lunedì 5 marzo 2012

La Rivoluzione Francese in marcia (II)

Commissione di studio ispirata al pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira
La storia e i suoi grandi personaggi -  Capitolo XXI (Parte II)




L'ASSEMBLEA LEGISLATIVA

I partiti
Secondo la Costituzione, il potere esecutivo competeva al Re, e quello legislativo ad un'assemblea formata da deputati eletti dal popolo. Svoltesi le elezioni, in Francia si formò la prima Assemblea Legislativa. I deputati erano divisi in tre correnti. La destra era costituita dai più moderati, i "foglianti" o "costituzionali", che difendevano la monarchia costituzionale. Il centro, che era la maggioranza, era composto dai cosiddetti "indipendenti" o "imparziali"; all'inizio appoggiarono la destra, poi, andarono a sinistra. La sinistra era dominata dai "girondini", che erano repubblicani; il loro nome derivava dal fatto che la maggioranza dei suoi membri era costituita da deputati di una regione chiamata Gironda.

Le sessioni della Costituente erano disordinate; quelle dell'Assemblea Legislativa erano addirittura anarchiche. "Immaginiamo - dice una testimone oculare- un'aula scolastica dove gli studenti, in ogni momento, sono sul punto di prendersi per i capelli; il vestire era disordinato, gli insulti frequenti". La platea sputava sugli oratori più moderati. C'era un trambusto continuo, accompagnato da fischi e schiamazzi.

La guerra
L'anarchia rivoluzionaria provocò una seria crisi economica; l'agitazione cresceva di giorno in giorno. I rivoluzionari cominciarono a vedere nella guerra un mezzo per sensibilizzare l'opinione pubblica, derubare il Re, fortificare il loro potere, oltre che per contribuire a diffondere la Rivoluzione nell'intera Europa. Luigi XVI, da parte sua, vedeva nella vittoria o nella sconfitta un mezzo per recuperare il prestigio della corona, e recuperare i suoi antichi poteri. All'estero, i nobili che erano emigrati per fuggire la persecuzione rivoluzionaria, incitavano i sovrani europei ad un intervento armato in Francia, ma questi si mostra mostravano indifferenti alla sorte del Re di Francia, o se qualche volta avevano manifestato un po’ di pietà per lui, la loro simpatia altro non era che un lamento di semplice etichetta.

Approfittando di certi contrasti politici fra l'Austria e la Francia, i rivoluzionari convinsero Luigi XVI a dichiarare guerra "al Re d'Austria e Ungheria". La dichiarazione di guerra dell'aprile 1792, fu un avvenimento capitale nella storia della Rivoluzione: la guerra offrì la possibilità di abbattere la monarchia, di stabilire il Terrore, la dittatura napoleonica e, poi, l'Impero.

La caduta della monarchia
La Francia, completamente disorganizzata dalla Rivoluzione, non era nelle condizioni di affrontare una guerra: le sconfitte si succedettero a ripetizione e l'opinione pubblica, già abbastanza agitata, si sentì ferita nel suo orgoglio patriottico. I rivoluzionari approfittarono della situazione.

L'Assemblea Legislativa promulgò nuove misure rivoluzionarie contro i preti refrattari e gli emigrati che però il Re rifiutò di approvare. Le Tuleries, nuova abitazione del sovrano, furono allora invase da turbe di ribelli che insultarono grossolanamente il monarca. Questi avvenimenti provocarono una reazione conservatrice: diverse province inviarono a Parigi mozioni di protesta e La Fayette, comandante di una parte delle truppe in guerra, offrì a Luigi XVI il suo appoggio per sciogliere il club dei giacobini. Ma Maria Antonietta rispose che preferiva morire piuttosto che essere salvata da La Fayette e dai costituzionali.

La situazione diventava sempre più critica; l'Assemblea dichiarò la "Patria in pericolo".  I rivoluzionari più radicali approfittarono della situazione per abbattere la monarchia e, su istigazione di Robespierre, fu inviata all'Assemblea una petizione che richiedeva la deposizione del Re. Una provincia giunse perfino a dichiarare che non riconosceva più l'autorità regia. Il Duca di Brunswick, comandante delle truppe in lotta contro la Francia, lanciò un manifesto in cui faceva delle minacce ai rivoluzionari: essi lo sfruttarono per esaltare ancor più gli animi. A Parigi cominciarono a riunirsi bande armate provenienti dall'interno. Mandat, comandante della Guardia Nazionale e moderato, fu sostituito da Santerre, un agitatore. Così la difesa delle Tuleries rimase interamente disorganizzata, facilitando l'azione dei rivoluzionari.

Il 10 agosto, i ribelli organizzarono l'attacco contro le Tuleries. Il palazzo era difeso da corpi di truppe eterogenei; una buona parte non meritava fiducia, ed era pronta a tradire in qualsiasi momento; i più fedeli non disponevano di armi sufficienti. Tuttavia, un capo intelligente, che congedasse gli individui sospetti e organizzasse la resistenza, sarebbe potuto uscire vittorioso dalla situazione. Ma il comando era proprio quel che mancava.

Luigi XVI, assertore del principio di non-resistenza al male, terrorizzato dalle false notizie che giungevano, si ritirò nel palazzo prima che iniziasse la lotta. La sua diserzione, ovviamente, fu imitata da gran parte delle truppe, che non aveva motivi di sacrificarsi. Gli svizzeri non abbandonarono il loro posto e resistettero vittoriosamente ai primi attacchi, tuttavia il Re ordinò per iscritto la resa. Il castello fu invaso, e furono assassinati perfino i cuochi; mentre un folle suonava all'organo della chiesa il "dies irae", alcune persone furono buttate vive dalle finestre ed infilzate in basso sulla punta delle lance; altre furono fatte a pezzi, mutilate e i loro cadaveri bruciati; specchi, mobili, tappeti, oggetti d'arte, tutto fu rubato o rotto; un incendio divorò la costruzione. Il Re non amava le violenze...

L'Assemblea Legislativa decretò la sospensione del Re e l'elezione di un'Assemblea
Convenzionale, incaricata di riformare la Costituzione. Al posto del Re fu nominato un Consiglio Esecutivo provvisorio, dominato da Danton. La famiglia reale fu rinchiusa nella prigione del Tempio (era stata una antica fortezza dell'Ordine dei Templari). Il comune di Parigi, passò sotto il dominio di Marat e Robespierre: con questi fatti ebbero inizio i governi rivoluzionari.

I massacri di settembre
Il colpo di Stato del 10 agosto portò alle più funeste conseguenze. La Comune di Parigi, una specie di organo amministrativo municipale, cominciò ad esercitare una vera dittatura, con una serie di misure eccezionali che costituirono la cosiddetta "politica rivoluzionaria di salute pubblica". Nella Comune vi era un pugno di uomini usciti dai rifiuti della società: il presidente, Huguenin, già responsabile di concussione nell'esercizio delle sue funzioni; Rossignol, assassino, Manuel, ladro e falsario; Hebert, ispettore teatrale licenziato per furto; Panis, già funzionario del Tesoro, licenziato per ammanchi.

Oltre alla sospensione del Re, furono adottate numerose misure contro il clero e la nobiltà. La Chiesa Costituzionale fu interamente subordinata allo Stato. Fu decisa l'introduzione del divorzio.
Cominciarono seri conflitti tra l'Assemblea Legislativa, dominata dai girondini, e la Comune di Parigi, diretta da Robespierre e dai giacobini. I rivoluzionari più moderati, i Costituzionali, furono eliminati. Le prigioni cominciarono a riempirsi. Le difficoltà della guerra provocarono una nuova dichiarazione della condizione di "Patria in pericolo". Su istigazione di Marat, cominciò il massacro degli elementi considerati "complici dello straniero". "Prima di scomparire - diceva Marat - sopprimete i vostri nemici e finite le vostre vittime. Piombate su coloro che hanno carrozze, servitù e vestiti di seta. Visitate le prigioni, assassinate i nobili, i preti e i ricchi; non lasciate dietro a voi se non sangue e cadaveri".

La carneficina venne organizzata metodicamente. Cominciarono le esecuzioni sommarie decretate da tribunali popolari improvvisati. Prigioni e conventi furono attaccati. In 5 giorni furono assassinate 1400 persone. In un convento di carmelitani, furono uccise più di 100 persone. La principessa di Lamballe - amica intima di Maria Antonietta - fu decapitata e la sua testa fu esposta sotto la finestra della prigione della regina. Danton, ministro di giustizia, non fece nulla per proteggere i prigionieri: "Poco mi importano i prigionieri, si arrangino come possono". Questi orrori furono opera di un centinaio di banditi. Ma il terrore era tanto grande che nessuno osava resistere né protestare.


LA CONVENZIONE

I partiti
L'Assemblea Convenzionale, o Convenzione, cominciò a funzionare nel settembre del 1792. Quel che più sorprende negli avvenimenti dell'epoca rivoluzionaria, a partire dall'Assemblea Legislativa, è il piccolo numero di individui che vi prendevano parte. Nelle elezioni, la cifra dei votanti era insignificante. Per strada, il numero dei manifestanti calava di giorno in giorno; a Parigi, quando erano molti, arrivavano a 6.000 o 7.000, sempre gli stessi, che facevano della sommossa un espediente per vivere.

La Convenzione fu eletta durante i massacri di settembre ed ebbe una forte presenza giacobina. Il principio della sovranità popolare fece grandi "progressi". I deputati costituzionali, più moderati non poterono essere rieletti perché fu loro impedito di tornare al proprio domicilio elettorale; i giornali della destra furono sospesi e ne furono distrutte le macchine; gli elementi moderati furono perseguitati; fu abolito il voto segreto e bande di assassini si aggiravano per le sale dove si votava. Fu in queste condizioni che il popolo manifestò la sua sovranità: su 7 milioni di elettori, 6.300.000 si astennero, volontariamente o per forza. "Sul grande popolo che tace, regna il piccolo popolo che parla, i giacobini".

Nel corso della prima sessione, il 21 settembre, fu decretata l'abolizione della monarchia. Il giorno seguente fu stabilita, indirettamente, la repubblica. I deputati si presentavano divisi in tre correnti: la Gironda, la "Montagna" e la "Pianura" o "Palude". Questa volta la destra era rappresentata dai girondini, che nell'Assemblea Legislativa costituivano la sinistra. Ma gli avvenimenti avevano subito una tale evoluzione, che ora erano diventati la destra. Essi non avevano accompagnato la marcia della Rivoluzione, non avevano tratto le ultime conseguenze dai principi rivoluzionari; dicevano: "la Rivoluzione si ferma con noi".
Erano repubblicani e anticlericali, avevano contribuito alla caduta della monarchia, rappresentavano l'alta borghesia, cioè i "rospi" dell'epoca. Dicevano di rispettare la proprietà e si dichiaravano contro l'intervento dello Stato nel campo economico. Erano partigiani di un regime che funzionasse secondo i principi rivoluzionari, ma usando vie legali.

I "montagnardi" costituivano la sinistra. Erano chiamati così perché occupavano i banchi a sinistra nell'aula della Convenzione. Avendo tratto dai principi rivoluzionari le conseguenze ultime, volevano portare la Rivoluzione fino in fondo e perciò non facevano economia nell'uso della violenza. I più "avanzati" avevano idee apertamente comuniste. Dato che si era stabilita l'uguaglianza politica e civile, perché non stabilire anche quella economica, ridistribuendo i beni, o espropriando tutti a profitto dello Stato? Alcuni sostenevano l'idea che questa seconda rivoluzione era una necessità e che senza essa, la prima sarebbe stata nulla.

Il prete Bolivier giunse a dire: "E' certo che coloro che sono chiamati proprietari non lo sono se non
a titolo di beneficiari per legge. Solo la nazione è veramente proprietaria delle sue terre". Un altro affermava: "I beni devono essere comuni; non ci sarà se non una cantina e un granaio, dove ognuno andrà a cercare quel che gli è necessario". Il prete Jacques Roux divenne il leader dell'estrema sinistra, dei cosiddetti "arrabbiati". La Rivoluzione ha la sua logica e le sue leggi: la politica socialista delle riforme è il suo modo di procedere ordinario, ma coloro che non l'accompagnano in questa marcia, saranno allontanati dal cammino.

Il centro era formato dalla cosiddetta "pianura" o "palude". Erano i moderati, che tentavano una politica di conciliazione: tra i suoi membri vi erano gli ardenti difensori del principio del "cedere per non perdere".

Il processo al Re
Una volta abolita la monarchia, la figura del Re era imbarazzante per i rivoluzionari. In base alla Costituzione il Re era inviolabile; la Rivoluzione aveva invece necessità di liberarsi di lui: "in una repubblica un Re senza corona è utile per due sole cose: o per turbare la tranquillità dello Stato ed abbattere la libertà, o per fortificare l'una e l'altra", diceva Robespierre. "E' necessario condannarlo a morte immediatamente, in virtù del diritto di insurrezione". Lo Stato d'animo che presiedette all'iniquo processo ben si esprime nella frase di Saint Just: "Non vogliamo giudicare il Re, vogliamo ammazzarlo". 

Se il Re risultava innocente, logicamente erano i rivoluzionari ad essere colpevoli: la sua condanna era necessaria per giustificare la Rivoluzione. Il processo al Re fu una delle più commoventi tragedie della Storia. La sua difesa non ebbe altro risultato che dare all'assassinio un carattere di ipocrisia giuridica che lo rende ancora più odioso, infatti il monarca fu assistito da tre avvocati: Tronchet, De Sexè e Malesherbes, che tante volte avevano protetto i filosofi, ma, nonostante tutto, Luigi XVI manifestò nel corso del processo la più grande nobiltà d'animo. I dibattiti alla Convenzione furono particolarmente "accesi". Fra coloro che si espressero a favore della morte del Re si distinse l'abate Gregoire, vescovo "costituzionale"di Blois. Luigi XVI fu condannato a morte per 361 voti contro 360. Il voto fu pronunciato ad alta voce, e quando il Duca d'Orleans, Filippo "egalité" (uguaglianza), cugino del Re, votò per la morte di Luigi XVI, gli stessi rivoluzionari non nascosero il loro disgusto verso il principe traditore.

L'esecuzione avvenne il 21 gennaio 1793. Il monarca ebbe l'assistenza di un sacerdote "refrattario".
Le precauzioni prese dai rivoluzionari ben mostrano la preoccupazione che avevano per le possibile conseguenze del fatto: dalla prigione al luogo della ghigliottina, fu allineata una doppia fila di soldati; 1.500 uomini scortavano il carro reale e 25.000 erano concentrati nella piazza della Rivoluzione, dove si ergeva il catafalco.

Per Luigi XVI, così debole e indeciso, la morte costituì una vera riabilitazione. Secondo il
commento dello storico Albert Sorel, "il patibolo gli preparò un'aureola. Per la prima volta Luigi XVI seppe svolgere il proprio ruolo". Sansone, il boia, disse: "Sia detto ad onore del vero, che egli sopportò tutto con una calma e una fermezza che ci spaventava. Sono convinto che il Re abbia trovato una tale fermezza nei principi della Religione". 
Il Papa Pio VI, nell'allocuzione al Concistoro, considerò la morte di Luigi XVI come un vero martirio, poiché la sua morte fu una conseguenza del furore satanico e anti-cattolico della Rivoluzione.

Conflitti interni fra i rivoluzionari
All'inizio la Convenzione fu dominata dai girondini, che però avevano serie divergenze con i montagnardi, accusati di essere partigiani del federalismo cioè di desiderare l'instaurazione in Francia di una repubblica federata, simile a quella esistente negli Stati Uniti. A loro volta, i montagnardi erano accusati di voler instaurare una dittatura e di aver organizzato i massacri di settembre. 

Di fatto, le maggiori divergenze tra le due fazioni, oltre alle profonde rivalità personali fra i rispettivi capi, riguardavano il metodo con cui sviluppare l'azione rivoluzionaria: gli uni volevano usare il comunismo, gli altri non lo volevano. Diversi fattori contribuirono ad esacerbare gli animi:

1) l'atteggiamento ambiguo dei girondini nel processo al Re;
2) la questione del federalismo: i girondini si opponevano alla tirannia di Parigi sui dipartimenti;
3) il modo di condurre la guerra;
4) le accuse dei girondini contro Marat, Robespierre e Danton.

I girondini sbagliarono nell'accusare i tre leaders della montagna contemporaneamente, poiché ciò fece sì che si appoggiassero reciprocamente. Se li avessero attaccati uno per volta, avrebbero forse avuto l'appoggio degli altri due e avrebbero diviso la montagna. Marat, accusato dai girondini, fu dichiarato innocente dal Tribunale Rivoluzionario. Questa sentenza permise alla Montagna di attaccare la Gironda: nel giugno del 1793 un colpo di mano eliminò 27 girondini dalla Convenzione e ne annientò il partito. Da ciò derivò la rivolta federalista in Normandia e a Tolone, e, più tardi, l'assassinio di Marat da parte di Carlotta Corday, amica e ammiratrice dei capi girondini.

Il Terrore
Il processo a Luigi XVI segnò la fine della repubblica borghese e provocò serie conseguenze. All'estero, si formò la Prima Coalizione contro la Francia rivoluzionaria, una vasta alleanza militare formata in pratica da tutte le potenze europee. All'interno si scatenò la guerra civile con l'insurrezione della Vandea. A questi fatti se ne sommano altri come la fame, la sempre maggiore disorganizzazione economica del paese, i continui disordini, ecc.

Con la caduta dei girondini, la Francia rimase nelle mani dei giacobini più esaltati, i montagnardi. Per mantenersi al potere, i rivoluzionari cominciarono ad adottare una serie di misure eccezionali, chiamate di "salute pubblica".

Il Governo Rivoluzionario creò il "Comitato di Salute Pubblica", incaricato di controllare i ministri e di prendere tutte le misure necessarie per garantire la Rivoluzione. Le competenze del "Comitato" divennero, col passare del tempo, sempre maggiori: divenne un vero dittatore con molte teste ma con una struttura estremamente centralizzata: a fianco del Comitato di Salute Pubblica, funzionava il Tribunale Rivoluzionario.
Il giudice, il pubblico ministero, ed i giurati erano nominati dalla Convenzione. Le decisioni del Tribunale erano inappellabili, ed i condannati erano uccisi immediatamente. Per la condanna era sufficiente la deposizione di un unico testimone. Il pubblico ministero, Fouquier-Tinville, fu una delle figure più sinistre della Rivoluzione. Fu l'iniziò del "Terrore". La Rivoluzione si tolse completamente la maschera: smise di parlare di libertà e di diritti individuali, iniziando la persecuzione più crudele di tutti coloro che dissentivano dai suoi principi; la Rivoluzione, per trionfare, cercò di sterminare i suoi avversari.

Fu promulgata la "legge dei sospetti", secondo cui sarebbero stati puniti tutti coloro sui quali gravavano semplici sospetti non solo di ostilità alla Rivoluzione, ma persino di non piena adesione ad essa.
Le migliaia di vittime compresero sia Maria Antonietta che i leaders rivoluzionari che non avevano saputo adeguarsi all'evoluzione degli avvenimenti.

Il "Terrore" fu segnato da un tentativo di scristianizzazione della Francia. La religione cattolica fu sostituita con la Religione della Patria e della Libertà. Fu istituito il calendario rivoluzionario: i mesi furono divisi in tre decadi facendo scomparire la domenica, i nomi dei santi e le feste religiose. La Comune fece celebrare nella cattedrale di Notre Dame una festa della Libertà e della Ragione, nella quale un'attrice di operetta fu posta sull'altare al posto dell'immagine di Nostra Signora. Vennero incoraggiate l'apostasia e il matrimonio dei preti "costituzionali"; tutte le chiese furono chiuse, i tesori sacri saccheggiati, molte immagini mutilate e i nomi cristiani di città, strade e piazze sostituiti con nomi anti-cattolici.

Queste misure provocarono reazioni che i rivoluzionari più lucidi tentarono di arginare: Robespierre, ad esempio, fece votare una legge di facciata che proibiva "qualsiasi violenza e misura contraria alla libertà di culto".

Il "Grande Terrore"
Massimiliano Robespierre incarna la fase più sanguinosa della Rivoluzione Francese. Era un piccolo borghese, avvocato mediocre, assai curato nel vestire, dall'aria aspra, naso all'insù, barba folta ed espressione soddisfatta, conduceva una vita agiata. Profondamente imbevuto dei principi rivoluzionari, ne conosceva assai bene la meccanica.

Nel 1789, era monarchico; dopo i fatti di Varennes, chiese la sostituzione del Re con mezzi conformi alla Costituzione; nell'Assemblea Legislativa divenne repubblicano e alla Convenzione socialista. Era un "ortodosso" in base alla ortodossia del giorno; come disse un grande storico, incarnava "la dottrina rivoluzionaria in azione".

Tutti i grandi leaders rivoluzionari avevano un punto debole: uno era di pessimi costumi, un altro invischiato in affari poco puliti, un altro criminale. Robespierre, al contrario, era considerato onesto, corretto e pulito. A quanto si sapeva, conduceva una vita semplice, non amava il denaro, le avventure o la buona tavola. Viveva esclusivamente per la Rivoluzione. Perciò era chiamato l' "incorruttibile": eppure era dominato da un amor proprio e una superbia senza limiti. Una volta dissipati i pericoli che minacciavano la Rivoluzione, un gruppo di montagnardi, diretti da Danton, propose la creazione di una "Giunta di clemenza", allo scopo di finirla col Terrore e ristabilire l'impero della legge e della giustizia. Contro costoro, che furono conosciuti col nome di
"indulgenti", si erse la corrente degli "enragés" (furiosi), diretti da Hebert. Gli "enragés" erano atei, comunisti e feroci nemici del cattolicesimo.

Robespierre li accusò di esagerare le misure rivoluzionarie per provocare, mediante degli eccessi, il ritorno degli aristocratici. Alleatosi con gli "indulgenti", liquidò gli "enragés", che furono ghigliottinati. Alcuni giorno dopo, fece in modo che anche gli "indulgenti" fossero ghigliottinati, con l'accusa di furti e di voler restaurare la monarchia. Allora cominciò la dittatura personale di Robespierre, nota col nome di "Grande Terrore".
Partigiano delle concezioni più ugualitarie, cominciò ad applicare questi principi al campo economico-sociale pianificando una redistribuzione parziale delle proprietà. Stabilì come culto ufficiale la religione rivoluzionaria, basata sulla fede in un Essere Supremo e sulla immortalità dell'anima. Infine, emanò la più terribile delle leggi che sopprimeva le garanzie essenziali della giustizia: essa proibiva la difesa degli accusati davanti al Tribunale Rivoluzionario, l'interrogatorio preliminare e la deposizione dei testimoni.

La "reazione termidoriana"
La situazione giunse a tali eccessi che l'opinione pubblica non tollerava più il regime del terrore.
Robespierre si creava dei nemici dappertutto. Il disordine e la miseria erano sempre maggiori. In
questo clima sorse la cosiddetta "reazione termidoriana", parola derivata da "termidoro" che era
l'undicesimo mese del nuovo calendario rivoluzionario (dal 20 giugno al 18 agosto).
Il giorno 9 di termidoro dell'anno II (27 luglio 1794), Robespierre fu spodestato da un colpo di
mano preparato dai suoi avversari e tentò di spararsi, ma la palla colpì la mascella; dei suoi
collaboratori, Lebas si suicidò, suo fratello si lanciò da una finestra ma si ruppe solo una gamba,
Couthon fu pescato in fondo ad una scala che si fingeva morto e Saint-Just si lasciò prendere senza opporre resistenza.

Con l'esecuzione di Robespierre e dei suoi compagni, il Terrore finì ed il potere passò nelle mani di
elementi che dovevano rivelarsi più moderati. Il nuovo Governo diede inizio ad una politica "terzaforzista", combattendo tanto le correnti di destra quanto quelle di sinistra, e reprimendo sia le manifestazioni monarchiche che quelle giacobine.



continua...



Come per il cristiano non esiste una filosofia a sé stante,
così non esiste per lui neppure una Storia puramente umana...
la Storia rappresenta il grande palcoscenico sul quale si dispiega nella sua interezza
l'importanza dell'elemento soprannaturale,
sia quando la docilità dei popoli alla fede consente a tale elemento di prevalere
sulle tendenze basse e perverse presenti nelle nazioni come negli individui,
sia quando esso si indebolisce e sembra sparire a causa del cattivo uso della libertà umana
che porterebbe al suicidio degli imperi...

(Dom Prosper Gueranger O.S.B., Abate di Solesmes)

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