martedì 9 agosto 2016

La fonte del furore e dell'impeto della cavalleria


La bellezza della Cavalleria viene dall’idea del Santo Sepolcro calpestato, profanato, infangato, in balia dei musulmani, e dal conseguente bisogno di lottare con la spada per far cessare quella malvagità. Nella grazia che animava i crociati, il Santo Sepolcro appariva sotto una luce che non era la luce comune. Il Santo Sepolcro era considerato sacro in funzione della persona di Nostro Signore Gesù Cristo. Era come se, in qualche modo, Nostro Signore vi fosse veramente presente, disprezzato e ingiuriato.

Agli occhi dei crociati, Nostro Signore appare in tutta la Sua altezza, nella Sua infinita dignità, inondato da una luce divina. Ma, nonostante questa dignità, Egli manifesta una dolcezza come mai nessuno ha saputo fare. È quasi un paradosso: un’immensa elevatezza che patisce tuttavia le ingiurie con dolcezza. Proprio per questo la Sua elevazione splende con un fulgore speciale. Non è solo un’elevazione regale, ma un’elevazione che, per la dolcezza, si fa amare, attrae a Sé, offre perdono...  La semplice grandezza non possiede questo fascino. La Sua è un’elevazione che si inchina misericordiosa e amorevole sopra coloro che la contemplano, abbassandosi al loro livello. E tuttavia viene trattata in questo modo!
Questa elevazione è rappresentata  nel portamento incredibilmente  nobile e, allo stesso tempo, profondamente addolorato di Nostro Signore Gesù Cristo. Egli è stato torturato in un modo ingiusto oltre ogni limite. Tuttavia, la sua trascendenza assoluta, anche quando ingiuriata e miserevolmente profanata, desta in Lui un dolore che non è collera, ma una tristezza profonda che si esprime con la dolcezza. Questo è un altro apparente paradosso. Per chiunque avesse sofferto tanto come Lui e in modo ingiusto, la reazione normale non sarebbe di dolcezza bensì di indignazione e di voglia di maledire. Ma non Lui. In Lui si nota un dolore profondo che produce una dolcezza d’una caratura morale tutta particolare, molto attraente, che invita all’umiltà e alla contrizione. Ma una dolcezza che ha piena coscienza di essere fatta per conquistare!
È proprio il brutale rifiuto di questa dolcezza da parte dei musulmani che suscita l’ira dei crociati. Ecco l’oggetto diretto del loro furore. Se l’infinita dolcezza di Nostro Signore non è capace di intenerire il cuore dei musulmani, allora bisogna ristabilire l’ordine sul filo della spada! Donde una formidabile combattività, che scaturisce dalla percezione dell’inutilità di ogni sforzo pacifico, e dal bisogno di infliggere un castigo e una riparazione. Davanti al fallimento della dolcezza, il crociato mette mano alla spada. E parte indignato per sconfiggere con la forza coloro che la dolcezza non è riuscita a smuovere.
Questo si sente già dal primo momento della crociata, ancor prima del Deus vult! del beato Urbano II. I crociati avevano piena coscienza del tremendo rifiuto dei musulmani, un rifiuto che ai loro occhi configurava un peccato consolidato, brutale e irrimediabile. Ecco la causa profonda della loro indignazione e del loro furore, frutto dell’atto di amore di un’anima che si era lasciata toccare dalla dolcezza di Nostro Signore Gesù Cristo.
Vedendo che tutta la maestà e tutta la dolcezza di Nostro Signore Gesù Cristo non solo non conquista quella gente ma, anzi, la incita a ingiuriarLo e a percuoterLo, il crociato riceve una grazia speciale per vendicare il nome di Dio. Ma questa vendetta sarà perfetta solo se il crociato non vi introdurrà il tumultuare delle sue passioni personali. Egli misura tutta l’immensità del peccato fatto, e il desiderio di voler vendicare Nostro Signore per amore disinteressato e puro. Questo è esattamente il cavaliere indomito, che ha la forza per caricare il maomettano, spada in mano.

Il Santo Sepolcro di Nostro Signore Gesù Cristo 
con sopra la cappa rossa, simbolo della TFP

Ecco la genesi psicologica di questo furore, che proviene dal modo in cui i crociati, nel Santo Sepolcro, hanno “visto” Nostro Signore Gesù Cristo offeso dai musulmani.
È solo a questa luce che si comprende l’impeto dei crociati. Non è l’impeto del soldato delle due Guerre mondiali, che lottava per questioni di confini nazionali violati. I crociati non lottavano per l’Alsazia-Lorena, per quanto legittima possa essere questa rivendicazione, ma per qualcosa di molto più nobile.

Plinio Corrêa de Oliveira
(Conferenza del 18 Ottobre 1989)

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