domenica 5 luglio 2015

"In difesa della A.C." - PRIMA PARTE, Cap.II


Previsioni del nostro Fondatore
contro gli errori del progressismo 
che dilagano sino ad oggi

PRIMA PARTE

CAPITOLO II

Confutazione delle dottrine errate

Come si vede, lo studio dell’esatta natura giuridica dell’organizzazione che Pio XI fondò, assume un’importanza capitale. Prima di entrare nell’argomento, conviene enunciare su questo fatto alcuni principi di ordine generale.


Sviluppo di certe nozioni fornite nel capitolo anteriore

Come già dicevamo, la parola mandatum ha in latino il significato speciale di ordine o di atto imperativo di un'autorità sui suoi sudditi. Quindi, questa parola equivarrebbe al vocabolo portoghese “comandamento” col quale designiamo le leggi di Dio e della Chiesa, quale espressione che esercitano su di noi una forza imperativa. È in questo senso che Nostro Signore impose agli Apostoli un mandato quando gli ordinò di predicare il Vangelo a tutti i popoli della Terra. In questo senso – l’unico accettato nel linguaggio ecclesiastico riguardo al presente argomento – le deleghe, che nel diritto civile brasiliano vengono chiamate mandati e che sono accettabili o rifiutabili dal mandatario, non sono dei veri mandati.
I trattatisti dell’Azione Cattolica, la cui opinione contestiamo, ritengono che il Santo Padre Pio XI impose al laicato un mandato, quando lo incitò ad iscriversi nell’Azione Cattolica, il che equivarrebbe ad affermare che le organizzazioni fondamentali dell’Azione Cattolica possiedono un mandato proprio. Per quel che riguarda le altre organizzazioni di apostolato, dato che non procedono da un’iniziativa della Chiesa, ma da una meramente individuale; dato inoltre che non hanno ricevuto dalla Chiesa un incarico con l’ordine di realizzare, ma soltanto un permesso di agire; dato finalmente, che, di conseguenza, non hanno l’autorità della Chiesa stessa per la realizzazione delle loro finalità e lo sviluppo delle loro attività, bensì un semplice “laissez faire”,  un “laissez passer”, esse si piazzano in una situazione radicalmente inferiore, in un piano completamente diverso, separate dall’Azione Cattolica, dovuto all’immensa distanza che separa essenzialmente un’azione dei sudditi da un’azione ufficiale dell’autorità.



Inconsistenza filosofica delle dottrine esposte nel capitolo anteriore

Prima di inoltrarci nella valutazione del fatto storico, e verificare se Pio XI ha davvero concesso un tale mandato all’Azione Cattolica, esaminiamo questa dottrina in sé stessa, al fine di dimostrare la completa carenza di fondamento di cui risente.
Per non conferire alla nostra esposizione un carattere esclusivamente teorico, eviteremo il terreno della pura astrazione, figurandoci invece un caso concreto.

Sulle diverse modalità di collaborazione

Un uomo possiede un campo eccessivamente vasto perché possa produrre senza l’ausilio di collaboratori. Egli potrà rimediare a questa insufficienza con i seguenti metodi:
1 - imponendo ad alcuni dei suoi figli, in virtù dell’esercizio della sua autorità, di coltivare il campo;
2 - consigliando ai suoi figli di farlo, ed approvando il lavoro che eseguiranno; 
3 - non prendendo nessuna iniziativa in questo senso, ma dando il proprio consenso all’iniziativa spontanea dei suoi figli;
4 - dando la sua approvazione a posteriori, per il fatto che i suoi figli, supponendo con fondatezza che fosse questa la volontà paterna, gli abbiano preparato la gradevole sorpresa di vedere il lavoro fatto.

Tutte hanno la stessa essenza

Si osservi che queste ipotesi, dal punto di vista morale e giuridico, si differenziano le une dalle altre solo per la maggiore o minore intensità dell’atto di volontà del proprietario. Questo atto di volontà è ugualmente per tutti la fonte della liceità. Peraltro, la morale distingue, con intera appropriatezza, le diverse specie di atti volontari. Oltre all’atto volontario “in se”, che è l’atto semplice ed effettivamente volontario, compiuto “scienter et volenter”, esistono pure, fra l'altro, l’atto volontario virtuale e quello interpretativo. L’atto volontario virtuale è quello che proviene da una volontà espressamente determinata, non riflessa nella sua determinazione, benché non orientata attualmente ad essa, in modo che tale determinazione non viene presa in considerazione dal soggetto. Nell’atto volontario interpretativo non c’è, né c’è stata, alcuna determinazione della volontà, ma, date le disposizioni morali del soggetto, sicuramente ci sarebbe stata, qualora avesse preso conoscenza di certi eventi e di certe circostanze di fatto.

E producono conseguenze analoghe

Tutti questi atti sono volontari, sicché possono essere causa di merito o demerito, (Cfr. Cathrein, Philosophia Moralis: pg. 52 e 54. 15a  edizione Herder) e attribuiscono a tutti i loro agenti le stesse prerogative essenziali:
1 - Il diritto di svolgere un'attività sul campo, nella misura richiesta dall’incarico e in virtù di una delega espressa o legittimamente presunta, imperativa o di semplice consiglio, del proprietario del campo.
2 - Di conseguenza, il diritto, che è ancora una conseguenza della volontà del proprietario, di far cessare tutti i disturbi causati da terzi a scapito dell’esercizio di questa legittima attività .
Sia per uno che per l'altro di questi effetti, richiamiamo l’attenzione del lettore su un fatto di capitale importanza: non è solo l'ordine imperativo del proprietario del campo ad attribuire o produrre queste conseguenze morali e giuridiche, ma anche qualsiasi altra forma di lavoro eseguito con il consenso espresso o persino semplicemente presunto del proprietario del campo.
I primi obbedirebbero a un mandato, gli altri sarebbero collaboratori. In qualsiasi caso, sia dinanzi al proprietario, sia dinanzi a terzi, i mandatari o i collaboratori sarebbero ugualmente canali legittimi della volontà del proprietario e i suoi legittimi rappresentanti.



Distinzione tra mandato e collaborazione

Giacché siamo arrivati a questo punto dell'esposizione, è bene delucidare i rapporti esistenti tra i concetti di mandatario e di collaboratore. Come abbiamo visto, non c’è un mandatario che non sia un collaboratore nel senso etimologico della parola, dato che la sua funzione non è altro che quella di svolgere un incarico del mandante, con il quale e in nome del quale lavora.
Un qualsiasi collaboratore sarebbe un mandatario?
Se prendiamo il termine mandatum in senso stretto, cioè quello che abbiamo esposto sopra e che è l’unico ammesso dalla terminologia ecclesiastica, la risposta è no. Ma la differenza esistente tra i vari tipi di collaboratori, di cui il mandatario è solo una specie, consiste soltanto nel fatto che, quanto più categorica sia stata la delega del proprietario, tanto più illecita sarebbe qualsiasi opposizione sollevata contro la volontà o l’attività del delegato. Nell’argomento c'è una semplice differenza di intensità e nulla di più; una differenza che non altera qualitativamente la questione.
Riassumendo. Ogni collaboratore può essere considerato un membro separato dall’agente principale, quale esecutore della sua volontà. Nelle varie ipotesi ci troviamo sempre in presenza di membri separati dal mandante, la cui unica diversità di condizioni dinanzi a questi consiste nelle varie gradazioni della volontà a cui obbediscono. Ma la natura del vincolo morale e giuridico che li lega al mandante è sempre la stessa. Ogni mandatario è un collaboratore. Ogni collaboratore è in qualche modo un delegato del mandante dinanzi a terzi.



Mandato e delega

A questo proposito, conviene accentuare con maggior chiarezza la distinzione tra il mandatum, nel senso imperativo della parola, e il mandato nel senso civile della parola, cioè, la “procura”.
Esiste una procura o delega di funzioni ogni volta che qualcuno incarica un altro di un determinato compito.
Nella terminologia del diritto civile positivo, si distingue il mandato di locazione di servizi o della collaborazione gratuita. Tuttavia, nel terreno del diritto naturale, ogni collaborazione consentita, anche se presumibilmente, è intesa essenzialmente come una delega.
In effetti, la collaborazione è l'inserimento dell'attività di qualcuno in quella di un altro. Quindi, poiché ogni persona è proprietaria della sua attività, la collaborazione è lecita solo quando autorizzata, anche se presumibilmente. E a questo titolo, il collaboratore è il rappresentante della volontà della persona per cui lavora, dinanzi a terzi. Dunque, ogni collaborazione lecita genera una delega.



Riassunto delle nozioni date sino a questo capitolo

Data l’estrema complessità dell’argomento, riassumiamo ancora una volta quanto è stato detto :
a) – ogni attività svolta in un compito altrui è una collaborazione, e in questo senso sono collaboratori tanto coloro che agiscono per un ordine ricevuto o per un consiglio, mediante un consenso espresso, quanto quelli che agiscono semplicemente per mezzo di un supposto consenso degli altri;
b) – essendo identica, in qualsiasi ipotesi, la natura giuridica di queste relazioni, le varianti decorrenti costituiscono tipi diversi dentro una specie comune, e le diversità esistenti tra questi tipi non creano differenze essenziali;
c) – come autentici collaboratori, tutti possono dirsi, nel senso più generico della parola, delegati del mandante;
d) – la varietà di tipi di collaborazione genera come conseguenza, nell’ordine concreto, il fatto che, essendo la volontà del mandante la fonte del diritto, qualsiasi opposizione all’attività del collaboratore sarà tanto più illecita quanto più positiva, grave ed energica sarà stata la manifestazione della volontà del mandante.
Posto tutto questo, la conclusione a cui arriviamo è di un'evidenza cristallina: a priori, e senza entrare nell'apprezzamento del fatto storico del mandato, che Pio XI avrebbe dato all’A.C., possiamo affermare che tale mandato sarebbe già di per sé radicalmente inefficace per operare un sostanziale ed essenziale cambiamento nella stessa natura giuridica dell’apostolato laico affidato all’A.C.



Il mandato e la collaborazione, in materia di apostolato laico

Applichiamo, in modo più concreto, i principi generali che abbiamo appena enunciato, abbandonando l’esempio del padre con un campo da coltivare, ed esaminiamo direttamente i rapporti tra la Gerarchia e le opere di apostolato laico.
Ritenuti insufficienti gli sforzi personali e diretti dei membri della Gerarchia, per la piena realizzazione dell’incarico che le fu imposto dal Divino Fondatore, essa ricorre al concorso dei laici, e, proprio come fa il padre di famiglia, può assumere a questo scopo una delle seguenti posizioni:
a) – imporre ai laici la realizzazione dell'apostolato come si afferma sia accaduto nel caso dell’A.C.;
b) - consigliare ai laici di realizzare un determinato incarico, come avviene nel caso delle numerose associazioni approvate e vivamente stimolate dalla Gerarchia nelle loro attività;
c) - approvare le iniziative o le opere organizzate spontaneamente, e sottomesse alla sua previa approvazione dai privati;
d) - dare un'approvazione generica ad ogni opera meramente individuale, fatta da qualsiasi fedele con un intuito di apostolato. [1]



Il mandato non è sufficiente per dare all’A.C. un'essenza giuridica diversa dalle altre opere del laicato

Il primo caso sopra menzionato sarebbe l’unico in cui si potrebbe riconoscere un mandato. Negli altri casi, non ci sarebbe un mandato. Mandatari o meno, tutti sarebbero comunque veri collaboratori della Gerarchia, posti dinnanzi ad essa in una situazione giuridica essenzialmente uguale.

Il mandato è una mera forma di concessione di poteri che non ha attinenza con la natura e l'estensione dei poteri concessi

A questo proposito dobbiamo accentuare che sbagliano coloro i quali presumono che, avendo il Santo Padre resa obbligatoria l’iscrizione di tutti i laici nei ranghi dell’A.C. è da questo fatto che proviene loro il mandato al quale attribuiscono un effetto talmente meraviglioso. Abbiamo dimostrato che il mandato non possiede tale effetto. Adesso dimostreremo che non è necessario ammettere questa obbligatorietà di iscrizione per tutti i fedeli, per sostenere che l’A.C. possieda un mandato.
Un semplice paragone lo dimostrerà meglio di qualsiasi digressione dottrinale. Quando lo Stato convoca i cittadini a una mobilitazione generale, assieme al mandatum di incorporazione nei ranghi, assegna loro delle funzioni di carattere statale. Le stesse funzioni possono, tuttavia, essere attribuite ai volontari, la cui incorporazione nell’esercito non risulta da un atto di comando, ma da un atto libero. Come si vede, il mandatum non è un elemento necessario per il conferimento della funzione ufficiale. 
È per questo che i poteri di un Vescovo che accetta il proprio incarico sono tanto reali sia in virtù di un'imposizione dell’autorità, sia in conseguenza di un semplice consiglio, od ancora dopo averlo rivendicato per sé.
Quindi, che si ammetta o meno l’obbligatorietà dell'iscrizione dei laici all’A.C.,   non ne decorre qualsiasi conseguenza essenziale riguardo ai poteri che questa possiede. Ancorché questa iscrizione fosse facoltativa, il mandato ricadrebbe totalmente sull’A. C. come un organismo collettivo alla quale la Santa Sede ha imposto imperativamente un incarico determinato. E tutti coloro che  quantunque facoltativamente si iscrivessero all’A.C., diventerebbero partecipanti del mandato di questa.
In altri termini, neanche qui si può riscontrare una differenza essenziale tra l’A.C. e le altre organizzazioni di laici.



Vi sono altre opere dotate di mandato, alle quali mai si è attribuito un'essenza giuridica diversa dalle opere laiche prive di mandato

A questo punto, possiamo giungere a considerazioni di vivo interesse. Se è certo che l’A.C. ha l’obbligo imposto dal Santo Padre di realizzare l’apostolato, non è certo che in altre opere estranee agli organismi fondamentali dell’A.C. e ad essa anteriori, non vi sia pure un mandato, cioè, un obbligo assoluto e tassativo, di realizzare un determinato incarico di apostolato. Non è difficile trovare opere di apostolato laico erette ad iniziativa di Papi e di Vescovi, alle quali furono assegnati incarichi a volte importantissimi, tali che da queste opere non potevano esimersi, sotto pena di grave disubbidienza. 
Tante altre opere erette per iniziativa privata, con una semplice approvazione ecclesiastica, hanno ricevuto posteriormente dalla Gerarchia l’ordine di realizzare certi incarichi, i quali costituiscono spesso una parte centrale e stimatissima di più di un programma di governo episcopale. Pertanto, non si è mai preteso che queste opere, dotate di un evidente e incontestabile mandato, ponessero i loro esecutori laici in una situazione giuridica essenzialmente diversa. 
C'è di più. Il Concilio Plenario Brasiliano, dopo aver organizzato tra noi l’A.C., rese obbligatoria la fondazione di Confraternite del Santissimo Sacramento in tutte le Parrocchie, e incaricò imperativamente queste Confraternite dell'incarico fra tutti glorioso, di vegliare sullo splendore del culto. È un mandato. Chi oserà, quindi, affermare che ciò ha cambiato la natura giuridica di queste antichissime Confraternite? Ci sarà una prova più concludente che l’A.C. non è l’unica a possedere il mandato, e che implicitamente non ha una natura giuridica essenzialmente diversa dalle altre associazioni?
Come Presidente dell’A.C., e per quanto questo libro sia scritto per difendere l’A.C. contro il supremo pericolo di usurpare titoli che non possiede, l'autore di queste righe non potrebbe non essere estremamente grato delle rilevanti prerogative con cui la Santa Chiesa premiò l’A.C.. Dunque, sarebbe un assurdo che avessimo il proposito di impoverire o sminuire in qualsiasi cosa ciò che, al contrario, abbiamo l’obbligo di difendere. Negando all’A.C. una natura giuridica che non possiede, non possiamo, per questo, non accentuare che rimangono intatti in tutta la nostra argomentazione i diritti espressamente conferiti all’A. C. dagli Statuti dell’Azione Cattolica Brasiliana attualmente vigenti. Prerogative  che elevando l’A.C. alla dignità di massimo organo dell'apostolato laico in nessun modo le tolgono l'attributo di suddita della Gerarchia. Impedendo gli eccessi di certi circoli dell’A.C., non la combattiamo né osteggiamo, il che sarebbe da parte nostra, oltre che indegno anche assurdo. Anzi, noi le prestiamo un servizio di suprema importanza, cercando di evitare che abbandoni il suo glorioso ruolo di serva della Gerarchia e sorella cospicua di tutte le altre organizzazioni cattoliche, invece di trasformarsi in un cancro divoratore e germe di disordini.
Giacché parliamo degli Statuti dell’A.C., possiamo terminare queste considerazioni con ancor una valutazione che essi ci suggeriscono.
Promulgati questi Statuti, e poste le Associazioni religiose preesistenti all’A.C. nella condizione di entità ausiliarie, si ammette come indiscutibile che queste hanno l’obbligo di aiutare i diversi settori fondamentali dell’A.C. nella misura e nelle forme che le loro regole o statuti lo permettano. Ebbene, questo obbligo di aiutare nell’apostolato, da chi fu imposto? Dalla Gerarchia. E che cos'è un obbligo imposto dalla Gerarchia, se non un mandato?
Riassumendo queste considerazioni, dobbiamo concludere che l’A.C. ha effettivamente un mandato imposto dalla Gerarchia, ma che questo mandato non le cambia l’essenza giuridica, la quale è identica alle altre numerose opere anteriori o posteriori alla costituzione degli attuali quadri giuridici dell’A.C. . E così come non si è mai preteso che le suddette opere fossero di essenza giuridica sostanzialmente diverse dalle altre opere dei laici, così pure non c’è ragione perché lo si pretenda a proposito dell’A.C..



Vi sono pure fedeli dotati di mandato, che non per questo cessano di essere meri sudditi nella Santa Chiesa

Aggiungeremo adesso un'osservazione. Vi sono persone che, in virtù di un grave dovere di giustizia o di carità, hanno l’obbligo imperioso di praticare certi atti di apostolato, che è un obbligo di carattere morale, imposto da Dio stesso. È, per esempio, il caso dei genitori in relazione ai figli, dei datori di lavoro in relazione agli impiegati, dei maestri in relazione agli alunni, ecc.. Ha lo stesso grave dovere, in determinate circostanze, qualsiasi fedele in relazione ad un altro, come, per esempio, nel caso di chi assiste un moribondo. Perciò tutti questi obblighi costituiscono veri comandamenti  e diverse organizzazioni sono state fondate per facilitare ai mandatari lo svolgimento di questo incarico. Sono le associazioni dei genitori cristiani, degli insegnanti cristiani, ecc., ecc.. Ciò nonostante, né queste organizzazioni, né tali mandatari hanno mai cessato, dinanzi alla Gerarchia, in una situazione essenzialmente identica a quella del laico. E, tuttavia, si tratta di un vero mandato. In questo senso, è significativa l’opinione di Padre Liberatore il quale, nel suo trattato di Diritto Pubblico Ecclesiastico, pubblicato nel 1888, sostiene testualmente il carattere mandatario della Gerarchia, dei genitori e degli insegnanti.  Così, dunque, la natura giuridica dell’A.C. non rappresenta, nella Santa Chiesa, nessuna novità.



Testi Pontifici

D'altronde, il Santo Padre Pio XI non affermò altro quando, in reiterate occasioni, insistette sull’identità dell’Azione Cattolica del suo tempo in relazione all’apostolato laico ininterrottamente esistente nella Chiesa, sin dai suoi primi tempi, e designando l’A.C. dei tempi apostolici con lo stesso nome (e con le stesse maiuscole) di quella dei nostri giorni. Ascoltiamolo, mentre si rivolge alle operaie della J.O.C. (Gioventù Operaia Cattolica) femminile italiana, il 19 Marzo 1927: “La prima diffusione del Cristianesimo a Roma si fece con l’A.C.. Avrebbe potuto essere altrimenti? Cosa avrebbero potuto fare i Dodici, sperduti nell’immensità del mondo, se non avessero chiamato attorno a sé dei collaboratori? San Paolo chiude le sue Epistole con una litania di nomi tra i quali sono pochi i sacerdoti ma molti i laici e persino donne; aiuta, dice lui, quelle che lavorano con me nel Vangelo. San Paolo sembra dire: sono i membri dell’Azione Cattolica".
Questo brano ci mostra che, sin dall’inizio della vita della Chiesa, la Gerarchia incominciò a convocare i fedeli, precisamente come fece Pio XI, per l'impegno apostolico. Come per accentuare l’intera e peraltro gloriosa identità dell’A.C. dei suoi giorni con quella dei primi tempi, Pio XI scrive le parole Azione Cattolica con lettere maiuscole in entrambe le allusioni e, nel discorso ai Vescovi e pellegrini della Jugoslavia, il 18 maggio 1921, egli aggiunge: "L’A.C. non è una novità dei tempi attuali. Gli Apostoli ne lanciarono le basi quando, nei loro pellegrinare per la diffusione del Vangelo, chiedevano aiuto agli stessi laici – uomini e donne, magistrati e soldati, giovani, anziani ed adolescenti, i quali avevano conservato fedelmente la parola di vita, annunziata tra loro nel nome di Dio”.



Convocazioni e mandati anteriori alla creazione dell’attuale struttura dell’A.C.

Per quanto l’adattabilità dell’Azione Cattolica, la sua struttura giuridica e i suoi approcci metodologici ai problemi dei nostri giorni siano completi, non vediamo come si possa pretendere, dopo questi testi, che l’Azione Cattolica di oggi abbia ricevuto un mandato che la renda essenzialmente diversa dall’Azione Cattolica esistente nella Chiesa dei tempi apostolici. D'altronde, bisogna rivelare che durante i venti secoli della sua esistenza, la Chiesa ha ininterrottamente ripetuto ai fedeli questa convocazione all’apostolato, sia sotto forma di stimoli, sia per mezzo di convocazioni; e queste convocazioni, identiche in tutto a quelle che faceva la Gerarchia nei primi secoli, sono pure identiche a quelle che vengono fatte oggi. Infatti, quale storiografo della Chiesa oserebbe affermare che vi fu un secolo, un anno, un mese o un giorno in cui la Chiesa abbia smesso di chiedere e di utilizzare la collaborazione dei laici con la Gerarchia? Senza parlare poi delle Crociate, un tipo caratteristico di Azione Cattolica militarizzata, convocata dai Papi con grande solennità, o della  Cavalleria andante e degli Ordini di Cavalleria, in cui la Chiesa investiva i cavalieri con amplissime facoltà e incarichi apostolici; per non menzionare gli innumerevoli fedeli che, attratti dalla Chiesa alle associazioni di apostolato da essa fondate, collaboravano con la Gerarchia, esaminiamo adesso altri istituti che rendono particolarmente salda la nostra argomentazione.
Nessuno ignora, che nella Chiesa esistono diversi Ordini Religiosi, e Congregazioni che accolgono soltanto coloro che non hanno ricevuto l’unzione sacerdotale. Tra questi vengono annoverati innanzitutto gli istituti religiosi femminili, come pure certe Congregazioni maschili, come ad esempio quella dei Fratelli Maristi. In secondo luogo esistono tanti Religiosi non Sacerdoti, ammessi a titolo di coadiutori negli Ordini religiosi sacerdotali. Non si potrebbe negare, senza incorrere in un giudizio temerario, che in generale i membri di questi Ordini o Congregazioni sono chiamati dallo Spirito Santo. Affiliandoli ai rispettivi istituti, la Chiesa gli affida ufficialmente l’incarico di fare apostolato, cioè, accresce con pene più gravose gli obblighi di apostolato che avevano già come fedeli e rende loro obbligatoria la pratica di certi atti apostolici. Nonostante tutto ciò, c’è chi intende che il misterioso e meraviglioso effetto del mandato dell’Azione Cattolica collochi i suoi membri molto al di su di un qualsiasi Religioso che non abbia gli Ordini Sacri. Perché? In virtù di quale sortilegio? Se questi Religiosi non si sono mai considerati elementi integranti della Gerarchia, essendo nella Chiesa dei meri sudditi, perché intendere il contrario nei confronti dell'A.C.?
Come si vede, non c’è nessun motivo per attribuire alla convocazione fatta da Pio XI, considerata in sé stessa, una portata maggiore di   quelle fatte dai loro predecessori.



Conclusione

È certo che Pio XI fece un appello particolarmente grave in vista di così prementi rischi in cui si trovava la Chiesa, e diede a questo appello una estensione molto generalizzata, abbracciando in esso, in un certo modo, tutti i fedeli. Tuttavia, anche in altre epoche, come abbiamo già detto, tutti i fedeli furono convocati a fare l’apostolato. Lo dice il proprio Pio XI nella summenzionata allocuzione ai Vescovi e fedeli della Yugoslavia, quando  ricorda che a Roma, “Pietro e Paolo chiedevano a tutte le anime di buona volontà questa collaborazione alle sue fatiche”. Quanto alla gravità dei rischi, se è sicuro che mai fu tanto grande quanto nei nostri giorni, nel senso che non siamo mai stati minacciati da una così profonda e generale apostasia, nondimeno è sicuro che tali rischi furono in altre epoche così imminenti come adesso. Perciò, la portata giuridica degli appelli fatti allora dai Papi non poteva essere minore di quelli odierni.
Citiamo alcuni testi pontifici che convocano i fedeli all’apostolato, ordinando persino che lo facciano:
Pio IX disse che “i fedeli devono togliere gli infedeli dalle tenebre e portarli alla Chiesa” (Lettera “Quanto Conficiamus, 10 agosto 1863). E il Concilio Vaticano dà  questo solennissimo mandato a tutti i fedeli: “Eseguendo il dovere del Nostro supremo ufficio pastorale, per le viscere di Gesù Cristo scongiuriamo tutti i fedeli di Cristo, specialmente coloro che presiedono o hanno l'ufficio d'insegnare, anzi comandiamo loro, con l'autorità dello stesso Dio e Salvatore nostro, che dedichino il loro studio e la loro opera per allontanare ed eliminare questi errori dalla Santa Chiesa e spandere la luce della purissima fede." (Costit. “Dei Filius”).
E a questo Leone XIII aggiunge: “Ancora questo vogliamo: che Voi stimoliate tutti, ma in particolare coloro che eccellono per cultura, ricchezza, dignità o potere, affinché in ogni momento della vita, in privato e in pubblico, curino con il massimo impegno il nome della Religione e la causa della Chiesa” (Lettera ai Vescovi dell’Ungheria, “Quod Multum”, del 22 agosto 1886). E nell'Enciclica “Sapientiae Christianae”, del 10 gennaio 1890 il Santo Padre aggiunge: “E’ certamente compito della Chiesa assumersi la difesa delle verità e sradicare dagli animi gli errori: questo in ogni tempo e religiosamente, poiché essa deve tutelare l’amore di Dio e la salvezza degli uomini. Ma quando lo richieda la necessità, non solo devono difendere la fede i prelati, ma “ciascun fedele deve propagare agli altri la propria fede, sia per l’istruzione degli altri fedeli, sia per confermarli, o per reprimere gli assalti degli infedeli”. E, nella stessa Enciclica, il Santo Padre ricorda il testo del Concilio Vaticano, che abbiamo  trascritto qui sopra, e aggiunge: “Che ognuno si ricordi che può e deve, dunque, diffondere la fede cattolica”. E nella lettera – “Testem Benevolentiae” sull’Americanismo, il Santo Padre afferma che “la parola di Dio ci insegna che ognuno ha il dovere di lavorare per la salvezza del prossimo, secondo l’ordine e il grado in cui è posto. I fedeli adempieranno con esito questo compito che gli fu dato da Dio, grazie all’integrità dei loro costumi, alle opere di carità cristiana ed alla preghiera ardente ed assidua”.
E nell’Enciclica “Graves de Communi”, del 18 gennaio 1901, il Santo Padre aggiunge, dopo aver raccomandato una direzione centrale per tutti gli sforzi dei cattolici: “E in Italia questa direzione vogliamo che spetti all’Opera dei Congressi e Comitati cattolici, che più volte si meritò le Nostre lodi; alla quale il Nostro Predecessore e Noi medesimi affidammo l’incarico di dirigere il movimento cattolico sempre sotto gli auspici e la guida dei Vescovi. Altrettanto si faccia presso le altre nazioni, che abbiano qualche simile società principale, a cui legittimamente siasi affidato un tale incarico”. Finalmente,  nell'Enciclica “Etsi Nos”, del 15 febbraio 1882, troviamo questa energica riflessione: “Certamente la Chiesa generò ed allevò i figli non a condizione che, quando il tempo o la necessità lo richiedesse, essa non dovesse aspettarsi da loro alcun aiuto, ma perché ognuno anteponesse alla propria tranquillità e ai privati interessi la salute delle anime e la incolumità degl’interessi religiosi”.
Per concludere queste considerazioni, usiamo un'analogia. Normalmente, tutti i cittadini hanno dei doveri verso la Patria, tra cui quello di difenderla, se viene attaccata. Questo dovere, anteriore alla promulgazione di qualsiasi legge dello Stato, risulta dalla morale. Se, tuttavia, lo Stato chiama i cittadini alle armi,  ricordandogli il dovere di difendere la Patria, il loro obbligo si fa più grave. Ma non si può pretendere per questo che la convocazione implichi una promozione massiccia all’ufficialato. Anzi, più che mai, questo è il momento delle grandi rinunce e della disciplina incondizionata. Lanciando una convocazione generale, Pio XI non fece promozioni ne promise gratifiche. Al contrario, la gravità del pericolo che egli denunciò, consiglia imperiosamente la disciplina e la rinuncia, mentre condanna severamente le pretese di comando e i pruriti di disordine.

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NOTE

[1] Per evitare qualsiasi confusione di spirito, vogliamo inquadrare nell’ordine generale delle idee che abbiamo esposto una classificazione molto conosciuta, e, d'altronde, di evidente valore intrinseco: l’attività apostolica ufficiale e quella privata. La portata di ognuno di questi termini – ufficiale e privata –   viene generalmente considerata in modo eccessivo. La Chiesa è una società dotata di un governo proprio, per cui agisce ufficialmente attraverso questo governo, e le attività personali dei soci non potrebbero, in nessun modo, implicare l'intera collettività. In questo consiste, nella Chiesa come in qualsiasi altra società, la distinzione tra “ufficiale” e “privato”. Tuttavia, sarebbe palesemente sbagliato supporre che l’attività privata non ha alcun impatto, influenza o effetto sulla società; e che è 'privata", nel pieno senso del termine, perché procede esclusivamente dall’individuo che ne è il solo responsabile. Prendiamo un esempio concreto. Una società fondata per inaugurare e coordinare degli studi su un problema storico inesplorato, si esprime in modo ufficiale solo per mezzo della sua direzione. Ma tutti gli studi realizzati dai suoi membri in conseguenza dell’impulso dato dalla società, dei mezzi da essa forniti per la realizzazione delle ricerche e con l’intenzione di colmare il fine sociale, sono atti che decorrono dalla società, e tornano a suo merito. Così, con ogni proprietà dell’espressione, la società può asserire che è stata l’autrice degli studi portati privatamente a termine da tutti i suoi membri mirando al fine sociale.
Lo stesso avviene con la Santa Chiesa. Nonostante abbia la propria autorità, l’unica a poter agire in modo ufficiale, non si può supporre che le opere apostoliche da essa consigliate, permesse in modo esplicito o tacito, o soltanto approvate a “posteriori” siano degli atti puramente individuali, e che il loro merito ricada  esclusivamente sull’individuo. Fu la Santa Chiesa che rese l'individuo capace di capire la nobiltà soprannaturale dell’azione apostolica, fu essa che gli proporzionò la grazia senza la quale non c’è vera volontà di fare apostolato, e fu in conformità con la sua volontà che l’individuo agì. In aggiunta, egli agì in qualità di membro suo. Come pretendere, dunque, che l’azione individuale dell’apostolato detto privato non coinvolga in nessun modo la Santa Chiesa? Questo implicherebbe l’alterazione del linguaggio di quasi tutti o di tutti i trattati di Storia della Chiesa, che fanno tornare a suo merito – con quale sovrabbondanza di motivi! – tutte le azioni nobili praticate dai fedeli attraverso la Storia.
Qual è dunque l'esatta portata della distinzione tra l'apostolato ufficiale e quello privato? È sempre immensa.
L’apostolato ufficiale è diretto dall'Autorità Ecclesiastica. Di conseguenza, essa ha la responsabilità immediata per tutti gli atti praticati nelle opere ufficiali. In effetti, l’Autorità ha la responsabilità morale di tutto ciò che ordina. Nelle opere di apostolato semplicemente permesse o consigliate, ogni qualvolta la direzione degli aspetti esecutivi non sarà a carico dell’Autorità Ecclesiastica, questa avrà merito per tutto ciò che verrà fatto di buono – se questo è stato da essa permesso – e i privati avranno la colpa per tutto ciò che vi sarà di errato o di cattivo, che non era presente né nelle intenzioni, né nel permesso dell'Autorità Ecclesiastica. Dunque, la Chiesa desidera e permette che diamo buoni consigli al prossimo. Ogni qualvolta lo faremo, una parte del merito dell’azione è dell’Autorità. Ma se lo faremo male, basandoci su una dottrina contaminata dall’errore, o priva della necessaria carità e prudenza, l’autorità non avrà nessuna colpa in questo, e la colpa sarà tutta nostra.

[continua]

(Traduzione a cura di Umberto Braccesi)





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