Francesco, dimorando nel romitorio di Fontecolombo, chiamò il suo amico Giovanni Velita, signore di Greccio, invitandolo a preparare quanto sarebbe servito per la celebrazione natalizia: "Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello".
Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il disegno esposto dal santo. E giunse il giorno della letizia, il tempo dell'esultanza! Per l'occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia.
Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme. Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucarestia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali, perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme.
Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava 'Bambino di Betlemme', e quel nome 'Betlemme' lo pronunciava riempendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva 'Bambino di Betlemme' o 'Gesù', passata la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole. Vi si manifestano con abbondanza i doni dell'Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso (Giovanni Velita), ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo.
Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del santo, il fanciullo Gesù veniva resuscitato nei cuori di molti, che l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria.
Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.
(Estratto da: "Francesco d'Assisi e la Valle Reatina" di Paolo Rossi)
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