Quando si parla di “dipendenza”, saltano subito in mente le droghe, tutte
pericolosissime. Vi è, però, una dipendenza per certi versi molto peggiore
della marijuana o della cocaina: i videogiochi su internet. Lo dicono gli
esperti – psicologi, educatori, sociologi – sempre più preoccupati per questa
che, da più parti, comincia a essere chiamata la “dipendenza del secolo XXI”.
A questo problema così attuale, Tradición
y Acción por un Perú Mayor, consorella delle TFP, ha dedicato un libro
recentemente pubblicato a Lima: «Internet y videojuegos. La “adicción del
siglo XX”. Ver, juzgar, actuar».
Il gioco ha un ruolo essenziale nello sviluppo dei bambini e degli
adolescenti. Serve per distrarre, mentre intrattiene, istruisce, diverte e
aiuta a sviluppare le capacità intellettuali e fisiche. Favorisce anche la
socializzazione. È soprattutto nel gioco, infatti, che il bambino impara a
interagire con gli altri. I videogiochi, oggi, diffusi in rete hanno l’effetto
esattamente contrario: generano ansietà, squilibri, depressione, isolamento,
tristezza, aggressività…
L’aggressività può giungere alla violenza. Il libro cita molti esempi: dal
ragazzo dell’Ohio che assassinò i genitori perché gli avevano proibito di
giocare online, al giovane peruviano ucciso dal rivale per l’amore di una
“donna” virtuale.
Si moltiplicano, poi, i casi di morte per video-dipendenza.
Il numero di giovani deceduti, a causa delle intere giornate passate davanti
allo schermo, è in drammatica crescita. È il caso di Chris Staniforth, ventenne
inglese morto per trombosi polmonare dopo 72 ore ininterrotte davanti alla sua
Xbox.
Dopo una prima sezione dedicata al “vedere”, il libro dedica alcuni
capitoli al “giudicare”. Tanto per cominciare, i videogiochi distruggono il tessuto
della famiglia. Poi, producono un isolamento dal mondo reale che sfocia in
depressione e mancanza di capacità di attenzione. Spesso la depressione
provoca, o aggrava, la sindrome di Attention Deficit Hyperactivity Disorder.
Nel 2003, uno studio condotto su oltre centomila ragazzi di 31 paesi giunse
alla conclusione che “il computer rende i giovani meno intelligenti”.
Più recentemente, nel 2012, uno studio condotto dall’Università di Ulm, in
Germania, è giunto alla stessa conclusione: “Se l’uso del computer continua
ad aumentare, la prossima generazione sarà di scemi”. Gli studiosi stanno
parlando del popcorn brain, il cervello popcorn. “L’uso incontrollato
del computer – spiega il brasiliano Gilberto Dimenstein – provoca nel
cervello un’agitazione simile al popcorn che salta nell’olio bollente nella
pentola”.
L’ultima sezione del libro – “agire” – è dedicata alle soluzioni. L’opera
passa in rivista i consigli proposti dagli esperti per aiutare genitori e
insegnanti ad affrontare il problema: limitare l’uso del computer, accompagnare
i programmi scaricati, restare vicini ai figli, sostituire i videogiochi con
altre attività e via dicendo. Un punto cardine è ripristinare la conversazione
in famiglia. I genitori e gli insegnanti non devono aver paura di controllare i
giovani. Anzi, è quello il loro compito. L’essenziale, afferma il libro della
TFP peruviana, è impegnarsi seriamente nell’educazione dei giovani, insegnando
loro il valore del bene e del bello.
(Rivista Tradizione,
Famiglia, Proprietà, Dicembre 2015)
Tradición y Acción por un Perú Mayor
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