioni diverse, nella realizzazione di pastori, di animali, di strumenti di lavoro e musicali, di prodotti dell’orto e minuterie varie, tutto riprodotto in scala.
Nella creazione di figure insuperabile è Giuseppe Sammartino, mentre Saverio Vassallo eccelle nell’esecuzione degli animali. Nasce lo “scoglio”, una sorta di sperone roccioso che, a seconda delle dimensioni può ospitare la scena del “Mistero” (Maria, Giuseppe, il Bambino Gesù, Angeli, bue e asinello) o costituire la base per tutto il paesaggio presepiale.
La grotta, con una miriade di Angeli che scendono dall’alto viene sempre più spesso sostituita con le rovine di un tempio antico; la scena della Natività è sempre più defilata e quasi soffocata nello scenario circostante sovrabbondante di personaggi e paesaggi, nei quali spicca il corteo dei Magi reso più esotico dal seguito dei “mori” abbigliati con vesti orientali dai colori sgargianti.
Aumenta il numero dei personaggi che diventano folla di contadini, pastori, pescatori, artigiani, mendicanti, popolo minuto e notabili, tutti colti nelle loro attività quotidiane o in momenti di svago, nei mercati, nelle botteghe, taverne, vie e piazze in scorci di vita cittadina o paesana.
Il presepe diventa moda
Lo stesso Re, abile nei lavori manuali e nella realizzazione di congegni, si circonda di scenografi, artisti e architetti. Tra questi Giovan Battista Nauclerio che, attraverso tecniche di illuminazione, simulava il passaggio dal giorno alla notte e viceversa. E ancora Cappello e De Fazio, nonché il dilettante Mosca, impiegato e geniale presepista. La Regina e le dame di corte confezionano minuscoli abiti per i manichini con le stoffe tessute negli opifici reali di San Leucio. Un grandioso presepe viene allestito in alcuni saloni del Palazzo reale di Napoli, con centinaia di personaggi e una gran cura per i dettagli.
I nobili naturalmente imitano il sovrano rivaleggiando tra loro per sontuosità e ricchezza dei materiali utilizzati: gemme preziose, magnifiche stoffe catturano l’attenzione del “popolino”, ammesso nelle case patrizie per ammirare il presepio.
Famosi i presepi allestiti per il principe di Ischitella, con i Magi abbigliati con vesti dove brillavano innumerevoli gioielli.
Il presepio si diffonde anche presso il popolo partenopeo, in forma ovviamente meno sontuosa: ogni casa ha comunque il suo presepio, seppure con pochi “pastori” raggruppati su un minuscolo “scoglio” o dentro la “scarabattola”, una teca da appendere al muro o tenere sul comò.
È tale la frenesia del presepe di Napoli, da suscitare le critiche, pur bonarie, dell’architetto Luigi Vanvitelli che, nel 1752 scrivendo al fratello Urbano a Roma, definisce il presepe una “ragazzata” pur rilevando “l’abilità” e la “efficace applicazione” dei napoletani.
Il presepe settecentesco, non a caso definito cortese, di sacro, ormai, conservava ben poco. Si rivela più un’esperienza mondana: l’avvenimento e il passatempo principale delle festività natalizie, quando il Re e la corte visitavano i presepi più rinomati della Capitale del regno che, talvolta, riuscivano a stupire anche la Regina, come accadde a Carolina nel 1768, alla vista del presepe allestito nella chiesa di Gesù Nuovo.
Tuttavia l’universalità e la spettacolarità che si accompagnano all’evento presepio nel ‘700 e le critiche che ne conseguirono, nulla tolgono alla valutazione del fenomeno come concreta espressione d’arte barocca, né ai suoi caratteri di tangibile documento storico, descrittivo dei costumi, delle usanze e delle tradizioni del popolo napoletano in un’epoca che vide Napoli splendida capitale di cultura e d’arte e meta irrinunciabile di colti viaggiatori italiani e stranieri.
Dopo il regno di Ferdinando IV (1751-1825) il presepe comincia a decadere. La maggior parte di essi viene definitivamente smontata, i pastori venduti o dispersi. Tra i pochi salvati, va ricordato quello, magnifico, donato dallo scrittore Michele Cuciniello alla città di Napoli e conservato nel Museo della Certosa di San Martino.
Il presepe napoletano oggi
A Napoli il presepe è una delle tradizioni natalizie, rimasta inalterata nei secoli, tra le più consolidate e seguite. Teatrale, maestoso, allegro, vivace e festaiolo: nella realizzazione del tipico presepe napoletano vi è ancor oggi la tendenza ad ispirarsi al Settecento, la cui portata ed il lascito culturale risiede nel realismo delle sue rappresentazioni, con un misto di sacro e profano.
Non più solo simbolo religioso, il presepe è anche uno strumento descrittivo, unificante e identificativo della comunità cui una persona appartiene, nella sua dettagliata composizione. Si potrebbe affermare che il presepe napoletano è stato, e rimane, un veicolo di identificazione della “gens napoletana” e l’antesignano di quel realismo che ha caratterizzato le rappresentazioni teatrali e le produzioni cinematografiche partenopee.
Oggi molti maestri artigiani costruiscono, oltre alle classiche statuette, anche pastori che rispecchiano personaggi dei nostri tempi, specialmente del mondo della politica e anche di quello dello sport. Quindi non c’è da meravigliarsi quando si trovano nelle vetrine.
In molte località della Campania, varie associazioni promuovono nel periodo natalizio l’apertura delle botteghe al pubblico, che può così vedere gli artigiani all’opera, ed esposizioni di presepi antichi e contemporanei. Famose, per esempio, quelle della zona di S. Gregorio Armeno, nel Centro storico di Napoli, con i suoi mercatini di strada.
Giovanna Patti Campo
Membro del Circolo Culturale Plinio Corrêa de Oliveira
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