Sant' Enrico II Imperatore e sua
moglie santa Cunegonda
L'imperatore Enrico II è un esempio di rettitudine nella
difficile arte del governare: per questo, oltre che santo è patrono delle teste
coronate.
Nato nel 973 in Baviera, crebbe in un ambiente cristiano.
Il fratello Bruno divenne vescovo di Augsburg, una sorella si
fece monaca e l'altra andò in sposa a un santo, il re d'Ungheria Stefano.
Venne affidato per l'educazione ai canonici di Hildesheim e, in
seguito,
al vescovo di Regensburg, san Wolfgang.Si preparò così a un giusto esercizio del potere,cosa che avvenne dapprima quando divenne Duca di Baviera, e poi nel 1014 quando - già re di Germania e d'Italia -
Papa
Benedetto VIII, lo incoronò a guida del Sacro Romano Impero.
Tra i consiglieri ebbe santo Odilone, abate di Cluny,
centro di
riforma della Chiesa. Enrico morì nel 1024.
Fu lui a sollecitare l'introduzione del Credo nella Messa
domenicale.
L’odierna incomprensione nei confronti della nobiltà e delle élites
tradizionali analoghe risulta, in gran parte, dalla propaganda abile, seppure
priva di obiettività, fatta contro di esse dalla Rivoluzione francese.
Questa propaganda - alimentata continuamente durante i secoli XIX e XX
dalle correnti ideologiche e politiche succedanee di quella Rivoluzione - è
stata combattuta, con crescente efficacia, dalla storiografia seria. Vi sono
però settori dell’opinione in cui essa perdura ostinatamente. È bene, quindi,
dire qualcosa al riguardo.
Secondo i rivoluzionari del 1789, la nobiltà era formata sostanzialmente da
gaudenti che, detenendo insigni privilegi onorifici ed economici che indoravano
la vita grazie ai meriti e alle ricompense ottenute da lontani antenati, si
potevano permettere il lusso di vivere solo godendo le delizie dell’esistenza
terrena e, peggio ancora, specialmente quelle dell’ozio e della voluttà. Questa
classe di gaudenti era inoltre di grave peso per la Nazione, a danno delle
classi povere, queste si laboriose, morigerate e utili al bene comune.
Tutto questo ha prodotto l’idea che la vita tipica di un nobile, col
risalto e la agiatezza che normalmente deve comportare, inviti per se stessa ad
un atteggiamento di rilassatezza morale, molto diversa dalla ascesi richiesta
dai principi cristiani.
Pur senza negare che possa contenere qualcosa di vero, poiché nella nobiltà
e nelle élites analoghe della fine del secolo XVIII già si facevano notare i
segni precursori della terribile crisi morale del nostro tempo, è bene
sottolineare che questa versione, dannosa al buon nome della classe nobiliare,
è molto più falsa che vera Lo prova fra l’altro la stessa storia della Chiesa,
con il gran numero di nobili che Essa ha elevato all’onore degli altari,
attestandone la pratica in grado eroico dei Comandamenti e dei consigli
evangelici.
San Pier Giuliano Eymard ha così potuto dire che “gli annali della
Chiesa dimostrano che un gran numero di santi, e fra i più illustri, portavano
un blasone, possedevano un nome, una famiglia illustre: alcuni erano perfino di
sangue reale”.
Molti fra questi santi abbandonarono il mondo per praticare più sicuramente
le virtù eroiche. Altri invece, come i Re San Luigi di Francia e San Fernando
di Castiglia, conservarono il fasto della loro posizione e praticarono le virtù
eroiche vivendo completamente nella elevatissima condizione nobiliare che era
loro propria.
Per smentire più completamente queste versioni denigratorie della nobiltà,
e dei costumi e degli stili di vita che la sua condizione comporta,
bisognerebbe indagare quale sia la percentuale dei nobili fra quelli onorati
come santi dalla Santa Chiesa. (...)
Merita particolare attenzione uno studio fatto da André Vauchez, professore
all’Università di Rouen, intitolato La
Sainteté en Occident aux derniers siècles du Moyen Age. Esso presenta una
statistica di tutti i processi ordinati dai Papi tra il 1198 e il 1431. Ecco la
statistica fornita da Vauchez:
Processi di canonizzazione: 71
Nobili: 62%
Classe media: 15,5%
Popolo: 8,4%
Origene sociale ignota: 14,1% (...)
Questi dati, per quanto molto interessanti, non
potevano soddisfare il desiderio di un quadro più completo, poiché si
riferivano a un numero molto ridotto di persone e ad uno spazio di tempo
relativamente breve. Si rendeva necessaria una ricerca che comprendesse un
numero più vasto di persone e un tempo più ampio. (...)
Abbiamo scelto quindi l’Index ac Status Causarum, una pubblicazione
ufficiale della Congregazione delle Cause dei Santi, erede della antica Sacra
Congregazione dei Riti. Si tratta di una “edizione straordinaria e amplissima
fatta per commemorare il IV Centenario della Congregazione e che include tutte
le cause ad essa pervenute dal 1588 fino al 1988, e anche quelle più antiche
conservate nell’Archivio Segreto Vaticano”:
Santi nobili: 21,7%
Beati nobili: 12%
Conferma di culto di persone nobili: 31,8% (...)
Se prendiamo in considerazione che la classe nobile
rappresenta non più del 1,5% della popolazione totale, i dati sopra riportati
dimostrano che, in ciascuna delle categorie, la percentuale dei nobili è
notevolmente maggiore di quella dell’insieme della popolazione di un Paese.
Questo dimostra l’esatto contrario delle calunnie rivoluzionarie sulla pretesa
incompatibilità tra, da un lato, l’appartenenza e permanenza nel ceto nobiliare
e, dall’altro, la pratica della virtù.
Plinio Corrêa de Oliveira,
"Nobiltà ed élites tradizionali analoghe
nelle allocuzioni di Pio XII"
Marzorati, Milano 1993, pp. 255-259
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