Trionfale
ingresso di Giovanna d'Arco ad Orléans
Plinio
Corrêa de Oliveira solleva una questione spinosa e più attuale che mai: odiare
è peccato? Si, no? Perché? Senza indietreggiare dinanzi al “politicamente
incorretto”, svolge a fondo l'argomento e dissipa la spaventosa confusione di
idee che esiste a questo proposito.
Odiare
è peccato? Si, no? Perché? Se qualcuno si incaricasse di fare tra i cattolici
un'inchiesta a riguardo, raccoglierebbe risposte molto strane, rivelando di
solito una spaventosa confusione di idee, una fondamentale illogicità.
Per
molta gente, ancora intossicata da resti di romanticismo ereditato dal secolo
XIX, l’odio non è solo un peccato, ma è
il peccato per eccellenza. La definizione romantica dell’uomo cattivo è di
colui che ha odio nel cuore. In senso contrario, la virtù per eccellenza è la
bontà, e perciò tutti i peccati hanno una loro attenuante se commessi da una
persona di “buon cuore”. Si sente con frequenza questa frase: “povero X, ha
avuto la debolezza di ‘sposarsi’ in Uruguay, ma in fondo è una persona molto
buona, ha un ottimo cuore”. Oppure: “povero Y, ha lasciato che rubassero nel
suo reparto, ma è stato per un eccesso di bontà: non sa dire di no, a nessuno”.
Che
cos'è dunque una persona di “buon cuore”? Ovviamente, inizia col non essere un
cuore propriamente detto, ma uno stato d’animo. Ha “buon cuore” chi prova in se
stesso, molto spiccatamente, ciò che soffrono gli altri. E che, appunto perciò,
non fa mai soffrire nessuno. È per “buon cuore” che una persona può lasciare
sistematicamente impuni le cattive azioni dei propri figli, permettere che
l’anarchia invada la classe in cui insegna, o gli operai che dirige. Un
rimprovero farebbe soffrire, e a ciò non si decide l’uomo di “buon cuore”, che lui
stesso soffre troppo nel far soffrire gli altri.
Il “buon cuore”, sacrifica
tutto a questo obbiettivo essenziale, di risparmiare la sofferenza. Se vede
qualcuno lagnarsi del rigore dei Dieci Comandamenti, pensa subito ad certe
riforme, attenuazioni od interpretazioni accomodanti. Se vede qualcuno soffrire
di invidia perché non è nobile, o milionario, pensa subito alla
democratizzazione. Se giudice, la sua “bontà” lo porterà a cavillare con la
legge per ritenere impuni certi crimini. Da commissario di polizia, chiuderà
gli occhi a certi fatti che il suo dovere gli imporrebbe di reprimere. Come direttore
di una prigione, vorrà trattare il condannato come una vittima innocente dei
difetti dell’epoca e dell’ambiente; e, di conseguenza, instaurerà un regime
penale che trasformerà la casa di correzione in un punto di incontro di tutti i
vizi, in cui la libera comunicazione tra i carcerati esporrà ognuno al contagio
di tutti i virus che ancora non ha. Se professore, promuoverà in modo assonnato
e bonario gli alunni che meriterebbero al massimo un 2 o un 3. In qualità di
legislatore, sarà sistematicamente propenso a tutte le riduzioni di ore di
lavoro e a tutti gli aumenti di salario. Nella politica internazionale, sarà a
favore di tutte le capitolazioni imprevidenti, pigre e semplificanti purché, senza
l'uso dell'energia, si salvi la pace per qualche giorno ancora.
Soggiacente
a tutti questi atteggiamenti, si trova l'idea che nel mondo esiste un solo
male, cioè il dolore fisico o morale: di conseguenza, il bene è tutto ciò che
tende ad evitare o a sopprimere la sofferenza, e il male è ciò che tende a produrla
o aggravarla. Il “buon cuore” ha una forma speciale di sensibilità, per cui si commuove
alla vista di qualsiasi sofferenza, e difende qualsiasi individuo che soffre,
come se fosse vittima di una ingiusta aggressione. All'interno di questo
concetto, “amare il prossimo” è non volere che egli soffra. Far soffrire il
prossimo equivale sempre e necessariamente a portargli odio.
Da
ciò ne consegue per l’uomo di "buon cuore” una psicologia molto speciale.
Tutti coloro che hanno zelo per l’ordine, per la gerarchia, per l’integrità dei
principi, per la difesa dei buoni contro gli attacchi del male, sono crudeli, perché
con la loro energia “fanno soffrire” i “poveri disgraziati” che “hanno avuto la
debolezza” di cadere per qualche scivolone.
E
se per tutti i peccatori della terra l’uomo di “buon cuore” manifesta tolleranza,
è molto probabile che abbia odio verso l’uomo di “cattivo cuore” che “fa
soffrire gli altri”.
Questi
sono i lineamenti generali con i quali si può sintetizzare uno stato d'animo
molto frequente. È chiaro che abbiamo mirato a un caso in tesi. Grazie a Dio,
solo un numero relativamente ridotto di
persone arriva a questi estremi in tutti i campi. Ma è frequente incontrare
gente che in diversi punti agisce interamente così.
E
costituiscono una moltitudine le persone in cui si può riconoscere perlomeno alcuni
indizi di questo stato d'animo.
Anche
qui, certi esempi sono illuminanti. Per mostrare quanto questo male è radicato
nel brasiliano, scegliamo quegli esempi nei modi di parlare e di sentire comunemente
riscontrabili tra i cattolici.
Affinché
si capisca bene che cosa c’è di errato negli esempi che daremo, iniziamo
ricordando rapidamente quale é su questo argomento l’autentica dottrina
cattolica.
Per
la Chiesa, il grande male in questo mondo non è la sofferenza, ma il peccato. E
il grande bene non consiste nell’avere una buona salute, una tavola abbondante,
un sonno tranquillo, il godere onori, il lavorare poco, ma nel fare la volontà
di Dio. La sofferenza è certamente un male. Ma questo male può in molti casi
trasformarsi in bene, in mezzo di espiazione, di formazione, di progresso
spirituale. La Chiesa è Madre, la più tenera, la più sollecita, la più tenera
delle madri. Di lei si può dire, come della Madonna, che è Mater Amabilis,
Mater Admirabilis, Mater Misericordiae.
Quindi, ha sempre cercato, cerca ancor oggi e sino alla fine dei secoli
cercherà quanto possibile di allontanare dai suoi figli e da tutti gli uomini,
qualsiasi dolore inutile.
Tuttavia mai smetterà di imporre loro il dolore,
nella misura in cui la richiedono la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Ella
ha esatto dai martiri di tutti i secoli che accettassero i tormenti più atroci,
chiese ai crociati che abbandonassero il conforto della loro casa per
affrontare mille fatiche, combattimenti senza fine e la propria morte in terra
straniera. E ancora oggi chiede ai missionari che si espongano a tutti i
rischi, a tutte le fatiche, nei luoghi più inospitali e lontani. A tutti i
fedeli, chiede una lotta incessante contro le passioni, uno sforzo interiore
continuo per reprimere tutto quanto è male. Ebbene, tutto ciò suppone
sofferenze talmente grandi, che la Chiesa le considera insopportabili per l'umana
debolezza, al punto di insegnare che, senza la grazia di Dio, nessuno può
praticare nella sua totalità e durevolmente, i Comandamenti.
Tutte
queste sofferenze, la Chiesa, certamente le impone con prudenza e bontà, ma
senza vacillamento, né rimorso, né debolezza. E questo, non malgrado sia una
buona madre, ma appunto perché lo é. La madre che sentisse rimorso, vacillasse o cedesse nell’obbligare il figlio
a studiare, a sottomettersi a cure mediche penose ma necessarie, ad accettare delle
meritate punizioni, non sarebbe una buona madre.
Questo
comportamento, la Chiesa lo aspetta anche dai suoi figli, non solo nei
confronti di sé stessi, ma anche del prossimo. È giusto che ci dispensiamo dei
dolori inutili ed evitabili. Dobbiamo avere per il prossimo un cuore misericordioso,
addolorandoci delle sue sofferenze e non risparmiando sforzi per alleviarli. Tuttavia,
dobbiamo amare la mortificazione, dobbiamo castigare coraggiosamente il nostro
corpo e, principalmente, combattere con tenacia, chiaroveggenza e meticolosità
i difetti della nostra anima. E siccome l’amore per il prossimo ci porta a
desiderargli lo stesso che desideriamo per noi, non dobbiamo esitare nell'aiutarlo
a soffrire, purché sia necessario alla sua santificazione.
Quindi,
nell’applicazione di questi principi è facile segnalare molti deviamenti
causati dal concetto romantico del “buon cuore”.
È
“buon cuore” avere una certa condiscendenza verso le forme celate di divorzio,
per compassione dei coniugi; essere a favore dell’abolizione dei voti religiosi
e del celibato sacerdotale, per commiserazione delle persone consacrate a Dio;
considerare con lassismo i problemi riferenti alla limitazione della prole per pietà
della mamma, ecc. ecc.
In altri campi il
“buon cuore” consiste nell’essere contro le polemiche ancorché giuste e
temperanti, contro l’Index [Indice
dei libri proibiti], contro il Santo Uffizio [Congregazione per la Dottrina
della Fede], contro l’Inquisizione (anche senza gli abusi a cui diede occasione
in alcuni luoghi), contro le Crociate,
perché tutto ciò fa soffrire. In altri ambiti ancora, il “buon cuore” consiste
nel non parlare del demonio, ne dell’inferno o del purgatorio; nel non avvisare
gli ammalati che sono prossimi alla morte, e non dire ai peccatori la gravità del
loro stato morale, non parlargli di mortificazione, ne di penitenza, ne di
emenda, perché pure questo fa soffrire. Ci è già capitato di vedere un
educatore cattolico manifestarsi contro i premi scolastici perché farebbero
soffrire gli alunni fannulloni! Come abbiamo anche già visto associazioni
religiose che tollerano nel loro interno elementi pericolosi per gli associati
e disedificanti per il pubblico, perché l’espulsione di questi elementi li
farebbe soffrire. Parlare contro le mode e i balli immorali, promuovere una
censura cinematografica senza lassismo, tutto ciò in ultima analisi sembra
privo di carità, appunto perché “fa soffrire”. Su questo, siamo venuti a
conoscenza di qualcuno che sconsigliava una campagna contro i giornali immorali
perché una iniziativa del genere “farebbe soffrire” gli editori le cui anime bisogna
salvare!
Abbiamo
fatto tutta questa lunga digressione per focalizzare meglio il problema che sin
dall’inizio formulavamo: per il “buon cuore”, ogni odio è necessariamente un
peccato. Si può fare una simile affermazione alla luce della dottrina
cattolica?
Pensando
al pericoloso furore della valanga dei “buoni di cuore” di cui il Brasile è colmo,
quasi non osiamo formulare questa domanda. E certamente non risponderemo a nome
nostro. Ma parleremo mediante la grande ed autorizzata voce di S. Tommaso. È
quel che faremo nel prossimo articolo.
Plinio
Corrêa de Oliveira
(Rivista "Catolicismo", Ottobre 1953)
Giovanna d’Arco è un esempio tipico di virtù eroica,
praticata, non solo con atti di lode e di applausi,
ma anche di
collera e reazione.
Modello di combattività cristiana, lei fece,
con ammirevoli risposte nell’iniquo processo che subì,
l’apologia della virtù
in quanto applicata nel
combattere e stroncare il male.
Quindi, quando i giudici le chiesero de Santa Caterina
e Santa Margherita odiassero gli inglesi, Giovanna d’Arco rispose:
“Loro amano ciò
che Nostro Signore ama e odiano ciò che Dio odia”.
– “Dio odia gli inglesi?” – continuarono i giudici. –
“Dell’amore o dell’odio che Dio ha per gli inglesi, non
so nulla",
rispose la Santa;
"quello che so perfettamente, è che tutti loro
saranno espulsi dalla Francia, tranne coloro
che qui moriranno”.
Le
vignette:
Un
leone rampante, simbolo araldico della combattività, marcato con un antico tau,
che nella visione di Ezechiele (Ez. 9,4) è il segno di coloro che non sanno
sorridere all’iniquità dei loro fratelli. Le iscrizioni riproducono alcuni dei
tanti ed infuocati richiami contro gli operatori del male, riscontrabili
nell’Antico Testamento.
Inimicitias ponam:
porrò inimicizie...tra la tua discendenza e quella della Donna (Genesi, 3.15)
Scribae et pharisaei
hypocritae : scribi e farisei ipocriti (Mat. 23.33)
Serpentes, genimina
viperarum: serpenti, razza di vipere (Mat. 23.33)
Pleni hypocrisi et
iniquitate: siete pieni di ipocrisia ed iniquità (Mat. 23.28)
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