Dall'archivio, tanti aspetti di molta attualità...
Nel mio
ultimo articolo ho analizzato un aspetto della reazione del pubblico brasiliano
di fronte alla personalità di Giovanni Paolo II. Si tratta di una reazione
molto estesa, poiché, come enormi vibrazioni, ha percorso vaste masse umane in
tutti i settori della opinione pubblica. Tanto uomini di sinistra come di
centro oppure di destra, cattolici, protestanti, scismatici, ebrei, buddisti,
musulmani, spiritisti, atei, sono affluiti in grande numero per applaudire
Giovanni Paolo II, in un tumultuoso moto di gioia.
Questo
fatto lasciava intravedere, nelle masse spaventate e variamente torturate dei
nostri giorni, la speranza che, a contatto con le doti personali -
personalissime - di Papa Wojtyla, avrebbero ricevuto, unitamente a effluvi di
ottimismo, di allegria, di semplicità e di salute, un peculiare know-how per
risolvere, secondo formule inedite, i problemi di ogni individuo, di ogni
famiglia, della nazione intera.
Certamente, nell'animo dei cattolici non vi era
solamente questa speranza, ma anche la convinzione che Karol Wojtyla è il
successore di Pietro. Ma questa nobile convinzione, fondata sulla fede, era un
denominatore comune specifico dei cattolici. Tra cattolici e non cattolici, il
denominatore era, il più delle volte, Karol Wojtyla, come persona splendente di
specifiche doti individuali; e l'ansia di ricevere, nel profondo abisso della
afflizione in cui si trovano, qualcosa che sazi il loro desiderio di serenità,
di pace e di abbondanza. Crisi di afflizione – ansie di felicità: l'alternativa
è molto divaricante. Dal fondo di queste ansie di benessere, di pace, di
serenità, che facevano palpitare milioni di petti umani raccolti vicino a
Giovanni Paolo II, mi è parso venire alla luce, attraverso il gioco stesso di
questa tensione, il sogno utopistico di una completa felicità terrena, che
tanti dei presenti speravano di ottenere, meno da Giovanni Paolo II che da
Karol Wojtyla.
Tale ansia mi ha lasciato così preoccupato, poiché si
presenta con un potenziale di ingenuità e una precarietà emotiva della quale
qualche demagogo potrà trarre, in qualsiasi momento, sinistro partito.
La concordia senza macchia, la pace perfetta ed eterna
fra tutti gli uomini, tutte le nazioni e tutte le dottrine, la felicità totale
non sono di questo mondo. In questa terra di esilio, le privazioni, i
contrasti, le catastrofi sono inevitabili; e una visione cristiana della vita
porta, nello stesso tempo, a limitarle per quanto possibile, e a rassegnarsi a
esse perché inevitabili.
Questa dura lezione, così sgradita al neopagano dei
nostri giorni, la ricordo in un testo aureo di san Luigi Maria Grignion di
Montfort, l'incomparabile apostolo della devozione alla Madonna.
Trattando della eterna lotta tra la Vergine e il
serpente, egli ci mostra anzitutto la vita dei popoli come una grandiosa,
tragica e incessante guerra tra la verità e l'errore, il bene e il male, il
bello e il brutto. Si tratta di una battaglia senza la quale la esistenza
terrena dell'uomo, privata del suo significato soprannaturale, perderebbe la
sua dignità.
Commentando le parole della Genesi: "Porrò
inimicizie tra te e la donna, tra la stirpe di lei; ella ti schiaccerà il capo,
e tu insidierai il suo calcagno" (Gen. 3, 15), il grande santo [Luigi
Grignion da Montfort] osserva con profondità: "Dio ha fatto e preparato
una sola, irreconciliabile inimicizia, che durerà e anzi crescerà fino alla
fine: l’inimicizia tra Maria, sua degna Madre, e il diavolo; tra i figli e
servi di Maria Vergine e i figli e aderenti di Lucifero; a tal segno che la
nemica più terribile del diavolo che Dio abbia mai creata, è Maria, sua santa
Madre" (op. cit., n. 52).
Ed egli passa subito a descrivere la grande guerra che
divide l’uomo in modo inesorabile, fino alla fine della storia. Tale guerra non
è altro che un prolungamento della opposizione tra la Vergine e il serpente,
tra la progenie spirituale di quella e la progenie spirituale di questo:
"Sin dal paradiso terrestre (…) il Signore le ispirò tanto odio contro
quel maledetto nemico di Dio, e le diede tanta abilità per scoprire la malizia
di quell’antico serpente, tanta forza per vincere, abbattere e schiacciare
quell’empio orgoglioso, che il demonio la teme, non soltanto più di tutti gli
Angeli e gli uomini, ma, in certo qual senso, più di Dio stesso" (ibidem).
All’interno di questo quadro, la "clemens,
pia, dulcis Virgo Maria", che il Dottore Mellifluo, san Bernardo, ha
cantato con particolare soavità nella "Salve Regina", ci è presentata
da san Luigi Maria come una vera torre di combattimento: "Turris
davidica", esclama la litania lauretana.
Nel corso della Storia, i figli della Madonna
combatteranno fino alla fine del mondo contro i figli di Satana. E la vittoria
finale sarà dei primi, grazie all’intervento della Madre di Dio: "Dio non
ha costituito soltanto una inimicizia, ma delle inimicizie; l’una tra la
Vergine e il demonio, l’altra tra la stirpe di Maria e la stirpe del demonio.
In altre parole, Dio ha posto inimicizie, antipatie e odi segreti tra i veri
figli e servi della Vergine Maria e i figli e schiavi del demonio: non possono
volersi bene tra loro! non ci può essere intesa tra loro!
"I figli di Belial, gli schiavi di Satana, gli
amici del mondo – che è la stessa cosa – hanno sempre perseguitato e
continueranno più che mai a perseguitare quelli e quelle che appartengono a
Maria ss., come un giorno Caino ed Esaù, figure dei reprobi, perseguitarono i
loro rispettivi fratelli Abele e Giacobbe, figure dei predestinati.
"Ma l’umile Maria riporterà sempre vittoria sul
quel superbo, e vittoria così grande, che riuscirà persino a schiacciargli il
capo ove si annida il suo orgoglio; ne svelerà sempre la malizia di serpente;
ne sventerà le trame infernali; ne manderà in fumo i diabolici disegni e
difenderà sino alla fine dei tempi i suoi servi fedeli da quelle unghie
spietate" (Ibid., n. 54).
Ben inteso, anche i nostri giorni sono stati, sono e
saranno scossi da questo terribile scontro, che non coincide necessariamente
con le guerre del secolo, ma ha qualche rapporto con esse. E ha soprattutto un
rapporto ovvio con le innumerevoli rivoluzioni che hanno scosso l’Occidente,
come era stato predetto dalla Madonna a Fatima.
La soppressione di questa lotta attraverso una
riconciliazione ecumenica tra la Vergine e il serpente, tra la stirpe della
Vergine e la stirpe del serpente, verso una èra nella quale la cessazione
utopistica dello scontro porti con sé un accordo tra tutti i diritti, tutti gli
interessi, una interpenetrazione di tutte le lingue sotto un governo universale
che sarà solamente abbondanza e serenità, ecco la grande utopia contro la quale
devono essere messe in guardia le masse. Ecco il regresso (o, piuttosto, la
retrocessione) alla orgogliosa torre di Babele, che in ogni modo il
neopaganesimo cerca di riedificare. Ecco la bandiera interamente tessuta di
illusione e di menzogna con la quale, in tutte le epoche, i demagoghi hanno
cercato di trascinare le masse insorte.
Ecco, anche, quale mi è parso essere il pericolo verso
cui possono scivolare molti di coloro che, vedendo nel nostro illustre
visitatore di poco fa, non – o almeno non tanto – l’augusto vicario di Cristo,
ma un atleta oppure un demiurgo in materie socio-economiche, a forza di riporre
la loro fiducia nell’uomo, possono finire per sottovalutare o per dimenticare
che è il vicario di Dio.
Plinio Corrêa de Oliveira
("Folha de S. Paulo" del
12-8-1980. Tratto da Cristianità,
Maggio 1982)
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