Incentivate dal
tam-tam mediatico, certe parole vanno di moda.
Tutti le usano. Il
loro preciso significato, però, è spesso
sfuggente,
ambiguo, flessibile…
Ne sono esempi “misericordia” e “persone ferite”,
usate a proposito
dell’ultimo Sinodo dei Vescovi sulla famiglia.
Perché questa
repentina popolarità?
Una delle parole più usate a proposito dell’ultimo
Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, tenutosi lo scorso ottobre in Vaticano, sia
nei Documenti sia nelle discussioni, è “misericordia”. Si direbbe, infatti, che
tutto il Sinodo si sia svolto all’insegna della misericordia, quale criterio
cardine per la pastorale della Chiesa nei decenni a venire. Ma, soprattutto, i
mass media hanno cercato di creare l’impressione di una ventura “Chiesa della
misericordia” in opposizione alla Chiesa finora esistente. Nel documento
conclusivo, «Relatio Synodi», la parola è usata ben sedici volte. Il
cardinale Walter Kasper, relatore del Sinodo, aveva già pubblicato un libro in
merito: «Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo. Chiave della vita
cristiana», che ha molto ispirato il dibattito.
La versione che si cerca di trasmettere è che la
pastorale della Chiesa non può essere fondata appena sulla dottrina, cioè sulla
giusta applicazione dei principi della Morale e del Magistero, ma anche sulla
misericordia, che, andando oltre la dottrina, valuta con occhi benevoli certe
situazioni concrete. Fin qui niente di nuovo. Nella fattispecie, però, alcuni vorrebbero applicare la
misericordia alle persone in situazione coniugale irregolare: divorziati
risposati, conviventi, coppie di fatto (anche omosessuali), senza far loro
rinunciare alla propria condizione di peccato. Tutto ciò costituirebbe già
una novità pericolosa, in quanto escluderebbe il necessario pentimento e il
proposito di emendamento.
Si è giunti, in alcuni casi, a proporre, addirittura,
di riammettere tali persone alla Comunione sacramentale, come pure di aprire
alle coppie formate da persone dello stesso sesso. Nelle discussioni, si è
arrivato a prospettare sostanziali cambiamenti nel Magistero e nella disciplina
della Chiesa in materia morale, pur di venir incontro, in modo misericordioso,
a queste persone.
Nel «Documento Preparatorio» al Sinodo, posto
il quesito “Come viene annunciata a separati e divorziati risposati la
misericordia di Dio?”, è stata messa in evidenza “la vasta accoglienza
che sta avendo ai nostri giorni l’insegnamento sulla misericordia divina e
sulla tenerezza nei confronti delle persone ferite, nelle periferie geografiche
ed esistenziali”.
Le
“parole talismano”
“Misericordia”, “tenerezza”, “persone ferite”… parole
ad altissimo contenuto sentimentale, il cui significato, di per sé legittimo,
diventa sempre più sfuggente man mano che sono manipolate con sfumature diverse
da una certa propaganda. Queste sono le parole che oggi vanno di moda, e che
confermano che ci troviamo ad avere a che fare con una collaudata strategia
rivoluzionaria.
Infatti, siamo di fronte a ciò che Plinio Corrêa de
Oliveira definiva “parole talismano”: vocaboli con forte contenuto sentimentale,
che suscitano una costellazione di impressioni ed emozioni, dotate di grandi
qualità propagandistiche, della cui elasticità si abusa per scopi ideologici,
suscettibili di essere fortemente radicalizzati al fine di realizzare ciò che
il pensatore cattolico indicava come “trasbordo ideologico inavvertito”, cioè
un cambiamento nella mentalità del “paziente” senza che questi se ne accorga
(1).
Le “parole talismano” sono simili a recipienti nei
quali si possono versare diversi contenuti. Ammettendo un significato
legittimo, perfino nobile, le “parole talismano” sono manipolate
tendenziosamente dalla propaganda, assumendo quindi significati sempre più
vicini alle posizioni ideologiche verso le quali si vuole trasbordare
l’opinione pubblica. In questo modo, le “parole talismano” diventano strumenti
della rivoluzione. Si tratta di una tecnica di persuasione ideologica
implicita.
Facciamo un esempio concreto: “persone ferite”. Si
tratta, in questo caso, di persone che vivono in stato di peccato mortale
pubblico: divorziati risposati, conviventi, coppie omosessuali. Il termine
appropriato sarebbe quindi “peccatori pubblici”. Questo, però, dicono i
paladini della misericordia, non fa altro che aumentare il loro dolore, cosa
contraria all’amore. Chiamandole invece “persone ferite” si evita di arrecare
loro ulteriore danno, ripudiandole con un giudizio morale negativo, e si esalta
invece un aspetto, vero ma secondario, della loro personale condizione, usando
nei loro confronti un termine atto a suscitare compassione: sono “persone
ferite”…
"...va' e d'ora in poi non peccare più". (Gv, 8, 1-11)
Così come il dolore fisico è una difesa dell’organismo
per richiamare l’attenzione su una situazione patologica, che altrimenti
andrebbe trascurata, il dolore spirituale è una difesa della coscienza a una
situazione di peccato. È dal dolore che nasce il pentimento. Dominata da un
sentimentalismo morboso, che varca i confini della ragionevolezza, una certa
mentalità pensa invece solo a sollevare il dolore, non affrontando alla radice
il problema, bensì offrendo palliativi.
La reazione normale di fronte a una “persona ferita”
è, ovviamente, venirle incontro per sollevarla da ogni sofferenza. Per chi
possiede questa mentalità, mentre ogni giudizio teologico e morale è
sconsigliato, anzi evitato, al fine di non aggravare ulteriormente le
sofferenze di tali persone, il sentimento di “tenerezza” e di “misericordia”
nei loro confronti va dilatato fino a diventare il criterio dominante
nell’analizzare la situazione e, quindi, anche nel tracciare una condotta
pastorale.
Nell’auge della manipolazione del sentimento di
misericordia, a qualcuno può venire in mente di “far evolvere” il Magistero
della Chiesa e la sua disciplina pur di non “ferire” più queste persone.
La vera misericordia
Teologicamente, la misericordia è una virtù che incide
sulla nostra capacità di avere compassione, cioè di “patire con” il nostro
prossimo, venendo incontro a eventuali situazioni di sofferenza al fine di
sollevarlo dalle sue miserie. L’oggetto della misericordia è la sofferenza che
si discerne nel prossimo, soprattutto quando essa è involontaria. La
misericordia è intimamente collegata alla giustizia perché, al pari di essa,
controlla i rapporti fra le persone.
"Fatta allora una sferza
di cordicelle, scacciò tutti fuori del
tempio..." (Gv. 2, 15)
Secondo il sacerdote spagnolo
Juan José Pérez-Soba, del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su
Matrimonio e Famiglia, “quello che differenzia la misericordia dalla sola
compassione, è che lo scopo della misericordia è di ‘rimuovere l’altrui
miseria’, in altri termini, la misericordia è attiva contro il male che l’altro
subisce. Non è misericordia la falsa consolazione che porta a dire che si
tratta di un male minore, se non si libera da esso colui che lo subisce. La
misericordia nasce dall’amore per la persona al fine di curarla dal male
dell’infedeltà che l’affligge e che la impedisce di vivere nell’Alleanza con
Dio” (2).
Tale misericordia va
necessariamente collegata alla giustizia e alla verità: “La misericordia in
quanto virtù non è estranea alla giustizia. (…) Non possiamo lasciare spazio ad
una misericordia ingiusta poiché sarebbe una profonda falsificazione della rivelazione
divina. (…) La verità è il nesso che unisce la misericordia e la giustizia. (…)
Un’azione ingiusta, quindi, non è mai misericordiosa”.
Il trasbordo ideologico
inavvertito
Molto diversa è la “misericordia” talismano, strumento
del trasbordo ideologico inavvertito. Cercheremo di descrivere, passo per
passo, tale trasbordo, seguendo lo schema di Plinio Corrêa de Oliveira.
Prima fase: ipertrofia della compassione. La manipolazione inizia con l’ipertrofia della compassione. Insistiamo
sull’importanza del fattore emotivo e sentimentale. Si nota una forte
fermentazione passionale irenistica [pacifista], che consiste in un vigoroso desiderio di
concordia e di bene universale, di pace in tutti i campi delle relazioni umane,
senza esclusione di nessuno, poiché ogni esclusione fa soffrire. Tale desiderio
sarà soddisfatto solo quando non ci sarà più sofferenza nel mondo.
Si ammette ancora una verità oggettiva, cioè principi
morali che sono ancora affermati e, talvolta, anche difesi. Se dal punto di
vista dottrinale, si affermano ancora i principi, dal punto di vista emotivo si
è introdotto un fattore passionale che, esacerbato, porterà a relativizzare la
dottrina. La parola “misericordia” subisce allora la sua prima trasformazione:
slegandosi gradualmente dalla verità e dalla giustizia, assume una vita
propria.
Seconda fase: la compassione invade la discussione a
scapito dei principi. A partire da un
dato momento, la compassione irenistica comincia a prendere il primo posto
nella discussione, a scapito dello zelo per la difesa dei principi e del
Magistero. Ne deriva un mutamento nel modo di portare avanti la discussione:
non più per affermare la verità e la giustizia, approfondendo il Magistero, ma
per risolvere ad ogni costo le situazioni di sofferenza. Nel caso in questione,
dicono, queste persone si sono allontanate dalla Chiesa solo perché essa le ha
finora trattate in modo duro. Basterebbe usare tenerezza e misericordia che
esse tornerebbero alla Casa paterna.
La parola talismano “misericordia” acquisisce un
significato nuovo e più ampio: non si tratta solo di venir incontro alle
“persone ferite”, ma di farlo a qualsiasi costo. Qualsiasi indugio sarà
contrario alla carità. Si comincia a perdere di vista il fine della pastorale,
cioè il bene spirituale delle persone, e si cerca invece, sempre di più, di
lenire le loro sofferenze. Il criterio della pastorale si sposta dalla Verità
insegnata dal Magistero, alla percezione che queste persone hanno della propria
situazione.
Terza fase: la compassione sfocia nel relativismo. Fin qui, sotto la pressione emotiva, l’obiettivo della discussione
diventa sempre più la compassione a qualsiasi costo e sempre meno la Verità.
Nella terza fase, il desiderio sfrenato di compassione scavalca le esigenze del
Magistero, arrivando a pensare che l’unica verità proponibile sia quella della
pratica pastorale concreta, adattata secondo i casi particolari, e non fondata
su principi assoluti. In altre parole, alla fine del processo si può arrivare
al relativismo.
A questo punto, la “misericordia” appare come la chiave
di volta della civiltà dell’amore, il fondamento dell’era della buona
volontà, in cui ogni discriminazione sarà stata finalmente superata. Una civiltà
guidata non dalla ragione quanto dal sentimento, non dal Logos quanto dal Eros.
È evidente che, descrivendo in questo modo il
processo, non intendiamo affermare che esso si svolgerà, necessariamente e in
tutti i casi, fino alla fine. Una certa propaganda al servizio del progressismo
ci proverà senz’altro. Spetta ai cattolici fedeli “esorcizzare” la magia della
parola talismano, riportandola ai suoi contenuti teologici tradizionali.
Julio Loredo
(Rivista
Tradizione, Famiglia, Proprietà - Marzo 2015)
(Titolo originale
"Le 'parole talismano' al servizio della propaganda")
(I grassetti sono nostri)
Note
1. Plinio Corrêa
de Oliveira, «Trasbordo ideologico inavvertito e Dialogo», Editoriale Il
Giglio, Napoli 2012.
2. Juan José Pérez
Soba, «La misericordia, verità pastorale», Cantagalli, Siena 2014.
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