«Gravi ed ad un tempo»
24 dicembre 1948
24 dicembre 1948
Oggi, al termine di un anno, che si era aperto con tante speranze, la Nostra voce paterna invita di nuovo, voi, spiriti retti e riflessivi, voi, cristiani sinceri, a considerare qual è al presente la condizione della umanità e della cristianità, e qual è il mezzo per avanzare con passo franco e fermo nel sentiero che la dura necessità dei tempi, non meno che la vostra coscienza vi additano.
[…] Alcuni riprendono l’antico detto, non del tutto falso, ma che si presta ad essere frainteso e di cui si è spesso abusato: «si vis pacem, para bellum»: se vuoi la pace, prepara la guerra. Altri credono di trovare la salvezza nella formula: pace a tutti i costi! Ambedue le parti vogliono la pace, ma ambedue la mettono in pericolo; gli uni, perché destano la diffidenza; gli altri, perché incoraggiano la sicurezza di chi prepara l’aggressione. Ambedue quindi compromettono, senza volerlo, la causa della pace.
[…] La volontà cristiana di pace viene da Dio. Egli è il «Dio della pace»; Egli ha creato il mondo per essere un soggiorno di pace; Egli ha dato il suo precetto di pace, di quella «tranquillità nell’ordine», di cui parla S. Agostino.
È facilmente riconoscibile.
La cristiana volontà di pace è facilmente riconoscibile. Ossequiente al divino precetto della pace, essa non fa mai, di una questione di prestigio o di onore nazionale, un caso di guerra od anche soltanto una minaccia di guerra. Essa si guarda bene dal perseguire con la forza delle armi la rivendicazione di diritti, che, quantunque legittimi, non compensano il rischio di suscitare un incendio con tutte le sue tremende conseguenze spirituali e materiali.
[…] È segno di forza. La solidarietà dei popoli contro lo spirito di aggressione
La vera cristiana volontà di pace è forza, non debolezza o stanca rassegnazione. Essa è tutt’uno con la volontà di pace dell’eterno e onnipotente Dio.
[... ] Appoggiata su Dio e sull’ordine stabilito da Lui, la volontà cristiana di pace è dunque forte come l’acciaio. Essa è di una ben altra tempra che il semplice sentimento di umanità, troppo spesso fatto di pura impressionabilità, che non aborrisce la guerra se non a causa dei suoi orrori e delle sue atrocità, delle sue distruzioni e delle sue conseguenze, e non anche della sua ingiustizia. A un tale sentimento, d’impronta eudemonistica e utilitaria, e di origine materialistica, manca la salda base di una stretta e incondizionata obbligazione. Esso crea quel terreno, nel quale allignano l’inganno dello sterile compromesso, il tentativo di salvarsi a spese di altri, e in ogni caso la fortuna dell’aggressore.
Ciò è così vero, che né la sola considerazione dei dolori e dei mali derivanti dalla guerra, né l’accurata dosatura dell’azione e del vantaggio, valgono finalmente a determinare, se è moralmente lecito, od anche in talune circostanze concrete obbligatorio (sempre che vi sia probabilità fondata di buon successo), di respingere con la forza l’aggressore. […]
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