Nel nostro ultimo articolo abbiamo dimostrato che le meditazioni fatte con tanta frequenza a riguardo dell'ingratitudine, della vigliaccheria e della cecità del popolo che aveva glorificato il Signore la Domenica delle Palme come agli Apostoli, durante la Passione, non devono avere, per noi, un interesse meramente speculativo.
Anche noi abbiamo, verso Nostro Signore, delle ingratitudini, vigliaccherie e cecità molto simili alle loro, e sarebbe ridicolo pensare appena ai loro difetti, senza prendere in considerazione anche la "trave che c'è nel nostro proprio occhio".
Nessuno si santifica meditando le virtù o i difetti altrui, se non lo fa in modo da accrescere le proprie virtù, o combattere i propri difetti. Così, dunque, con gli occhi posti sulla Passione di Nostro Signore, non dobbiamo per questo dimenticarci di noi stessi, poiché Gesù ci chiede non tanto di piangere con la Madonna i patimenti dell'Agnello di Dio, quanto di badare a non trasformare la nostra propria anima in una seconda edizione di coloro che Lo immolarono.
Questa riflessione, assolutamente vera in ciò che dice riguardo alle soavi tristezze della Settimana Santa, si applica pure, punto per punto, alle austere allegrie della Risurrezione.
Tanta gente si meraviglia e si indigna per la perturbazione piena di abbattimento e per l'animo vacillante manifestato dopo la morte di Gesù, da parte degli Apostoli, a proposito della Risurrezione. Il Redentore aveva predetto in modo positivo che sarebbe risorto dai morti. Tuttavia, essendo [Egli] spirato sulla Croce, gli Apostoli si lasciarono dominare da una prostrazione che lasciava trasparire chiaramente tutto il vacillamento che avevano nell'anima. E San Tommaso volle toccare con le dita il Salvatore, per credere nell'oggettività della Risurrezione.
Orbene, la realtà è che anche noi siamo soggetti alla stessa debolezza e non raramente essa ci sopraffà, contando sul nostro proprio consentimento. Certamente tutti noi crediamo, grazie a Dio, con tutta la fermezza e senza il minimo vacillamento, nell'oggettività della Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. C'è però un'altra verità, che senz'altro ammettiamo, ma che a volte lo facciamo con tanto timore, dandogli un senso quasi puramente speculativo e tanto ristretto, da renderci perfettamente meritevoli della censura dello Spirito Santo: "sono diminuite le verità tra i figli degli uomini". Non si tratta di una verità di cui dubitiamo, ma su cui abbiamo, nel nostro spirito, una nozione diminuita. Pertanto, quanti e quanti errori ne derivano!
Questa verità che Nostro Signore affermò in modo inconfutabile, e a rispetto della quale la Sua parola non è meno infallibile di quando predisse la propria Risurrezione, è la fecondità soprannaturale della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana, che resterà in piedi, fiera dinanzi agli attacchi di tutti i suoi nemici, sino alla fine dei secoli, sempre capace di attirare, per mezzo della grazia, gli uomini di buona volontà. Tutti i cattolici, è chiaro, sono obbligati a credere in questa verità.
La Chiesa non perderà mai questo dono di attirare le anime. Negarlo implicherebbe negare che Gesù Cristo è Dio, o che i Vangeli sono libri ispirati. Negarlo è, quindi, negare la Religione stessa. Ma questa verità, che tutti accettano, la possiedono tutti con uguale estensione ? La vedono tutti con uguale chiarezza? Ne traggono tutti le stesse conclusioni?
Nei torbidi giorni che attraversiamo, quando si vede l'eresia dilatarsi e minacciare il mondo intero, quante persone giudicano la Chiesa in tal modo minacciata, che si sentono propense a concessioni dottrinarie dinanzi agli attuali dominatori del mondo!
Oggidì il paganesimo generale dei costumi è penetrato in tutte le sfere della società ed ha scavato un abisso sempre più profondo, tra lo spirito della Chiesa e lo spirito di questa epoca. A questo punto, quanta gente consiglia di fare delle concessioni morali capaci di riconciliare la Chiesa con questa società senza il cui appoggio si teme, nel mondo, che essa subisca un collasso, se non proprio mortale, per lo meno simile ad un prolungato svenimento.
In vista della formazione di correnti pseudo-scientifiche sempre più contrarie agli insegnamenti infallibili della Chiesa, quanta gente desidererebbe che la Chiesa, benché non alterasse le verità già definite, per lo meno non esplicitasse la sua dottrina su punti ancora controversi, e sui quali una qualsiasi definizione da parte del Cattolicesimo potrebbe rendere le divergenze con la nostra epoca ancora maggiori.
Ovviamente, tutti questi errori, procedono da un timore alquanto incosciente riguardo alla fecondità della Chiesa.
Infatti, che cosa è la dottrina Cattolica? E' un insieme di verità. Finché, in questo insieme, una sola verità fosse adulterata, la dottrina cattolica già non sarebbe se stessa. Così, tentare di accomodarla, adattarla, sistemarla, è adoperarsi perché perda l'identità con se stessa; in altri termini, è tentare di ucciderla. E credere che l'apostolato non è possibile senza questo adattamento, è come credere che la Chiesa solo può vincere morendo!
Questo vacillare, in un vero cattolico, ovviamente non può riferirsi a certe verità già definite in modo incontrastabile dalla Chiesa. Ma ci sono numerose applicazioni pratiche di princìpi, o deduzioni dottrinarie a rispetto di princìpi già definiti, in cui si manifesta questa debolezza. Invece di cercare la verità, nell'utilizzazione dottrinaria o pratica dei princìpi, tutta la verità, e soltanto la verità, le riflessioni fatte a questo proposito si lasciano più o meno impregnare dalla preoccupazione di condiscendere agli errori del secolo. E, così, invece di cercare di trarre dal tesoro delle verità cattoliche tutti i frutti di ordine intellettuale e morale che esse contengono, si cerca di sapere maggiormente ciò che andrebbe etichettato come discutibile, e quindi, come materia libera, anziché ciò che sarebbe etichettato come vero, e dunque come materia certa.
In altre parole, l'invariabile mania di accondiscendere porta molta gente a cercare di dilatare gli spazi intellettuali riservati al dubbio. In presenza ad un'affermazione dedotta dalla dottrina cattolica, la domanda dovrebbe essere questa: "posso incorporare ancor questa ricchezza al patrimonio delle mie convinzioni?".
Però di solito la domanda è quest'altra: "che ragioni posso scoprire, per dubitare anche di questo?".
Pio XI, ricevendo in udienza l'Ecc.mo Rev.mo Sig. Arcivescovo di Cuiabà, gli diede questa parola d'ordine per i giornalisti cattolici del Brasile:"dilatate spatia veritatis "(dilatate gli spazi della verità). A molta gente piace fare il contrario: invece di sforzarsi a scoprire nuove verità dottrinarie dedotte da quelle già conosciute, oppure a estendere il più possibile l'applicazione di queste verità nella pratica, tutto il loro sforzo mira al negare il più possibile qualsiasi cosa di positivo che si faccia in questo senso. Insomma, fare esattamente l'opposto del vero spirito costruttivo, cioè dilatare gli spazi, non della verità, ma del dubbio.
Se la Rivelazione è un tesoro e la diffusione del Vangelo é un bene, quanto più questo tesoro si diffonde e questo bene viene distribuito, tanto più dobbiamo essere contenti. Molta gente, tuttavia, crede il contrario, cioè quanto più si occultano i corollari logici della Rivelazione e si accorciano le conseguenze di ciò che è nel Vangelo, tanto più si è caritatevoli ! Come Dio sarebbe stato caritatevole se avesse imposto una morale meno severa ! Perché non previde che nel XX° secolo, questa morale sarebbe stata un ingombro non diffusibile!". Quindi, correggiamo l'opera di Dio: accorciamo ciò che nella sua opera è troppo lungo; appanniamo la luce di ciò che brilla troppo, e così avremo largamente beneficiato l'umanità". Quanta gente, sul piano pratico, ragiona così!
Orbene, procedere in questo modo non riflette il timore che ormai la Chiesa non conta sull'assistenza di Dio e che, di conseguenza, se non banalizzerà sé stessa non potrà più trascinare le folle? E questo dubbio sull'ausilio soprannaturale che Dio dà alla Chiesa non si assomiglia molto con il dubbio che, prima della Rivelazione, venne sentito a riguardo di questo fatto?
Riflettiamoci su. E chiediamo a Nostro Signore che, facendo risuscitare in noi i tesori delle grazie che rifiutiamo, ritorniamo ancora a quella ortodossia verginale della Fede e a quella perfezione di vita, che forse il peccato, per nostra massima colpa, ci avrà rubato.
Plinio Corrêa de Oliveira - "O Legionario", 13/04/1941)
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