giovedì 26 settembre 2013

Pio XII - Tre punti sulla questione sociale

Radiomessaggio ai lavoratori della Spagna  (11 marzo 1951)


Amatissimi figli, imprenditori, tecnici e lavoratori spagnuoli, raccolti a Madrid e nelle provincie per consacrarvi a Cristo Redentore e rendere il vostro fervente omaggio di filiale devozione al suo Vicario in terra: quale magnifico spettacolo, lasciateci cominciare così, quello di una massa imponente di operai, come la vostra, che acclama a Gesù Cristo come a suo vero Redentore!

Perché al lavoratore, all’operaio, all’uomo dalla vita aspra e difficile, a cui i problemi di oggi non fanno dimenticare le preoccupazioni del domani, sono molti quelli che già si son presentati e che gli si presentano specialmente in questi ultimi tempi inalberando la bandiera della redenzione. Voi, senza dubbio, continuate a rimanere avvinti alla bandiera di Cristo e confessate apertamente e solennemente col primo  Papa S. Pietro:  <<Non c’è salvezza in alcun altro. Perché non c’è sotto il cielo altro nome dato agli uomini per il quale abbiamo ad essere salvati>> (Atti 4,12). A Lui, alla sua Chiesa, al successore di Pietro voi desiderate rimaner fedeli, costi quel che costi.

Tuttavia lealtà si paga con lealtà. E poiché certamente voi sperate da Noi, in questo momento, una parola intorno a ciò che la Chiesa può offrirvi per la sicurezza della vostra esistenza e la soddisfazione delle vostre giuste aspirazioni, questa parola, con tutto il Nostro affetto paterno, desideriamo dirvela. Eccola, dunque, in tre punti: 

Nessun può accusare la Chiesa di essersi disinteressata della questione operaia e della questione sociale o di non avere ad esse riconosciuto l’importanza dovuta. Poche questioni la Chiesa ha preso tanto a cuore come queste due, da quando, sessant’anni or sono, il Nostro grande Predecessore Leone XIII, con la sua Enciclica Rerum Novarum, pose nelle mani dei lavoratori la Magna Carta dei loro diritti.

La Chiesa ha avuto ed ha piena consapevolezza delle sue responsabilità. Senza la Chiesa la questione sociale è insolubile; ma neppure essa sola la può risolvere. Ha bisogno della collaborazione delle forze intellettuali, economiche, tecniche dei pubblici poteri. 

Da parte sua essa ha offerto, per la fondazione religiosa e morale di tutto l’ordine sociale, programmi ampi e ponderati. Le legislazioni sociali dei diversi paesi non sono altro che applicazioni, in gran parte, dei principi stabiliti della Chiesa. Non dimenticate ancora che quanto di buono e di giusto si trova negli altri sistemi s’incontra già nella dottrina sociale cattolica. E quando questi sistemi indicano al movimento operaio mete che la Chiesa respinge, si tratta sempre di beni illusori che sacrificano la verità, la giustizia sociale o il vero benessere di tutti i cittadini.

Nella sua storia bimillenaria, la Chiesa s’è trovata a vivere in mezzo alle più svariate strutture sociali, da quella antica con la schiavitù sino al moderno sistema economico, indicato dalle parole capitalismo e proletariato. Giammai la Chiesa ha predicato la rivoluzione sociale; ma sempre e dappertutto, dalla Lettera di S. Paolo a Filemone sino agli insegnamenti sociali dei Papi del secolo decimonono e ventesimo, si è tenacemente adoperata per ottenere che si facesse più conto dell’uomo che non dei vantaggi economici e tecnici perché quanti fanno per parte loro ciò che possono vivano una vita cristiana e degna di essere umani. 

Per questo la Chiesa difende il diritto alla proprietà privata, diritto da essa considerato fondamentalmente intangibile. Ma insiste altresì sulla necessità di una più giusta distribuzione della proprietà e denunzia quanto v’è di contrario alla natura in una condizione sociale, dove, a fianco di un esiguo gruppo di privilegiati e ricchissimi, vive una enorme moltitudine popolana immiserita. Disuguaglianze economiche esisteranno sempre; ma tutti coloro che, in qualche modo, possono influire nell’andamento della società, devono sempre mirare a raggiungere una condizione tale, che permetta a quanti fanno ciò che è in loro potere non solo di vivere, ma anche di fare risparmi. Molti sono i fattori che devono concorrere a una maggiore diffusione della proprietà, ma il principale sarà sempre il giusto salario. Voi sapete molto bene, diletti figli, che il giusto salario e una migliore distribuzione dei beni naturali costituiscono due delle più urgenti esigenze del programma sociale della Chiesa.

Essa vede di buon occhio, anzi favorisce tutto ciò che, nei limiti concessi dalle circostanze, tende a introdurre elementi del contratto di società nel contratto di lavoro e migliora lo stato generale del lavoratore. Parimente consiglia tutto ciò che contribuisce a rendere le relazioni fra padroni e operai più umane e più cristiane e animate da vicendevole fiducia. La lotta di classe non potrà mai essere un fine sociale e le discussioni fra padroni e operai devono avere per fine principale la concordia e la collaborazione.

Ma quest’opera la possono portare a compimento soltanto uomini che vivono di fede e adempiono il loro dovere nello spirito di Cristo. Mai fu facile la soluzione della questione sociale, ma le indicibili rovine di questo secolo l’hanno resa angosciosamente difficile. La riconciliazione delle classi, la disposizione al sacrificio e al mutuo rispetto, la semplicità della vita, la rinunzia al lusso richiesta imperiosamente dalle odierne condizioni economiche: tutto questo, e tante altre cose, si potranno ottenere soltanto con l’aiuto della Provvidenza e della grazia di Dio. Siate, dunque, uomini di preghiera. Elevate le vostre mani a Dio, affinché per Sua misericordia e nonostante tutte le difficoltà si attui questa grande opera.

In quest’occasione non possiamo fare a meno di rivolgere alcune parole di paterno elogio a quelle istituzioni che avete creato e continuate a creare in gran numero allo scopo di formare i giovani lavoratori, facendo di essi eccellenti operai specializzati e nello stesso tempo convinti cristiani. Non potrete fare cosa migliore. E nel progresso e rigoglio di questa opera vediamo il segno promettente per il futuro. Si suol muovere accusa alla fede cristiana di consolare il mortale, che lotta per la vita, con la speranza dell’al di là. La Chiesa, si dice, non sa soccorrere l’uomo nella sua vita terrena. Nulla di più falso.

Basta dare uno sguardo al passato della vostra cara Spagna: chi più della Chiesa ha fatto perché la vita familiare e  sociale vi fosse felice e tranquilla? Come anche per quel che riguarda la soluzione della questione sociale, nessuno ha presentato un programma che superi la dottrina della Chiesa in sicurezza, consistenza e realismo. Perciò è tanto maggiore il suo diritto a esortare e consolare tutti, ricordando loro che il significato della vita terrena sta nell’al di là, nella vita eterna. Quanto più vivamente vi lasciate penetrare da questa verità, tanto più vi sentirete spinti a collaborare per una soluzione accettabile della questione sociale.

Sempre sarà vero che la cosa più preziosa che a questo fine possa dare la Chiesa è un uomo che, fermamente ancorato alla fede di Cristo e alla vita eterna, adempia, spinto da essa, i compiti di questa vita. Questo era ciò che desideravamo dirvi.

Una parola ancora, amatissimi lavoratori spagnuoli, per accogliere e gradire l’omaggio reso alla Nostra umile persona. E che cosa possiamo dire riguardo alla Nostra corrispondenza? Durante tutto il Grande Giubileo, che è appena terminato, abbiamo visto con i Nostri propri occhi, toccato con le Nostre proprie mani il fervido entusiasmo del popolo spagnuolo per il Papa. Tuttavia i pellegrini spagnuoli - tra i quali ricordiamo, cari lavoratori, specialmente quelli che erano presenti alla chiusura della Porta Santa - hanno potuto vedere, hanno anche potuto sperimentare l’amore che il Papa loro riserva. <<La Spagna per il Papa!>> era il grido appassionato e incontenibile; al quale Noi abbiamo risposto con paterno amore: <<E il Papa per la Spagna!>>.

Che Dio vi benedica, carissimi figli, e benedica ugualmente la vostra patria e i vostri dirigenti, come Noi con piena effusione di paterno affetto tutti benediciamo.

Tratto Dai Discorsi e radiomessaggi di S.S. PIO XII. Roma, 1952, vol. XIII, pp. 5-8

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