Da tutte le parti sento dire che la giustizia imporrebbe che, al punto di
partenza della vita, tutti avessero le stesse opportunità. L'educazione
dovrebbe perciò essere uguale per tutti, come pure il curriculum delle diverse
professioni. Chi avesse più capacità, finirebbe fatalmente con l'emergere. Il
merito troverebbe stimolo e ricompensa. E la giustizia -- finalmente! --
regnerebbe sulla terra.
Questa opinione assume talvolta sfumature "cristiane" (e qual è
la sciocchezza che non tenta oggi di mascherarsi da "cristiana"?).
Alla fine, dicono, Dio premierà tutti gli uomini secondo i loro meriti, a
prescindere dalla culla. Nella prospettiva della giustizia divina, di fronte
all'eternità, ci sarebbe dunque una negazione del valore dei punti di partenza.
Sarebbe pertanto lodevole, degno, cristiano, organizzare l'esistenza terrena
secondo i canoni della giustizia divina, facendo sì che i vantaggi della vita
terrena siano nella stessa misura alla portata di tutti, affinché ne possano
usufruire i più capaci.
Prima di analizzare questo principio in sé stesso, vediamo alcune delle sue
applicazioni concrete.
Certi imprenditori, per esempio, ritengono che il carattere ereditario
dell'azienda sia un privilegio antipatico. I loro figli non saranno proprietari
per diritto di successione. Entreranno a farne parte come semplici dipendenti,
svolgendo le mansioni più modeste. Per giungere ai livelli manageriali,
dovranno farsi strada da soli.
Ci sono poi famiglie facoltose e di buona formazione che, tuttavia,
considerano un imperativo di giustizia l'istituzione di un modello omogeneo di
scuola elementare e media, con la conseguente soppressione o riforma di tutte
le istituzioni scolastiche che trasgrediscano questo modello.
Non sono rare le persone che, avendo costituito un certo patrimonio, hanno
tuttavia un rimorso di coscienza nel trasmetterlo ai figli. Le tormenta l'idea
che essi possano ipso facto profittare di un privilegio antipatico ed ingiusto,
acquisendo beni che non provengono dal loro lavoro né dal loro merito
personale.
Così la dottrina dell'uguaglianza
obbligatoria dei punti di partenza sfocia in conseguenze che possono devastare il regime di proprietà privata.
Prima di proseguire, occorre far notare alcune bizzarre contraddizioni in
cui cadono i difensori di queste idee. Fanatici
del merito come unico criterio di giustizia, tuttavia promuovono nelle
scuole la pedagogia moderna, ostile al sistema di premi e castighi, ritenuti
perniciosi in quanto fonte di complessi. In questo modo, l'idea di merito e il
suo necessario corollario, cioè l'idea di colpa, vengono cancellate
dall'educazione dei futuri cittadini della civiltà fondata appunto sul merito.
D'altra parte, gli stessi fanatici
del merito sono spesso favorevoli a cimiteri con tombe uguali per
tutti. In questo modo, alla fine d'una esistenza organizzata esclusivamente
secondo il criterio del merito individuale, e alle soglie d'una vita eterna
felice o infelice a seconda del merito o della colpa, viene cancellato
qualsiasi riconoscimento del merito: tombe rigorosamente uguali per l'insigne
cattedratico e per l'uomo comune, per colui che ha governato popoli e per colui
che si è curato appena della propria esistenza, per la vittima innocente e per
l'infame assassino, per il fautore di scismi e di eresie e per l'eroi che è
vissuto e morto in difesa della Fede.
Come spiegare che questi fanatici possano, allo stesso tempo, divinizzare il merito e negarlo così
radicalmente?
Però, la più stupefacente
contraddizione di questi partigiani dell'uguaglianza dei punti di partenza
si palesa quando si proclamano anche
difensori della famiglia. Questa è, in effetti, in mille modi la più
energica negazione dell'uguaglianza dei punti di partenza. Vediamo perché.
Esiste un fatto naturale,
misterioso e sacro, intimamente associato alla famiglia: l'eredità biologica. È innegabile che,
in questo campo, alcune famiglie sono più dotate di altre, indipendente dal
livello di assistenza sanitaria di cui abbiano goduto. E questa eredità biologica produce importanti riflessi di ordine
psicologico. Per esempio, ci sono famiglie che si trasmettono di
generazione in generazione uno spiccato senso artistico, o una grande facilità
di parola, o un acuto senso medico, o uno speciale fiuto per gli affari. La stessa natura - e quindi Dio che ne è l'Autore - infrange, attraverso la famiglia,
l'uguaglianza dei punti di partenza.
Ma la famiglia non trasmette
solo doti biologici e psicologici. Essa è un'istituzione educativa, anzi, per
l'ordine naturale delle cose, è la prima
delle istituzioni educative e formative. Un figlio educato da genitori
altamente dotati - dal punto di vista del talento, della cultura, delle belle
maniere o, soprattutto, della moralità - avrà ipso facto un punto di partenza superiore. L'unico modo di evitare questo sarebbe sopprimere la famiglia ed
educare tutti i figli in scuole statali ugualitarie, secondo il modello
comunista.
Esiste dunque una disuguaglianza ereditaria più
importante di quella del patrimonio derivante, direttamente e
necessariamente, dalla propria esistenza della famiglia.
E l'eredità del patrimonio? Se un
padre ha veramente un cuore paterno, egli per forza amerà più degli altri suo
figlio, carne della sua carne e sangue del suo sangue. Così, egli agirà secondo
la legge cristiana se non risparmierà sforzi, sacrifici né veglie per
accumulare un patrimonio che possa mettere suo figlio al riparo delle tante sventure
che la vita può comportare. Questo lodevole affanno lo porterà a produrre molto
di più di quello che avrebbe prodotto se non avesse avuto figli. Alla fine d'una
vita di lavoro, quest'uomo potrà morire
in pace, contento di lasciare il figlio in condizioni più propizie. Immaginiamoci
che, nel momento in cui è appena spirato arrivi lo Stato e, in nome della
legge, confischi l'eredità per imporre
il principio dell'uguaglianza dei punti di partenza. Questa imposizione non
costituisce una frode nei confronti
del morto? Non calpesta uno dei valori più sacri della famiglia, un valore
senza il quale la famiglia non è famiglia e la vita non è vita, e cioè l'amore
paterno? Sì, l'amore paterno che elargisce protezione e assistenza al figlio, persino
aldilà dell'idea del merito, semplicemente, sublimemente, per il semplice fatto
che è il figlio.
E questo vero crimine contro l'amore paterno, cioè la soppressione
dell'eredità, può essere compiuto in nome della Religione e della Giustizia?
Plinio
Corrêa de Oliveira
(Folha de S. Paulo 11-12-68. I grassetti sono nostri)
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