Garibaldi è sconfitto dagli zuavi, fedeli al Papa Pio IX
Chi ha dimestichezza con la corrente di pensiero che
viene genericamente definita controrivoluzionaria
non mancherà di conoscere autori del XX secolo (...). Difficilmente
invece sarà conosciuta l’opera di una penna minore la quale, però, sembra aver
in buona parte anticipato una delle tematiche ampiamente trattate da Plinio Corrêa de Oliveira (ossia colui
che può venir considerato il maître
à penser di questo filone
storico, culturale e politico): la genesi del processo rivoluzionario.
Si tratta
dell’irlandese Patrick Keyes O’Clery (*), autore che scrisse e pubblicò nell’800 due importanti
saggi sugli avvenimenti che sconvolsero la pensiola italiana: The Revolution of the Barricades
(1875) e The Making of
Italy (ambedue riguardanti il controverso Risorgimento e pubblicati
in Italia dalla casa editrice Ares
con il titolo di La
Rivoluzione Italiana – come fu fatta l’unità della nazione) e che
trattò, nel primo dei due saggi citati, il problema rivoluzionario con una
impostazione che sembrerebbe essere analoga a quella usata dal de Oliveira, quasi un secolo dopo, nel
suo celebre "Rivoluzione e Contro-Rivoluzione".
Uno
zuavo pontificio
Riporto ora il passaggio che tratta
di questa tematica, ritenendo che possa tornare utile a coloro ai quali
interessano le dinamiche storico-sociali (ma non solo) dello sviluppo di ciò
che viene definito Rivoluzione con la R
maiuscola:
"C’è un errore nel quale sono caduti in molti, ed
è quello di considerare la Rivoluzione [francese] come il frutto di idee
divulgate per la prima volta dai cosiddetti philosophes del diciottesimo
secolo. […]
La Rivoluzione del diciottesimo secolo fu solo un’altra
offensiva di quello spirito di disordine che esiste in ogni umano consesso, e il cui operare possiamo far risalire fino
al Medioevo. Non c’era nulla di nuovo nei principi di Rousseau e Voltaire.
Essi erano stati enunciati, forse in un linguaggio meno preciso e forbito,
centinaia di anni prima che questi grandi leaders o philosophes fossero nati.
Gli ussiti in Germania nel quindicesimo secolo e gli anabattisti più tardi, gli
albigesi in Francia, i lollardi in Inghilterra, predicavano la stessa dottrina
che fu udita a Parigi durante il regno del Terrore giacobino. Le spade
dell’Europa cristiana furono sguainate contro gli albigesi non tanto per la
loro eresia, quanto perché erano nemici dell’ordine e della società; cercavano
di distruggere la famiglia e abolire
la santità del matrimonio. In tempi
più recenti, le stesse orribili dottrine sono state apertamente sostenute dagli
apostoli più estremisti della Rivoluzione inglese. In Inghilterra gli agitatori
lollardi facevano uso di espressioni che potrebbero essere facilmente scambiate
per quelle degli agitatori di piazza parigini. “Miei buoni amici”, disse John
Ball, “le cose non possono andare bene in Inghilterra, e non lo potranno mai
fino a che tutto non sia messo in comune,
non ci siano più né vassalli né signori,
e ogni differenza non sia stata
livellata”.
Anche nelle sue manifestazioni esteriori, la
Rivoluzione fu, grosso modo, una ripetizione di quello che era accaduto più e
più volte nei tempi precedenti. L’incendio di castelli e l’assassinio dei
signori feudali avvenuto durante la Rivoluzione francese furono una riedizione
delle jacqueries del Trecento. Persino i tumulti di Parigi di quel periodo,
quando il popolo, vestendo il rosso e il blu, simbolo della città, insorse in
armi e infilzò a colpi di picca o annegò i nobili e le loro mogli, hanno un
impressionante somiglianza con le insurrezioni giacobine, quando i picchieri,
che portavano la coccarda tricolore, manifestavano il loro amore per Libertè,
Egalité e Fraternité impiccando gli sventurati aristocratici à la lanterne
o massacrandoli nei cortili delle prigioni. Ogni attacco dei philosophes agli Ordini religiosi era già stato
anticipato da Wycliffe, da Lutero e da altri ancora. Persino le organizzazioni più segrete che facevano
propaganda rivoluzionaria esistevano da secoli.
È stato asserito anche che la Rivoluzione fu opera
della gran parte del popolo francese, unito in una rivolta spontanea contro una
tirannia feudale, che sarebbe stata inevitabile anche se Voltaire e i suoi
seguaci non si fossero mai occupati di politica e le società segrete non
fossero mai state organizzate. Gli
scrittori che continuano a sostenere tale opinione, o non hanno una reale
conoscenza della genesi dell’azione politica, o chiudono volentieri entrambi gli occhi su quello che accade davanti a
loro ogni giorno. Il poeta e il romanziere possono narrare di spontanee e
simultanee insurrezioni di un popolo intero, ma coloro che hanno studiato gli eventi del nostro tempo sanno che tali
sommovimenti di massa non ci sono mai stati oggi, e, probabilmente, non ci sono
stati mai. Del resto sarebbe strano se fosse altrimenti, poiché gran parte
del popolo è composta da persone che non possiedono alcuna iniziativa
personale. Esse potranno obbedire solo a
un forte stimolo (per esempio il timore di un disastro), in mancanza del quale si faranno guidare da
altri uomini, lasciando che questi pensino al posto loro e diano forma al
loro credo politico. È questo che
rende il suffragio universale un’impostura laddove esso è praticato. Le
rivoluzioni e così le reazioni non sono
il lavoro delle masse, ma solo di pochi uomini abbastanza audaci da cercare il
supporto delle masse stesse e abbastanza forti da assicurarselo e mantenerlo.
Il popolo non si è mai mosso spontaneamente e non lo farà mai, eccetto quando
sia spinto a ciò da qualche causa esterna". (La
Rivoluzione Italiana pp. 46 – 48; Patrick Keyes O’Clery; Edizioni
Ares)
Compagnia degli zuavi papali
(*) Cenni storici
Patrick Keyes O'Clery (1849-1913),
emigrato dall'Irlanda, si arruolò giovanissimo come zuavo pontificio e in
questa veste partecipò alla battaglia di Mentana dell'ottobre-novembre 1867.
Dopo una breve parentesi in America, nel 1870 era di nuovo nell'esercito
pontificio e si trovò cosi a combattere, in prima persona, in difesa del potere
temporale del Papa, rimanendone peraltro dedicato per tutta la vita.
Rientrato in Irlanda, si impegnò nella vita politica e nel 1874 venne
eletto deputato nel Collegio di Wexford. Nel 1875 usci il suo primo libro, The History oj the Italian Revolution. The Revolution of the Barricades
(1796-1849), nel quale le vicende della storia italiana erano strettamente
identificate con quelle del papato. Conseguenze politiche immediate di questa
posizione furono la difesa a oltranza dello Stato pontificio e la serrata
polemica contro il Parlamento inglese ritenuto il maggior responsabile della
soluzione unitaria italiana.
Ritiratosi dalla politica attiva O'Clery si dedicò alla professione di
avvocato e nel 1892 pubblicò a Londra The
Making of Italy che fu tradotto in italiano e pubblicato a Roma nel 1893
con il titolo La formazione dell'Italia
e quindi, nel 1897, con il titolo Come fu
fatta l'Italia. Una terza traduzione, Risorgimento
controluce - La questione italiana vista da uno zuavo di Pio IX,
introduzione di Giuseppe De Cesare, apparve nel 1965 ad opera del Centro
Editoriale Romano.
Un'opera quindi che ha conosciuto una considerevole fortuna e che meritò
all'Autore il titolo di conte di Roma conferitogli da Leone XIII nel 1903. Scopo
dichiarato dell'A. era quello di narrare gli avvenimenti italiani, dal
Congresso di Parigi alla conquista di Roma, in maniera chiara e veritiera.
Ovviamente il problema dell'unificazione italiano era lucidamente inquadrato
nell'ottica del rapporto Chiesa-Stato e cioè del più vasto conflitto tra i
sostenitori del potere temporale, ai quali O'Clery decisamente appartiene, e
gli avversari liberal-rivoluzionari.
Se l'alleanza tra Cavour e Napoleone aveva costituito la base del processo
unitario, questo si era sviluppato con l'apporto dei moti insurrezionali
dell'Italia centrale e della campagna garibaldina in Sicilia. Sulle condizioni
dell'Italia meridionale e sul sistema amministrativo borbonico la verità era stata, a giudizio dello zuavo
irlandese, volutamente falsata dalla Camera piemontese, dal Parlamento di
Westminster e dalla stampa piemontese, francese e inglese. Numerose
testimonianze, peraltro "fedelmente
riportate, dimostravano l'infondatezza della conclamata miseria del Regno di
Napoli prima della Rivoluzione del 1860". Le mancate insurrezioni nel
meridione finivano indirettamente per confermare le teorie dell'A. che nelle
difficoltà economico-finanziarie del nuovo Regno, nel brigantaggio e nella
strenua lotta contro la Chiesa individuava altrettanti elementi di debolezza
della nuova istituzione.
Ai documenti ufficiali e ai resoconti del Parlamento di Torino e di
Westminster egli affiancò la copiosa memorialistica, la Campagne de l'Empereur Napoléon III en Italie, edita dallo Stato
Maggiore dell'Esercito francese, gli scritti di Edward Hamley, di Ugo Forbes,
di La Varenne, il diario dell'ammiraglio Persano e la sua corrispondenza con
Cavour e i resoconti della stampa, in particolare della Quaterly Review. Per
Mentana e l'invasione dello Stato pontificio, oltre ai ricordi personali, si
avvalse de l'Histoire de l'invasion des
Etats Pontificaux et du Siège de Rome
par l'armèe italienne en septembre 1870 di Roger de Beauffort, sottotenente
degli zuavi pontifici.
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