Esistono, nell’immaginario popolare e nel modo di sentire dell’uomo dei
nostri giorni, diverse modalità di eroismo che corrispondono a tradizioni a
loro volta diverse.
C’è l’eroismo ottocentesco tedesco e quello francese; ci sono l’eroismo di
tipo nazi-fascista, l’eroismo di tipo comunista, l’eroismo giapponese. Di
fronte a queste varie modalità di eroismo, qual è la posizione specifica
dell’eroismo cattolico?
L’eroismo tedesco
Si può dire che l’eroismo tedesco del XIX secolo è appunto tipico di
quell’epoca: un eroismo romantico. È l’eroismo personificato nell’esercito del
Kaiser, che si distingue per un’alta idea del popolo tedesco, della cultura e
della civiltà tedesche e della missione della Germania. Per mezzo della guerra
– una guerra che alcuni condussero con un certo spirito brillante e
cavalleresco – si intendeva diffondere il nome e il dominio della Germania fino
agli estremi confini dell’Europa, in un tempo in cui l’Europa era il centro del
mondo. Dominare l’Europa voleva davvero dire dominare la Terra.
Credo che la caratteristica di questo eroismo si possa riassumere in tre
punte: le due punte dei baffi del Kaiser e la punta dell’elmo chiodato del suo esercito.
Lo dico senza sarcasmo, perché devo confessare che tutte le forme di eroismo
m’ispirano simpatia, per quanto rifiuti gli errori che si portano dietro. Ma la
questione è che, veramente, queste punte manifestavano il carattere appuntito
dell’eroismo tedesco. La specificità dell’eroismo tedesco di quel tempo era l’espressione di un
insieme di convinzioni semplici ed elementari, ma di grande forza logica. Il
Kaiser tedesco rappresenta l’emblema più alto del più alto dei popoli sul
terreno politico - che è il più alto terreno del pensiero umano – e dev’essere
pertanto difeso dal migliore degli eserciti, che evidentemente è quello
tedesco: il migliore per i suoi soldati e per la sua industria di guerra. Nelle
fabbriche Krupp i nomi dati ai due migliori cannoni erano “la grande Bertha” e
“la piccola Bertha”, e Bertha era la signora Krupp. Tal cosa risulta perfino
simpatica: trascurando il suono mezzo barbaro del nome, resta la bellezza
selvatica di una roccia a strapiombo sul Reno. Certo, è poco grazioso
paragonare una signora a un cannone: qui ho le mie riserve. Non siamo più sul
terreno dell’eroismo ma dell’industria, e qui mi separo un po’ dalla cultura
tedesca di allora.
Ma indubbiamente l’eroismo tedesco era basato su una serie di convinzioni
ritenute dai tedeschi evidenti e semplici e, una volta accettate queste
convinzioni, su una volontà inflessibile di combattere e vincere, che si
traduceva nel portamento eretto del soldato tedesco e nell’idea – di per sé non
falsa, tanto che la si ritrova perfino in San Tommaso d’Aquino – secondo cui la
fortezza si esprime nel modo più tipico nell’attaccare, nel prendere
l’iniziativa dell’attacco a favore del bene.
Il simbolo di quest’aggressività sono le punte dei baffi del Kaiser.
Qualunque tedesco che si rispettasse in quel tempo portava i baffi alla Kaiser:
un pacifico funzionario civile o uno scienziato che studiava le formiche quando
andava dal barbiere, gli chiedeva i baffi di quella foggia.E in cima all’elmo c’era pure una punta. E anche la diplomazia tedesca era
a punta, aggressiva e pronta a colpire per prima. Il passo dell’oca, il passo
di parata con i piedi levati in alto, era un gesto di tale durezza che
intimoriva non solo per il suo vigore ma anche per la destrezza che
presupponeva nei soldati. E che indicava una risolutezza per la vittoria. Ed
evocava una moltitudine di soldati tedeschi all’attacco…
Questa è l’immagine romantica dell’eroismo tedesco.
L’eroismo francese rivoluzionario
In contrasto con quello tedesco emerge l’immagine – anch’essa romantica –
dell’eroismo francese. Non si tratta di una specie di copia francese
dell’eroismo tedesco, ma di un altro eroismo romantico, nato in condizioni
pessime, cioè in concomitanza con la Rivoluzione francese.
Credo che nulla possa esprimere tanto bene questo eroismo come la “Marsigliese”. È un insieme di armonie, slanci e trasporti che determina una marcia in avanti, folgorante, di spiriti dominati dagli errori enunciati con tutto l’impeto della passione rivoluzionaria.
Non c’è solo il fanatismo di questi errori, pur a volte espressi brillantemente, ma c’è anche l’idea che questi errori si sono armati e organizzati in un esercito che, se necessario, combatte scalzo, ma che ha dentro di sé, per la sua fibra nervosa, la capacità di lottare e di vincere.
Una persona che ascolti la “Marsigliese” si rende conto rapidamente di come tale musica sia coinvolgente e di come, nonostante tutti gli orrori di cui è simbolo, quest’inno abbia la capacità di indurre all’entusiasmo. E la persona sta già marciando con uno slancio e una volontà individuale, per cui l’uomo lotta e resiste anche da solo: è disposto a morire sul campo di battaglia, è disposto a qualsiasi orrore per realizzare quello che ha deciso. È una forma di eroismo particolare.
L’eroismo nazi-fascista
Considerando l’eroismo nazi-fascista incontriamo qualche cosa di simile ma
anche di diverso rispetto alle due forme di eroismo romantico che abbiamo
appena esaminato.
Che cos’ha di specifico il nazi-fascismo? L’eroismo nazi-fascista si basa
su alcuni dati molto semplici e in alcune verità elementari esasperate come
l’eroismo tedesco, e meno su dottrine astratte – e purtroppo perfide – come
quelle della Rivoluzione francese.
Per esempio, la verità che l’Italia è discendente e in qualche modo
continuatrice dell’Impero Romano e come tale può aspirare a dominare tutta una
zona del Mediterraneo, il “Mare Nostrum”, per difendere la gloria della cultura
latina che abita in Italia come nel suo tabernacolo e che è stata per secoli la
prima cultura.
In Germania l’idea del Kaiser è democratizzata. Non si tratta più di
lottare per una dinastia o per un impero ma per il popolo tedesco, che è re e
signore e pretende di avere più qualità di tutti gli altri popoli i quali, se
non lo riconoscono, devono ricevere dei seri colpi perché si decidano a
lasciarsi organizzare dal popolo tedesco, che sa come farlo.
Questa è l’idea nazista del dominio tedesco sulla Terra, non più con i baffi a punta del Kaiser ma con i baffi cinici di Hitler, che sembra nasconderli dentro le narici. Un uomo che non ha più la grandezza dell’Europa dei vecchi tempi ma che è allo stesso tempo un grande demagogo e un politico vile, che ora urla ora si presenta con uno sguardo obliquo da cui traspare la sua falsità.
Quest’uomo è capace di elettrizzare, d’ipnotizzare le folle. Il Kaiser non elettrizzava, rappresentava una tradizione. Hitler ipnotizzava, e quando urlava o batteva i pugni sul tavolo scaricava enormi correnti elettriche che sollevavano popoli interi alla battaglia, alla guerra, all’aggressione. Elettrizzava tutte le Germanie: l’Austria, i Sudeti, il corridoio di Danzica e la Germania in senso stretto. Elettrizzava tutti, e tutti istigava a combattere con un fluido magnetico, una fame di eroismo che era capace di eccitare e che portava le persone a essere totalmente dominate.
L’eroismo comunista
In opposizione a quello nazi-fascista, era proposto l’eroismo comunista.
Com’è?
Propriamente ci sono due forme di eroismo comunista: l’eroismo del soldato
di un esercito comunista e l’eroismo del terrorista.
L’eroismo del soldato di un esercito comunista ha qualche cosa di sadico e
insieme di fatalista.
Guardando la fotografia di un generale o di un soldato sovietico, si nota
un occhio poco espressivo che guarda fisso un punto dell’orizzonte. Non è un atteggiamento
militare che denota entusiasmo, ma il risultato di un peso misterioso che
opprime l’anima e che ricorda l’azione del Demonio. Si direbbe che lì sia
entrato il Demonio e che gli uomini gli si siano consegnati partecipando di
tutto il suo odio, di tutto il suo spirito di calcolo e di tutta la sua
aggressività ma anche di tutta la disperazione fredda di chi sa che non può più
sperare in nessuna salvezza.
Non è un idealista: non viene per costruire ma solo per distruggere perché
sa bene che l’ordine che finge di costruire è una negazione di ogni vero
ordine, ma lo persegue lo stesso. Avanza verso la morte mosso dal fatalismo,
con la risolutezza della disperazione fredda e con l’aggressività dell’odio
collegato a questa disperazione.
C’è qualche cosa d’irrazionale e di fatalista in questo eroismo. Si
direbbero uomini ipnotizzati che camminano verso la morte.
Ben diverso è il rischio che corre il terrorista. Il terrorista comunista spesso è un individuo che assume droghe, allucinogeni, tutti i generi di eccitanti; vive una vita di orgia e ha la tendenza, tipica degli uomini che vivono all’interno di un’orgia, a disprezzare la vita. Non tutti coloro che vivono così sono comunisti. Ma se lo sono, diventano terroristi. Se non lo sono, diventano quel tipo di playboy idiota che corre da una parte all’altra della strada davanti alle automobili che arrivano a tutta velocità per provare un’emozione nuova, e alla fine muore spiaccicato. È un’esplosione di disordine che è il risultato di tutto un disordine interiore o meglio di tutto un accumulo di diversi disordini interiori.
L’eroismo giapponese
L’eroismo giapponese ha qualche cosa di cieco, di mistico, di fanatico e
allo stesso tempo d’implacabile.
Consideriamo la storia del precettore del Mikado il quale, quando morì il
vecchio Imperatore e il Mikado salì al trono, fece “harakiri” insieme alla
moglie. Ma prima impartì l’ultima lezione al neo-imperatore, per vedere se
tutto quanto gli aveva insegnato era in ordine. Avendo verificato che la testa
dell’allievo era pronta per la corona imperiale, il precettore ritenne di non
avere più nulla da fare. Se ne andò a casa e, con una freddezza e un distacco
completi – una specie d’intorpidimento dell’istinto di conservazione, che ci fa
paura – praticò l’“harakiri”.
Qui c’è qualcosa dello stato dello spirito espresso dai volti di certi
idoli nei templi giapponesi. Idoli con occhi spiritati e con volti feroci, con
bocche aperte in un grido di disperazione come di chi si sta strappando le
viscere e sacrifica la vita considerando che sta sacrificando una cosa che gli
pesa e che non vuole più sopportare.
Lo stesso “kamikaze” ha qualcosa di questa figura. Nell’eroismo del
“kamikaze” non si percepisce un superamento della paura, piuttosto una specie
di deformazione per cui non ha paura ma va alla morte in modo completamente
indifferente. Non è l’eroismo cattolico.
L’eroismo cattolico
Di fronte a tutto questo, qual è il volto dell’eroismo cattolico?
L’esempio supremo dell’eroismo cattolico è Nostro Signore Gesù Cristo. È
lui il modello di ogni virtù e santità, anzi non solo il modello ma la fonte da
cui sgorgano le grazie che portano alla santità. E l’esempio più perfetto che
diede del proprio eroismo fu, secondo me, l’agonia nell’Orto degli Ulivi.
Nietzsche disprezzava l’Orto degli Ulivi. Diceva che Gesù Cristo nell’Orto
degli Ulivi non si era dimostrato virile, che con la sua dottrina dell’amore e
del perdono non era un vero uomo ma un essere molle e dolciastro. È
un’affermazione blasfema! Se avessimo caricato Nietzsche della croce avrebbe
chiesto da bere duecento volte, avrebbe ripudiato le sue idee, avrebbe
apostatato, avrebbe fatto cento cose diverse. Non avrebbe avuto il coraggio di
portare la croce come Gesù. Questo episodio della vita di Nostro Signore Gesù
Cristo è l’episodio eroico per eccellenza, non solo perché si tratta di Lui ma
per la natura del caso.
Egli era l’Uomo-Dio e, considerato nella sua umanità, era assolutamente
perfetto – non solo concepito senza peccato originale, ma il più perfetto degli
uomini creati da Dio – e possedeva al più alto grado tutte le qualità della
creatura umana.
Dunque, possedeva un istinto di conservazione molto acuto e sviluppato
molto armoniosamente, che veniva precisamente dal fatto della sua perfezione.
Essendo immensamente perfetto, tutti i suoi istinti erano perfetti e, giacché
l’istinto di conservazione è un elemento fondamentale di ogni essere umano,
Egli sarebbe stato deforme o sbagliato se non avesse avuto questo istinto.
Perciò doveva averlo nel più alto grado.
In più aveva un’intelligenza perfetta e vedeva quanto valevano l’affetto,
la solidarietà e la fedeltà dei suoi amici. Aveva, dunque, una comprensione
molto più perfetta di quella che possiamo avere noi dei tormenti morali che lo
riguardavano.
E l’istinto di conservazione perfetto lo portava ad avere paura dei
grandissimi tormenti fisici che stava per soffrire. Pertanto non ci fu mai né
mai ci sarà un uomo che abbia sofferto i tormenti fisici che soffrì Nostro
Signore Gesù Cristo.
D’altra parte non ci fu mai né mai ci sarà un uomo che abbia sofferto i
tormenti morali che Nostro Signore Gesù Cristo soffrì durante la Passione. Non
solo a causa degli apostoli che lo abbandonarono, ma a causa di tutte le offese
che soffriva da ognuna delle anime che era venuto a salvare. Non possiamo
sapere quanto soffrì nella Passione.
Quando arrivò alla preghiera nell’Orto degli Ulivi, quando arrivò
all’agonia, arrivò per così dire al punto finale della sua esistenza terrena e
finì tutto quanto aveva cominciato. In quella notte la sua opera era compiuta.
Tuttavia fece un’altra cosa: preparò la sua sensibilità fisica e spirituale,
preparò la sua Persona a prendere la croce e a soffrire tutto quanto doveva
soffrire. Quello che importava era prevedere, temere, accettare, decidere e
fare. Questa fu l’agonia di Nostro Signore Gesù Cristo.
Come sappiamo “agonia” vuol dire lotta. La lotta che Nostro Signore Gesù
Cristo affrontò contro quanto dentro di sé gli chiedeva che non venisse su di
Lui tutto quel cumulo di dolori. E di qui esattamente quella sua preghiera
pungente e toccante.
Cominciò ad avere timore e tremore, dice il Vangelo, paura di quello che
doveva succedere. Cominciò a sudare sangue: e non ci può essere maggiore
espressione di timore! E all’interno di questo timore non ci può essere
decisione più grande di quella che, al culmine della sofferenza morale, offrì
al Padre Eterno: “Padre, se è possibile, passi da me questo calice, ma sia
fatta la tua volontà, non la mia”.
Il che equivale a dire: “Se fosse possibile, preferirei non soffrire, ma se
secondo il tuo superiore disegno io devo assolutamente soffrire, allora non
insisto nella mia preghiera. Accetto la sofferenza che viene su di me e la
affronterò. Questa sofferenza la soffrirò. Patirò fino all’ultimo gemito,
all’ultima goccia di sangue, all’ultima lacrima. Non mi tirerò indietro!”.
Venne allora un angelo e gli diede forza.
Consideriamo qui un aspetto straordinario della Passione: Nostro Signore
Gesù Cristo non si tirò mai indietro, neppure quando vennero gli aguzzini a
prenderlo e gli dissero: “Sei tu Gesù di Nazareth?”. Disse subito: “Io lo
sono!”. Ma lo disse in un modo così terribile che tutti caddero con la faccia a
terra. Così egli mostrò che, se avesse voluto, non avrebbe sofferto quei
tormenti e avrebbe facilmente sconfitto quegli uomini. Ma che avrebbe sofferto
perché lo voleva lui.
Aveva il potere di far sparire quelle persone ma, nonostante tutto quanto
nel suo intimo gridava contro il dolore, accettava il dolore e voleva portare
il dolore fino alla fine.
In questo modello di eroismo vedete cosa sta al centro: la convinzione.
Naturalmente parlando in termini umani. Per parlare di Nostro Signore Gesù
Cristo adeguatamente dovremmo parlare dell’unione ipostatica, dunque delle
comunicazioni che la sua natura umana riceveva dalla sua divinità durante la
Passione. Ma desidero semplificare la questione ed esprimermi dunque in termini
umani.
Nostro Signore Gesù Cristo aveva una convinzione profonda. Sapeva che
doveva fare la volontà del Padre, e la voleva fare. In conseguenza di questa
volontà incrollabile, aveva un dominio invincibile sulle passioni. E in
conseguenza di questo dominio portò il martirio fino alla fine.
Qui c’è il modello dell’eroismo di Nostro Signore Gesù Cristo, la
spiegazione di quanto c’è di più recondito nell’eroismo di Nostro Signore Gesù
Cristo.
L’eroismo nella Chiesa
E si ripete in tutta la storia della Chiesa.
Ci sono momenti in cui il soffio dello Spirito Santo scuote la Chiesa e si
levano legioni di eroi. Per esempio, in occasione delle Crociate o della
Riconquista della Spagna e del Portogallo. Vediamo quegli eroi che partono,
spesso gioiosamente, per andare a combattere per liberare il Santo Sepolcro o
per disinfestare il territorio della Penisola Iberica dai Mori, dai musulmani
che l’avevano invaso.
Ma questi sono i momenti in cui la grazia comunica agli uomini una gioia
sensibile. È l’ora in cui la virtù e l’eroismo sono facili.
Non è l’aspetto migliore dell’eroismo dei Crociati. L’aspetto più alto lo
vediamo aprendo i libri sulle Crociate e studiando le sofferenze per cui sono
passati, i rischi che hanno corso, nei momenti in cui il soffio dello Spirito
Santo non si faceva più sensibile in loro, in cui dovevano affrontare un caldo
orribile, marce tremende per il deserto, decimazioni da parte della peste,
fame, attacchi di nemici di gran lunga superiori di numero e che spesso li
uccidevano in condizioni atroci. Però perseveravano nella risoluzione, nella
deliberazione di morire per Nostro Signore Gesù Cristo, fino all’ultimo.
È chiaro che in queste ore molte e molte volte la grazia cessava di farsi
sensibile. È chiaro che in queste ore le cose andavano com’erano andate per
Nostro Signore Gesù Cristo. Cioè una convinzione profonda, una determinazione,
un atto di volontà fermissimo – fatto come conseguenza di questa convinzione –
s’imponevano su tutti i sensi che dicevano “no” e che chiedevano “no”.
Senza questo non ci sarebbero state le Crociate. L’eroismo non è sempre
accompagnato dalla gioia sensibile soprannaturale. La morte comune dell’eroe
cattolico è nella paura, nello spavento, nel tedio e nel terrore, ma a tutto
questo resiste una convinzione profonda.
Le Crociate e la Riconquista non devono essere viste come allegre
passeggiate di uomini continuamente entusiasti di quanto facevano e che
morivano vedendo davanti a sé il Cielo aperto e si preparavano a entrarci
gioiosamente portati dagli angeli.
Ci furono Crociati che morirono così, ci furono pure martiri che morirono
così nel Colosseo o nel Circo Massimo, nella piena gioia di offrire la loro
vita. Ma sono morti eccezionali. La morte comune dell’eroe cattolico è la morte
nella paura, nello spavento, nel tedio e nel terrore, ma è mantenuta eroica da
una profonda convinzione.
Vero e falso eroismo: qui sta precisamente il contrasto fra le varie scuole
di eroismo che abbiamo esaminato e l’eroismo cattolico.
In queste scuole si considera sempre la paura come una vergogna. E la
convinzione interamente ragionata, interamente riflessa, interamente deliberata
e interamente ponderata la si considera una cosa secondaria. Si considera vero
eroe l’individuo preparato da una specie di surriscaldamento della propaganda
per fare quello che gli viene chiesto dal partito o dalla nazione. Che sia per
mezzo della “Marsigliese”, che sia per un inebriamento nelle falangi che
marciano con il passo dell’oca, che sia per l’ipnosi del Führer, o per il
romanticismo contagioso del Kaiser; o che sia per quell’altra specie d’ipnosi
sinistra che è il comunismo.
Tutto questo fa sì che gli uomini, fanatizzati e inebriati da un sistema di
propaganda, non sentano più il proprio istinto di conservazione e si buttino
ciecamente o follemente sulla punta del pericolo. Non condotti, dunque, da una
convinzione razionale ma solo da alcune idee semplici che sembrano evidenti e
che non sono state oggetto di una vera analisi.
Risultato: passato il momento dell’eroismo, il sistema si sfalda.
Questo sistema è fatto di alcuni grandi assalti e di vittorie. Ma se
l’assalto non dà risultato e si deve cominciare a resistere, il sistema non
tiene e si sfalda. Perché? Perché è tutto costruito sull’impeto, è un sistema
basato sull’impulso. E ciò che è costruito sull’impeto e basato sull’impulso
non dura.
La prova è nella storia di questi regimi. Sconfitto nella Prima Guerra
Mondiale il regime del Kaiser, la Germania Imperiale si dissolve interamente.
Non c’è invasione ma si consegna all’avversario per evitare l’invasione, e
rovina completamente. Quegli eserciti si dissolvono e tutti sono d’accordo
nell’arrendersi alla Francia per evitare che la Germania sia smembrata. Un
bell’assalto romantico termina in un calcolo economico e una capitolazione!
Nella Seconda Guerra Mondiale, attaccata dagli Alleati e dai Sovietici, la
Germania fu invasa e violentemente bombardata. Resistette, ma studiando bene la
storia si vede che l’anima della resistenza fu il popolino, che aveva una
tradizione di patriottismo. Dei capi molti si piegarono, si spaventarono o
cercarono di fuggire o di tradire. Quando Hitler si suicidò – o fuggì – a
Berlino era quasi rimasto solo.
Gli storici riconoscono che al momento dello sbarco in Normandia –
l’episodio che diede una svolta alla guerra – molti grandi generali tedeschi
rimasero nelle retrovie, lontani dal campo di battaglia. Uno era al compleanno
della madre, uno a farsi curare, uno a restaurare il suo castello, e così via.
Molti si preoccupavano della loro vita: l’impulso eroico era passato.
Prendiamo in considerazione gli integralisti [esponenti fascismo
brasiliano]. Ci fu un tempo in cui due forze nella gioventù brasiliana erano in
forte crescita: il movimento cattolico e il movimento integralista. Mi ricordo
una volta che un dirigente integralista ci venne a trovare e ci chiese: “Come
siete organizzati qui?”. Gli risposi: “Siamo un circolo di studio”. Disse: “Ma
perché un circolo di studio?”. Risposi: “Per compenetrarci della dottrina della
Chiesa e lottare per essa”. Disse: “No, no! Non è con i circoli di studio che
si preparano gli eroi. L’eroe si prepara galvanizzando, surriscaldando. Noi
integralisti quando si parla di comunismo non ci mettiamo a studiare ma ci
drizziamo come gatti e siamo pronti a piombare sui comunisti come gatti sui
topi”.
Io gli dissi: “Non darà nessun risultato, a meno che siate del tutto
irrazionali perché quando vi troverete davanti alla paura non avrete nulla per
difendervi”. Poco tempo dopo entrambi i movimenti si trovarono in difficoltà:
il dittatore Getúlio Vargas mise al bando l’Integralismo e nel mondo cattolico
cominciò a infiltrarsi il progressismo e a combatterci. Il Movimento
Integralista si disfece interamente e alcuni di quei “gatti” diventarono
comunisti.
Grazie a Dio noi invece continuammo, rischiando anche la vita e affrontando
pregiudizi morali e diffamazioni senza nome. Di lì fiorì il nostro movimento e
tutto quello che conosciamo. Siate eroici come Gesù!
Che cosa era successo? L’eroismo cattolico non ha nulla contro i corsi di
paracadutismo e tutte le forme di esercizio utili, ma al fondo di questo
eroismo ci dev’essere la Fede. Il fondo di questo eroismo è dunque la
convinzione: sono le certezze della Fede.
E queste certezze la persona le acquista nello studio, nella preghiera,
nella meditazione. Le acquista nella vittoria interiore contro sé stessa,
contro le sue passioni disordinate. Le acquista se è casta, pura, applicata al
lavoro e coerente. Le acquista formandosi uno spirito intransigente contro la
Rivoluzione che ruggisce cercando chi divorare; le acquista rispettando
l’umanità e vivendo esclusivamente per la causa cattolica senza preoccuparsi –
salvo quanto sia indispensabile ai suoi doveri di stato – dei suoi interessi
personali.
Così la persona forma veramente il suo eroismo, ed è pronta per essere un
eroe nel suo campo di battaglia. Questa è la differenza fra le scuole di
eroismo neo-pagane e la scuola di eroismo cattolico di cui noi – con i limiti e
le miserie di tutto quanto è umano – cerchiamo di essere discepoli.
È questo l’eroismo per cui dobbiamo prepararci.
La nostra ora è più che mai l’ora dell’eroismo. Il secolo che viene sarà il
secolo degli eroi, perché solo gli eroi sopravvivranno. Nessun altro riuscirà a
resistere. In quest’epoca è necessario comprendere che siamo nati per essere
eroi. Non eroi tutti impulso, istinto, temperamento ma eroi che sappiano essere
eroici come lo fu Nostro Signore Gesù Cristo. Qualcuno dirà: “Ma che paragone presuntuoso…”.
Rispondo: naturalmente non c’è nessun paragone, tranne che nel senso che
Gesù Cristo è il modello di ogni cattolico, e ogni cattolico è chiamato a
imitarlo. Lo stesso Nostro Signore Gesù Cristo disse: “Siate perfetti com’è
perfetto il vostro Padre Celeste”. Noi pertanto possiamo dire: “Siate eroici
come è eroico Nostro Signore Gesù Cristo”.
Questa è la scuola del vero eroismo.
Plinio Corrêa de Oliveira
(I grassetti sono nostri)
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