Nel Regno di Maria, ci saranno
“Angelici” nei più svariati campi
formando una sinfonia armonica,
riportando sempre al Signore nostro Dio
Ecco
qualche cenno biografico sul Beato Angelico:
“Guido di Pietro nacque il 1387, a
Firenze. Quando aveva vent'anni, mentre ascoltava, in una notte di Natale, l'omelia
di un noto domenicano, Fra Giovanni, decise di entrare nell'Ordine dei
Predicatori e vi fu ammesso come novizio nel convento di San Domenico, a Fiesole.
Il giovane dimostrava già una grande attitudine artistica, ma ritenne più
opportuno abbandonarla per consacrarsi a Dio. I suoi confratelli di abito invece
lo dissuasero da questa idea, incoraggiandolo a sviluppare i suoi talenti. Perciò,
il priore gli ordinò subito di ornare i ‘Libri delle ore’ della biblioteca
conventuale. La sua vita, inizialmente tranquilla, fu alterata per tre volte dai
trasferimenti di convento. Infatti, il primo spostamento si dovette allo Scisma
d’Occidente, poiché il superiore di Fiesole, il beato Giovanni Dominici non riconosceva
il papa che la repubblica di Firenze aveva ammesso.
“Tuttavia, questi trasferimenti contribuirono all’arricchimento spirituale e artistico di Fra Giovanni, specialmente il periodo trascorso a Foligno, vicino ad Assisi, che il santo frate visitava con frequenza. Da buon domenicano, aveva un grande entusiasmo per l’opera di San Tommaso d’Aquino, la conosceva perfettamente, di essa nutriva la sua pietà e su di essa, inconsciamente, fondava le basi della sua opera futura. Nella Somma Teologica scopriva la sua nuova ragion d’essere e il suo ideale artistico.
“Per
la bellezza sono necessari tre doni, diceva San Tommaso: in primis, l’integrità e la perfezione, perché le
cose incompiute, sono in quanto tali deformate; inoltre, ci vuole una proporzione ed armonia tra le parti.
Infine, occorrono la chiarezza e lo
splendore. Infatti riteniamo belle le cose dai colori chiari e splendenti.
Fra Giovanni fece di questa legge la sua regola d’oro. Nel 1418, i domenicani
di Fiesole ritornano al loro convento e allora il santo frate, colmo di soddisfazione,
si dedica alla sua arte. La sua prima grande opera fu un quadro destinato alla
Certosa di Firenze; si susseguirono altre, sempre più numerose. I frati trasbordavano
di ammirazione. Uno di loro disse: ‘Fra Giovanni non dipinge, prega’.
Fra Angelico,
il “San Tommaso” della pittura
“In effetti la sua arte era un cantico,
una preghiera. Non prendeva mai i suoi pennelli senza invocare l’Onnipotente ed
è in stato di grazia che collocava i suoi angeli nei giardini fioriti del
Cielo. I suoi angeli musicanti erano così belli e talmente puri che la loro melodia
sembrava diffondersi in note cristalline tra le arcate del convento, man mano
che il pittore dava loro vita. Era allora che, ogni tanto, un anziano frate
apriva la cella del pittore, guardava meravigliato e se ne andava senza fare
rumore, nascosto dal suo cappuccio. E fu proprio questo ammiratore discreto e
dimenticato che gli diede il nome glorioso: quello di Angelico. Un unico
religioso, prima di lui, era stato degno di averlo: San Tommaso d’Aquino, la
sua guida e il suo maestro. Da quel giorno in poi, Fra Angelico si meritò l’epiteto
di "divino" e divenne il ‘San
Tommaso’ della pittura.
“Nel 1435, Fra Angelico fu incaricato
di dipingere gli affreschi del vecchio Convento di San Marco, a Firenze. Si impegnò
anima e corpo al lavoro e, ogni giorno, prima dell’aurora, uno spettacolo
divenne familiare ai monaci di San Marco: in piedi sopra una impalcatura che gli
permetteva di toccare il tetto di ogni stretta cella, un curioso penitente
recitava il suo Rosario: era il Fra Angelico che pregava prima di incominciare a
dipingere. Inginocchiati a terra, altri due giovani monaci lo accompagnavano nella
preghiera. Tre povere lampade a olio illuminavano la scena, facendo tremolare
le ombre e splendere le tonsure. Dunque, il pennello dell’Angelico, che dicevano
quasi fosse fatto con capelli di angeli, iniziava a muoversi e a colorare. Il
suo azzurro era ineguagliabile. “Dipingo ispirandomi alla volta celeste del
Paradiso”, soleva dire sorridendo. Fra Giovanni ottenne da Roma la stima e
l’amicizia del Santo Padre. Un giorno, questi lo giudicò degno del
Arcivescovato di Firenze, che era vacante. Ma l’Angelico supplicò il Papa di
designare al suo posto un suo fratello dell’Ordine domenicano, suo amico, un religioso
pieno di scienza e umiltà. Fu così che Fra Angelico indicò un arcivescovo che verrebbe
canonizzato cent’anni dopo, Santo Antonino, che combatté tenacemente il Rinascimento…
“L’umile religioso, divenuto uno degli
artisti più celebri del suo tempo, era ancora a Roma quando l’ultima infermità lo
sorprese nel convento dei Frati Predicatori di Santa Maria Sopraminerva. La
sera del 18 febbraio del 1485, il monastero era ravvolto da un grave silenzio.
Ogni frate aspettava, nella propria cella o nel coro, l’istante in cui la
campana avrebbe rintoccato per annunciare l’ultimo sospiro di Fra Angelico.
Alle otto, il breve e doloroso segnale suonò. In pochi minuti, la cella e i
corridoi si riempirono di monaci in ginocchio. Da quel silenzio si innalzò la
melodia della Salve Regina, mentre il viso di Fra Giovanni si illuminava con un
calmo sorriso. La leggenda narra che, in quel momento, una lacrima scivolò sul viso di tutti gli angeli dei suoi quadri, quegli
angeli che egli aveva dipinto senza sapere che gli avrebbero portato l’aureola
del suo inimitabile genio e della sua santità”.
È
una bellissima scheda storica, perché è una bellissima biografia. Mi si è reso
persino difficile selezionare qualche aspetto, per farvi un commento di questa
vita.
Innanzitutto,
è bello notare uno dei princìpi della Civiltà Cattolica che viene qui affermato,
cioè il principio della reversibilità dei piani. Ogni forma di ordine, di
bellezza, di virtù esistente in un piano, è suscettibile di essere trasposta in un altro piano.
Perciò, se vi fu un Tommaso d’Aquino
nell’ordine della filosofia e della metafisica, deve esserci un “Tommaso
d’Aquino” nell’ordine della pittura, come deve esserci un altro nell’ordine
della musica e in tutti gli altri ordini. Questo a causa di un principio,
che è il principio monarchico dell’universo,
secondo il quale tutti i talenti devono ridursi o sublimarsi in un talento
supremo; tutte le opere devono
incontrare il loro punto di inserimento in un'opera suprema e, pertanto, devono
esserci dei supremi in tutti gli ordini e direzioni. Supremi la cui supremazia ubbidisce
agli stessi princìpi che sono negli ordini dell’essere. L’essere, in quanto
tale, ha delle proprietà e ubbidisce a certe regole che non sono altro che uno
sdoppiarsi dei princìpi a lui inerenti. Perciò, la regola della pittura, della
musica, dell’arte, del dirigere i popoli, insomma tutto il resto è
l’applicazione di quegli stessi princìpi generali ai vari campi diversificati.
Così che, se abbiamo delle sommità umane in
ogni campo - le
quali utilizzano sino in fondo le stesse regole
conosciute e le assimilano alla propria personalità, applicandole al loro
rispettivo campo - ne risulta che tutta
la vita umana forma una armonia meravigliosa, nella quale gli stessi princìpi fondamentali si revertono
e si spiegano a vicenda, costituendo quella totalità che, sicuramente, formerà il Regno di Maria.
Dunque,
quando si entrerà in una cattedrale, in essa si vedrà l’espressione dell’ordine
politico, economico e sociale vigenti. In essa si ascolterà una musica che sarà
la melodicizzazione della cattedrale e dell’ordine politico, economico e
sociale allora vigenti. Quando si svolgerà la liturgia, essa avrà la
pomposità che rende estrinseco l’ordine
interno della Chiesa Cattolica. Però, dato che il vero ordine temporale non è
altro che una proiezione, nell’ordine inferiore proprio, dei princìpi del
superiore ordine spirituale della Chiesa Cattolica, tutto ciò, a sua volta,
produrrà un’altra armonia ancora. E
l’uomo vivrà inondato di armonie e non di aberranti contraddizioni. Di armonie che formeranno una specie di
immensa sinfonia di armonie, il cui punto di unità ci parlerà continuamente di Dio.
Consideriamo
quindi San Tommaso d’Aquino e il Beato Giovanni da Fiesole. La scheda storica addita
molto bene entrambi, soprannominandoli “Angelici”: il “Dottore Angelico” e il “Pittore
Angelico”. Se, a causa del più funesto
crimine della Storia – dopo il tradimento di Giuda – il Medioevo non fosse stato trucidato prematuramente, avremmo avuto di questi
“Angelici” nei diversi campi sociali. Infatti, avevamo avuto il “guerriero angelico”
nei profili di due re, San Luigi IX e San Fernando di Castiglia.
Avremmo
quindi tante altre realtà in questa prospettiva angelica. Un ordine angelico,
coerente, luminoso, soprannaturale, profondamente logico, che sarebbe dunque
l’ordine della Civiltà Cristiana e della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Di conseguenza, un ordine peraltro più caratteristico agli
Angeli che agli uomini, in cui questi sarebbero indirizzati da quelli verso il
Paradiso.
Che
cosa risiede dietro tutto ciò? Qualcosa che si deve menzionare, e che non
riguarda direttamente l’opera di Fra Angelico, ma di cui essa ne è un
riverbero. Quel che c’è di meglio
nell’opera di Fra Angelico, come in quella di San Tommaso d’Aquino, è la
virtù della sapienza. La virtù architettonica mediante la quale l’uomo aspira come a un bene supremo –
già in questa vita – a quella coerenza, a quella profonda armonia
interiore delle cose, molto più di qualsiasi rinfresco o degli aggeggi per
fare stupidaggini... Innanzitutto, perché
in questa armonia la propria natura trova la sua piena espansione, ma inoltre
– e questa è la ragione più alta – perché
questa armonia, in fondo, dice
qualcosa, una parola ineffabile, totale, che è il migliore simbolo di Dio. Dio simboleggia sé stesso in
questa armonia di tutte le cose. E chi
ama questa armonia di tutte le cose, ama il simbolo di Dio, cioè, ama Dio
stesso.
È
un po’ come chi, vedendo il nostro leone
araldico, ama la TFP. Il leone ci esprime. E chi ama quel leone, ama
qualcosa dell’anima che corrisponde a uno dei nostri aspetti caratteristici,
senza i quali noi non saremmo noi stessi. Quindi, così come un leone può esprimere un'associazione, a fortiori, l’intero universo può esprimere il Signore nostro Dio.
In questa suprema armonia c’è giustamente un'espressione di Dio, che non è la
visione beatifica, ma ne è una pregustazione; e chi ama queste realtà
simboliche, predispone l’anima per amare la visione beatifica.
Non
pensiate che questa armonia sia ugualitaria. È un’armonia monarchica, che ha il
suo punto centrale nel sublime, nel più
elevato, che si inserisce in un punto supremo dell’ordine creato, dal
quale poi derivano tutte le armonie.
Qual è questa armonia? In che cosa si
manifestò meglio?
Nell’ordine meramente creato, si manifestò
nella Madonna.
Tra le mere creature, Lei non è soltanto la più perfetta, ma
secondo il concetto che stiamo considerando, il più perfetto non è solo il
primo tra i pari, ma è chi che contiene in sé la perfezione di tutti gli altri esseri
perfetti che gli sono sottostanti. Di modo che tutti gli esseri perfetti che si
trovano nelle gamme sottostanti, sono da lui capitolate, compendiate e
contenute. Quindi, la Madonna ha in sé tutte le forme e tutti
i gradi di perfezione di tutte le mere creature, compendiate in Lei e in Lei
elevate a un grado di sublimità che non ha parallelo con nessun'altra creatura.
Pertanto, Lei non è solo la sintesi di tutto, ma è la sintesi posta in uno
stato di sublimità che esclude qualsiasi parallelo con tutte le creature
sottostanti. Vuol dire che tra Lei e noi non c’è soltanto un abisso, ma una
serie di abissi insondabili, talmente la Madonna è la più perfetta di tutte le
creature considerate come un insieme.
Nostro
Signore Gesù Cristo, nella sua santissima umanità, era più di Lei. Quindi, la perfezione di tutte le perfezioni doveva
essere senz'altro il suo Sacro Volto. Perché? Perché dallo sguardo e dalla
fisionomia rispecchiava tutte le forme e gradi di perfezioni dell'anima
possibili nell’uomo, più qualcosa di divino, dunque, di ineffabile.
Da
un altro lato, Nostro Signore Gesù Cristo, essendo perfetto, doveva avere tra
gli aspetti più perfetti il viso, il compendio di tutte le perfezioni del
corpo. Sono sicuro che se qualcuno
riuscisse a conoscere questo Volto come era davvero – e non dopo un certo
sfregio dovuto alla tortura della Passione - capirebbe che le proporzioni dei suoi tratti dovevano contenere tutte
le regole delle armonie dell’universo. Quindi, studiando il Sacro Volto, si
riuscirebbe a conoscere tutta la bellezza dell’universo; si decifrerebbe la
bellezza e l'ordine dell’universo a partire dalle proporzioni…del Sacro Volto!
Non si decifrerebbe soltanto la
bellezza ma anche qualcos'altro che gli uomini raramente riscontrano riunita ad
essa: la grazia.
Molte volte si vedono forme di bellezza che, in generale, sono dissociate dalla
grazia. “Grazia” và intesa qui come charme,
fascino. Molte volte ci si imbatte con forme incantevoli, ma dissociate dalla
vera bellezza. Che dire di quel che Gesù aveva come grazia, come attrazione!...
Il fascino che andava dalla maestà più impressionante, per noi impossibile da
fissare, sino alla grazia preziosa e attraente, la più tenera, la più affabile,
la più capace di farsi piccola ed accarezzarci. Tutto questo insieme era un'attrazione
e un charme situato dietro alla
bellezza perfetta e con l’espressione di una intelligenza infinita e di una
santità trascendente che ci darebbe l’idea di ciò che sarebbe la Sua
fisionomia.
In fondo, fu quello che San Tommaso
vide e sul quale meditò;
in realtà, fu ciò che il Beato Angelico vide e che inneggiò durante tutta
la sua vita; dunque, è quello che si
vedrà nel Regno di Maria. Si vedrà, attraverso tutte queste armonie,
qualcosa che ci farà pensare al viso immacolato, sacratissimo, regale, materno
e dolcissimo della Madonna, e al viso per il quale non vi sono parole, in cui
cessano gli aggettivi, in cui tutto è silenzio, adorazione e riverenza: il Volto
di Nostro Signore Gesù Cristo.
Capendo
queste armonie ci si prepara alla comprensione del Sacro Volto e alla visione
beatifica per tutta l’eternità.
Plinio
Corrêa de Oliveira
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