sabato 28 marzo 2015

Popolo mio, che cosa ti ho fatto?



 
I tuoi nemici, Signore, hanno cospirato contro di te. Senza grande sforzo hanno sollevato la plebaglia ingrata, che ora ribolle di odio contro di te. L'odio. E' quanto ti circonda da ogni parte, ti avvolge come una densa nube, si scaglia contro di te come un buio e freddo temporale.
 
Odio gratuito, odio furioso, odio implacabile: non si sazia di umiliarti, di colmarti di obbrobri, di riempirti di amarezza; i tuoi nemici ti odiano al punto da non sopportare più la tua presenza fra i vivi, e vogliono la tua morte. Vogliono che tu scompaia per sempre, che ammutolisca il linguaggio dei tuoi esempi e la saggezza dei tuoi insegnamenti. Ti vogliono morto, annientato, distrutto. Solo così riusciranno a placare il turbine di odio che si leva nei loro cuori.

Anche secoli prima della tua nascita, già il profeta prevedeva questo odio suscitato dalla luce delle verità che avresti annunciato, dal fulgore divino delle tue virtù: "Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho disgustato?" (Mic. 6, 3). E interpretando i tuoi sentimenti, la sacra liturgia grida agli infedeli di ieri e di oggi: "Che cosa avrei dovuto fare per te, e non l'ho fatto? Ti ho piantato come una vigna scelta e preziosa: e tu ti sei trasformato in una eccessiva amarezza per me; nella mia sete mi hai dato da bere aceto, e hai trapassato con una lancia il costato del tuo Salvatore" (Improperi).

L’odio levatosi contro di te è stato tanto forte che la stessa autorità di Roma, che giudicava il mondo intero, si piegò vigliaccamente, si ritirò e cedette davanti all'odio quanti ti volevano uccidere senza ragione alcuna. L'alterigia romana, vittoriosa sul Reno, sul Danubio, sul Nilo e sul Mediterraneo, è annegata nel bacile di Pilato.

"Christianus alter Christus", il cristiano è un altro Cristo. Se fossimo realmente cristiani, cioè realmente cattolici, saremmo altri Cristi. E inevitabilmente deve soffiare anche contro di noi furiosamente il turbine di odio che si è levato contro di te.

E soffia, Signore! Abbi compassione, mio Dio, e dà forza al povero ragazzo che, in collegio, è odiato dai suoi compagni perché confessa il tuo nome e rifiuta di profanare l'innocenza delle proprie labbra con parole impure. L'odio, sì. Forse non l'odio nella forma di un'invettiva grossolana e feroce, ma nella forma terribile dello scherno, dell'isolamento, del disprezzo. Dà forza, mio Dio, allo studente che esita a proclamare il tuo nome in piena classe, di fronte a un professore empio e ai compagni che lo deridono. Dà forza, mio Dio, alla ragazza che deve proclamare il tuo nome rifiutando di vestire gli abiti imposti dalla moda, perché per la loro stravaganza o la loro immoralità non si accordano con la dignità di una cattolica autentica. Dà forza, mio Dio, all'intellettuale che vede chiudersi davanti a se le porte della notorietà e della gloria perché predica la tua dottrina e confessa il tuo nome. Dà forza, mio Dio, all'apostolo che subisce l'aggressione impietosa degli avversari della tua Chiesa, e l'ostilità mille volte più penosa di molti che sono figli della luce, solo perché non consente alle diluizioni, alle mutilazioni, alle unilateralità con cui i "prudenti" comprano la tolleranza del mondo per il loro apostolato.

Mio Dio, come sono sapienti i tuoi nemici! Sentono che nel linguaggio di questi prudenti si dice fra le righe che non odi né il male, né l'errore, né le tenebre. E allora applaudono i prudenti secondo la carne, come ti avrebbero applaudito a Gerusalemme, invece di ucciderti, se ti fossi rivolto a quelli del Sinedrio con lo stesso linguaggio.

Signore, dacci forza, non vogliamo né patteggiare, né battere in ritirata, né transigere, né diluire, né permettere che si scolori sulle nostre labbra la divina integrità della tua dottrina. E se su di noi si abbatte un diluvio di impopolarità, la nostra preghiera sia sempre quella della sacra Scrittura: "Ho scelto di essere abbietto nella casa del mio Dio, piuttosto che abitare nei padiglioni dei peccatori" (Sal. 83, 11).



Gesù accetta la croce dalle mani dei carnefici


Ma per questo, Signore, ci vuole pazienza. Pazienza con la quale, a braccia incrociate e con cuore rassegnato, si lascia cadere il diluvio sul proprio capo. Pazienza è la virtù per la quale si soffre in vista di un bene maggiore. Quindi pazienza è la capacità di soffrire per il bene. Ha bisogno di pazienza il malato che, oppresso da un male incurabile, accetta con rassegnazione il dolore ché gliene deriva. Ha bisogno di pazienza chi, si piega sui dolori altrui, per consolarli come consolasti, Signore, quanti venivano a te. Ha bisogno di pazienza chi si dedica all'apostolato con carità invincibile, attirando amorevolmente a te le anime che vacillano sulle vie dell'eresia o nel pantano della concupiscenza. Ha bisogno di pazienza anche il crociato che prende la croce e va a lottare contro i nemici della santa Chiesa. È una sofferenza prendere l'iniziativa della lotta, formare e sostenere in sé stessi sentimenti di pugnacità, di energia, di combattività, vincere l'indifferentismo, la mediocrità, la pigrizia, e lanciarsi come un degno discepolo di colui che è il Leone di Giuda sull'empio insolente che minaccia il gregge del nostro Signore Gesù Cristo. Sublime pazienza di quanti lottano, combattono, prendono l'iniziativa, si fanno avanti, parlano, proclamano, consigliano, ammoniscono e sfidano da soli tutta la superbia, tutta la spocchia, tutta l'arroganza del vizio insolente, del difetto elegante, dell'errore simpatico e popolare!

Tu, Signore, sei stato un modello di pazienza. Tuttavia la tua pazienza non è consistita nel morire schiacciato sotto la croce quando te l'hanno data. Una pia rivelazione racconta che quando ricevesti dalle mani dei carnefici la tua croce, la baciasti amorosamente e, prendendola sulle spalle, con invincibile energia la portasti fin sulla cima del Golgota.
Dacci, Signore, questa capacità di soffrire. Di soffrire molto. Di soffrire tutto. Di soffrire eroicamente, non solo sopportando la sofferenza, ma andandole incontro, cercandola e caricandocene fino al giorno in cui avremo la corona della vittoria eterna.



Gesù cade per la prima volta sotto la croce


È facile parlare di sofferenza. Difficile è soffrire. Tu l'hai provato, Signore. Com'è diverso dall'eroismo fatuo e artificiale di tanti soldati delle tenebre il tuo divino eroismo, Signore! Tu non hai sorriso in faccia al dolore. Non fosti, Signore, di quelli che insegnano che si passa la vita sorridendo. Quando giunse la tua ora, hai avuto paura. Ti sei turbato, hai sudato sangue di fronte alla prospettiva della sofferenza. E la consacrazione del tuo eroismo è in questo diluvio di timori, purtroppo assolutamente fondati. Hai vinto le grida più imperiose, le sollecitazioni più forti, i terrori più atroci. Tutto si è piegato di fronte alla tua volontà umana e divina. Su tutto si è levata la tua inflessibile determinazione di fare quello per cui eri stato inviato dal Padre tuo. E quando portavi la tua croce sulla via dell'amarezza, più di una volta le forze naturali vennero meno. Sei caduto perché non avevi forza. Sei canuto, ma non ti sei lasciato cadere se non quando era assolutamente impossibile proseguire il cammino. Sei caduto, ma non sei tornato indietro. Sei caduto, ma non hai abbandonato la croce. L'hai tenuta con te, come espressione visibile e tangibile del tuo proposito di portarla sulla cima del Golgota.

Mio Dio, dacci grazie perché nella lotta contro il peccato, contro gli infedeli, possiamo forse cadere sotto la croce, ma senza mai abbandonare né il cammino del dovere, né l'arena dell'apostolato. Senza la tua grazia, Signore, non possiamo nulla, assolutamente nulla. Ma se corrisponderemo alla tua grazia potremo tutto. Signore, vogliamo corrispondere alla tua grazia.

 Plinio Corrêa de Oliveira

(O Legionario, Aprile 1943, "Via Crucis")






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