Postfazione
del 1992
Sala del Regno di Maria
Cattedra del Dottor Plinio, maestro della Contro-Rivoluzione
Con le
parole precedenti ho concluso le diverse edizioni di Rivoluzione e
Contro-Rivoluzione pubblicate dal 1976. Leggendo queste parole, chi ha fra le
mani questa edizione, comparsa nel 1992, si chiederà necessariamente a che
punto si trova oggi il processo rivoluzionario. La III Rivoluzione vive ancora
dopo gli avvenimenti dell’agosto del 1991 (cfr. l’aggiunta al punto 1, B, del
capitolo II, parte III)? Oppure la caduta dell’impero sovietico permette di
affermare che la IV Rivoluzione sta ormai per fare irruzione nel più profondo
della realtà politica dell’Ovest europeo, oppure che ha ormai vinto?
È necessario
distinguere. Attualmente, le correnti che propugnano l’instaurazione della IV
Rivoluzione si sono diffuse — anche se in forme diverse — in tutto il mondo, e
rivelano, più o meno ovunque, una sensibile tendenza a crescere.
In questo
senso, la IV Rivoluzione avanza in un crescendo promettente per quanti la
desiderano, e minaccioso per quanti si battono contro di essa. Ma sarebbe
un’evidente esagerazione dire che l’ordine di cose attualmente esistente
nell’ex URSS è ormai totalmente modellato secondo la IV Rivoluzione e non vi
resta nulla della III Rivoluzione.
La IV
Rivoluzione, benché includa anche l’aspetto politico, è una Rivoluzione che si
qualifica “culturale”, ossia che comprende grosso modo tutti gli aspetti
dell’esistenza umana. Così, gli scontri politici che si produrranno fra le
nazioni che costituivano l’URSS potranno condizionare fortemente la IV
Rivoluzione, ma è difficile che essi s’impongano in modo dominante agli
avvenimenti, cioè a tutto l’insieme degli atti umani che la “rivoluzione
culturale” comporta.
Ma cosa dice
l’opinione pubblica dei paesi che fino a ieri erano sovietici, e che in buon
numero sono ancora governati da vecchi comunisti? Non ha niente da dire
sull’argomento, dal momento che — secondo Revoluzione e Contro-Rivoluzione — ha
rappresentato un ruolo così grande nelle rivoluzioni precedenti?
La risposta
a questa domanda si dà con altre. In questi paesi esiste veramente un’opinione
pubblica? Può essere impegnata in un processo rivoluzionario sistematico? In
caso negativo, qual è il piano dei più alti dirigenti nazionali e
internazionali del comunismo sull’orientamento da dare a questa opinione?
È difficile
rispondere a tutte queste domande, posto che in questo momento l’opinione
pubblica dell’ex mondo sovietico si presenta evidentemente atona, amorfa,
immobilizzata sotto il peso di settant’anni di dittatura totale, in cui ogni
individuo aveva paura, in molti ambienti, a enunciare la propria opinione
religiosa o politica al proprio parente più prossimo o al suo amico più intimo,
perché una probabile delazione — velata o aperta, veridica o calunniosa — lo
poteva condannare a lavori forzati
senza fine, nelle gelide steppe della Siberia. Ma è comunque necessario rispondere a queste domande prima di elaborare
previsioni sul corso degli avvenimenti nell’ex mondo sovietico.
Si aggiunga
che i mezzi internazionali di comunicazione continuano a far riferimento, come
ho già detto, a un’eventuale migrazione di orde affamate, semi-civilizzate — il
che equivale a dire semi-barbare — nei ben forniti paesi europei, che vivono
nel regime consumista occidentale.
Povera
gente, piena di fame e vuota di idee, che si scontrerebbe allora con il mondo
libero, senza comprenderlo, un mondo che, per certi aspetti, potrebbe essere
qualificato come supercivilizzato e, per altri, come putrefatto!
Quale
sarebbe la conseguenza di questo scontro, sia nell’Europa invasa, sia, per
riflesso, nell’ex mondo sovietico? Una Rivoluzione autogestionaria, cooperativista,
struttural-tribalista (cfr. parte III, capitolo II, inciso aggiunto a questa
edizione al punto 1, B) oppure, immediatamente, un mondo di anarchia totale, di
caos e di orrore, che non avremmo timore di qualificare come di V Rivoluzione?
Nel momento
in cui questa edizione vede la luce è chiaramente prematuro rispondere a tali
domande. Ma il futuro ci si presenta così carico d’imprevisti che forse domani
sarà già troppo tardi per farlo. Infatti, quale sarebbe l’utilità dei libri,
dei pensatori, infine, di quanto resta di civiltà, in un mondo tribale nel
quale fossero scatenati tutti i furori delle passioni umane disordinate e tutti
i deliri dei “misticismi” struttural-tribalisti? Si tratterebbe di una
situazione tragica, nella quale niente avrebbe qualche significato, sotto
l’imperio del Nulla...
Gorbaciov è sempre a Mosca. E vi rimarrà almeno fino a quando non decida di accettare gl’inviti altamente promozionali che si sono affrettati a fargli, poco dopo la sua caduta, i rettori delle prestigiose università di Harvard, Stanford e Boston. Questo nel caso non preferisca accettare l’ospitalità regale che gli ha offerto Juan Carlos I, re di Spagna, nel celebre Palacio de Lanzarote, nelle Isole Canarie, oppure la cattedra alla quale è stato invitato dal famoso Collège de France.
Di fronte a
tali alternative, l’ex leader comunista, sconfitto in Oriente, sembra aver solo
l’imbarazzo della scelta fra gl’inviti più lusinghieri in Occidente. Fino a
questo momento ha deciso solo di scrivere una serie di articoli per una catena
di diversi giornali del mondo capitalista, mondo nelle cui alte sfere continua
trovare un sostegno tanto fervoroso quanto inspiegabile. E di far un viaggio
negli Stati Uniti, circondato da un grande apparato propagandistico, per
ottenere fondi per la cosiddetta Fondazione Gorbaciov.
Così, mentre
sta nella penombra nella sua stessa patria — e anche in Occidente la sua
funzione viene messa seriamente in questione —, magnati dell’Occidente
s’impegnano in modi diversi per mantenere le luci di una lusinghiera propaganda
accese sull’uomo della perestrojka, che, per altro, durante tutta la sua
carriera politica ha insistito nel dire che questa riforma da lui proposta non
costituisce il contrario del comunismo, ma una realizzazione di esso (cfr. parte
III, capitolo II, punto 1, B).
Quanto alla
debole federazione sovietica, che agonizzava quando Gorbaciov fu rimosso dal
potere, ha finito per trasformarsi in una quasi immaginaria
"Federazione di Stati Indipendenti”, fra i cui componenti si vanno
accendendo serie frizioni, causa di preoccupazione per uomini pubblici e
analisti politici. Tanto più perché diverse di queste repubbliche o
repubblichette possiedono armamenti atomici che possono mettere in campo le une
contro le altre — oppure contro gli avversari dell’islam, la cui influenza nel
mondo ex sovietico cresce di giorno in giorno — con vive apprensioni per quanti
sono preoccupati dell’equilibrio planetario.
Gli effetti
di queste eventuali aggressioni atomiche possono essere molteplici. Fra essi,
principalmente, l’esodo di popolazioni in altri tempi contenute da quella che è
stata la Cortina di Ferro e che, pressate dai rigori di un inverno abitualmente
inclemente e dai rischi di enormi catastrofi, possono sentire impulsi
raddoppiati a “chiedere” l’ospitalità dell’Europa Occidentale. E non solo di essa, ma anche di nazioni del
continente americano...
In favore di
queste prospettive, in Brasile, il signor Lionel Brizola, governatore dello
Stato di Rio de Janeiro, con plauso del ministro dell’Agricoltura del governo
federale, ha proposto di chiamare contadini dell’Europa Orientale nel quadro di
programmi ufficiali di Riforma Agraria. Poi, il presidente dell’Argentina,
Carlos Menem, nel corso di incontri con la Comunità Economica Europea, ha
dichiarato la disponibilità del suo paese ad accogliere molte migliaia di
questi migranti. E poco dopo il titolare del ministero degli Esteri colombiano,
signora Nohemí Sanin, ha detto che il governo del suo paese studia l’ammissione
di tecnici provenienti dall’Europa Orientale. Le ondate delle invasioni possono
giungere fino a questi estremi.
E il
comunismo? Che ne è di esso? La forte impressione che sia morto si è
impadronita della maggior parte dell’opinione pubblica d’Occidente, conquistata
dalla prospettiva di una pace universale di durata indeterminata. O forse di
una durata perenne, con la conseguente scomparsa del terribile fantasma
dell’ecatombe nucleare mondiale.
Ma questa
“luna di miele” dell’Occidente con il suo supposto paradiso di distensione e di
pace perde gradatamente il suo brillio
.
Infatti,
abbiamo fatto riferimento poco prima alle aggressioni di ogni tipo che
lampeggiano nei territori della defunta URSS. Quindi ci dobbiamo chiedere se il
comunismo è morto. All’inizio, le voci che mettevano in dubbio l’autenticità
della morte del comunismo sono state rare, isolate e scarsamente fondate.
A poco a
poco, qua e là, ciononostante sono comparse ombre all’orizzonte. In nazioni
dell’Europa Centrale e dei Balcani, come dello stesso territorio dell’ex URSS,
si è venuto notando che, in alcuni casi, i nuovi detentori del Potere erano
figure di rilievo dei partiti comunisti locali. Fatta eccezione per la Germania
Orientale, il percorso verso la privatizzazione nella maggioranza dei casi si
sta facendo più in apparenza che in realtà, cioè a passi di tartaruga, lenti e
senza regola completamente definita.
Ossia, si
può dire che in questi paesi il comunismo è morto? Oppure che è semplicemente
entrato in un complicato processo di trasformazione? Dubbi a questo proposito
vanno crescendo, mentre gli ultimi echi della gioia universale per la supposta
caduta del comunismo vengono spegnendosi discretamente.
Quanto ai
partiti comunisti delle nazioni dell’Occidente, sono ovviamente avvizziti al
fracasso dei primi crolli nell’URSS. Ma già ora diversi di essi cominciano a
riorganizzarsi con nuove etichette. Questo mutamento di etichetta costituisce
una risurrezione? Una metamorfosi? Propendo di preferenza per quest’ultima
ipotesi. Solo il futuro potrà dare certezze.
Questo
aggiornamento del quadro generale in funzione del quale il mondo va prendendo
posizione, mi è parso indispensabile come tentativo di far un poco di chiarezza
e di ordine in un orizzonte, nei cui quadranti cresce soprattutto il caos. Qual
è l’orientamento spontaneo del caos, se non un’indecifrabile accentuazione di
sé stesso?
In mezzo a questo caos, solo qualcosa non cambierà. È, nel mio cuore e sulle mie labbra, come in quello di quanti vivono e pensano in sintonia con me, la preghiera trascritta poco sopra:
“Ad te levavi oculos meos qui habitas in coelis.
“Ecce sicut oculi servorum in manibus dominorum suorum,
“Sicut oculi ancillae in manibus dominae suae: ita oculi nostri ad Dominam matrem nostram, donec misereatur nostri”.
È l’affermazione dell’immutabile fiducia dell’anima cattolica, in ginocchio, ma incrollabile, in mezzo alla convulsione generale.
Incrollabile con tutta la forza di quanti, in mezzo alla burrasca, e con una forza d’animo maggiore di questa, continuano ad affermare dal più profondo del cuore: Credo in Unam, Sanctam, Catholicam et Apostolicam Ecclesiam, contro la quale, secondo la promessa fatta a Pietro, le porte dell’inferno non prevarranno.
Plinio Corrêa de Oliveira - "Rivoluzione e Contro-Rivoluzione"
Titolo originale: "Revolução e Contra-Revolução",
pubblicato su Catolicismo, São Paulo, Brasile,
Aprile 1959 (I et II), Gennaio 1977 (III)
Traduzione di Giovanni Cantoni
Prima edizione italiana, 1963, Dell’Albero,
Torino. Seconda e terza edizioni italiane, 1972 e 1976, Cristianità, Piacenza
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Luci sull’Est
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