Ovunque l'azione della Chiesa si fa sentire, essa è eminentemente civilizzatrice nelle sue diverse manifestazioni. Nel momento stesso in cui il cristianesimo conquistava la Germania con San Bonifacio penetrava pure nelle foreste vergini dei territori tedeschi la civiltà greco-romana.
Lo stesso soffio di cristianesimo che spazzò via dalle selve della Germania gli evanescenti fantasmi dell'antica mitologia, spazzò via anche la ferocia e la crudeltà delle implacabili orde di barbari che devastavano incessantemente i confini dell'Impero Romano.
Ciò che San Bonifacio fece in Germania, lo fecero in tutte le nazioni occidentali innumerevoli missionari che, come umili araldi della verità, percorsero ogni angolo dell'Europa barbara e selvaggia dei primi secoli medievali.
Chi si ricorderà?
Alcuni fra questi missionari sono stati elevati agli onori degli altari. Altri sono scivolati nell'oblio. La loro opera, comunque, gli è sopravvissuta. Quando l'uomo super-civilizzato dei nostri giorni -- orgoglioso della velocità delle sue macchine -- percorre celeremente le autostrade piene di sole e di vita della Spagna meridionale, o quelle perennemente avvolte nella nebbia sonnolenta e melanconica della gelida Svezia, invece di inorgoglirsi con le invenzioni di questo secolo, dovrebbe ricordarsi che in Europa non esiste ferrovia, non esiste autostrada, non esiste aeroporto oltre i confini dell'antico Impero Romano in cui, tanti secoli fa, la nostra civiltà non sia penetrata col bastone di qualche anonimo e devoto missionario.
Questa è la verità non solo per l'Europa, ma vale per tutto l'universo.
Nessun superbo transatlantico può solcare i mari dell'Oriente, dell'Africa o dell'America senza che l'ombra dei missionari cattolici d'altri tempi ricordi loro che, prima della cupidigia del mercante, l'ardore dell'apostolo già percorreva quelle strade, affrontando le stesse difficoltà, superando gli stessi ostacoli, conquistando con la dolcezza e con la predicazione le stesse genti che i mercanti avrebbero poi sottomesso con le armi e col sangue.
La via XV Novembre (1), oggi palpitante di civiltà americana, invasa dagli imponenti grattacieli delle banche, abbagliante per le vetrine dei negozi di moda è giustamente ritenuta l'orgoglio dei paulisti.
Chi si ricorda, però, che il vibrante dinamismo che oggi caratterizza San Paolo non è altro che il frutto del sudore benedetto di un missionario umile e debole che, quattrocento anni fa, percorreva questi stessi luoghi, allora impervi e pericolosi, catechizzando gli indios e ricristianizzando, anche a rischio della propria vita, gli avidi esploratori portoghesi?
Chi si ricorda che tutta questa vita, tutta questa grandezza che ostenta la moderna San Paolo altro non è che frutto del robusto albero che Anchieta (2) piantò col sacrificio, e poi innaffiò col sangue dell'abnegazione e con le lacrime della penitenza? Nessuno!
Bisogna assolutamente che cessi questa ingiustizia. Il nostro secolo dovrebbe essere, prima di tutto, un tempo di riparazioni tese a riallacciare le cose alle loro vere radici. E la maggiore riparazione, la più urgente -- in fondo l'unica -- è quella riguardante la Chiesa.
Un mondo in crisi
Oggi si parla tanto di progresso. Il secolo XX, che nel suo primo decennio rassomigliava ad una commedia, si è bruscamente trasformato in una tragedia lunga e sanguinosa, che non accenna a finire. Una lunga successione di dolorosi avvenimenti ci separano ancora dall'esito fatale della lotta fra i tanti elementi che si scontrano nei nostri giorni. E, come in ogni ambiente incline alle tragedie, possiamo scorgere nella nostra epoca grandi vizi.
Materialmente, la nostra civiltà è formidabile. L'uomo ha conquistato il cielo e riesce a perscrutare il fondo dell'oceano. Ha praticamente cancellato le distanze. Ha volato... Le nostre fabbriche possiedono macchinari che possono piegare come uno spillo la più resistente sbarra di acciaio.
Tuttavia la nostra mentalità soffre del male esattamente opposto: invece di piegare le sbarre di acciaio come se fossero spilli, l'anima dell'uomo moderno si mostra debole nei confronti di sacrifici morali tenui come spilli, e che lui invece considera sbarre di acciaio.
Le nostre aspirazioni sono caotiche. Come bambini che giocano in un salotto, gli uomini di oggi si compiacciono di rompere, incoscientemente e stupidamente, gli ultimi soprammobili e gioielli che restano della vera civiltà.
La meccanica è utilizzata per la distruzione e per la guerra. La chimica non serve solo gli ospedali, ma produce anche gas velenosi. L'uso delle sostanze tossiche non è limitato ai laboratori, ma alimenta anche i vizi d'una generazione incapace di vivere, che cerca di evadere dalla realtà affondando nelle plaghe sempre nuove dei sogni e della fantasia. Dopo aver divorato le tradizioni del passato, la macchina sta divorando le speranze del futuro. La produzione non ha più rapporto con le vere esigenze del consumo.
Tutto si scompiglia, tutto si disgrega. E l'uomo moderno comincia a rendersi conto che, in mezzo ai frutti piacevoli d'una civiltà materialmente ricca di comfort raffinati, spuntano anche i frutti amari di un sibaritismo portato all'estremo dagli stessi strumenti creati dalla civiltà.
Il neobarbaro del secolo XX
Deluso, l'uomo di oggi, contrariamente a ciò che succedeva agli inizi del secolo, non raffigura più il progresso in forma allegorica di donna vestita con una tunica greca, con in mano il sacro fuoco della libertà, che spezza le catene del passato e avanza con paso deciso e sguardo radioso verso un futuro carico di promesse.
Queste rutilanti allegorie, che avevano trovato spazio in certa iconografia ingenua di inizi secolo, sono ormai roba del passato. Se dovessimo raffigurare il mondo di oggi, dovremmo piuttosto ritrarre un bambino piangente e sconsolato davanti ad un vaso di porcellana che ha appena ridotto in pezzi e che non riesce più a riparare.
È giunto il momento di indagare sulle vere cause di un tale disastro. È giunto il momento di gettare uno sguardo retrospettivo sulla storia, non per indulgere in utopie liberalistiche, ma per analizzarla come un laboratorio nei cui alambicchi si è elaborato il presente.
È giunto soprattutto il momento in cui noi cattolici dobbiamo dimostrare e proclamare la grande verità dalla quale ci viene, come unica fonte, la salvezza: nella sua accezione morale più elevata e nelle sue manifestazioni materiali più legittime, il progresso deriva direttamente dalla Chiesa.
La triste scia di vizi, di errori, di nefandezze che il moderno progresso ha vomitato proviene invece da dietro le quinte di una barbarie che ebbe inizio con un certo Rinascimento. In questo senso, il Rinascimento fu barbaro come barbara è la vita primitiva degli ottentotti. Se la civiltà consiste fondamentalmente nella tendenza ad una vita collettiva degli uomini sempre più perfetta, la barbarie sopraggiunge quando l'uomo non è più capace di governare i suoi istinti, diventando in questo modo incapace di vita sociale.
Che questo smarrimento dei sensi si copra poi dei pizzi e delle sete dei sibariti, oppure si limiti al calzone di pelle degli ottentotti, è una mera questione di apparenza esteriore. Una nazione senza pizzi né sete, senza tram né telegrafi, ma nella quale regnassi la moralità, sarebbe più civilizzata di una Sodoma tecnicamente avanzata ma corrotta nelle intime fibre della sua moralità.
Il fondamento di ogni civiltà è la moralità. Quando una civiltà viene edificata sulle fondamenta d'una moralità fragile, quanto più essa crescerà tanto più si avvicinerà alla sua rovina, come una torre che, poggiando su fondamenta insufficienti, cadrà non appena avrà raggiunto una certa altezza. Quanto più sono i piani che si alzano, tanto più vicina sarà la sua rovina.
E quando le macerie sparse per terra avranno dimostrato la debolezza della struttura, sicuramente gli architetti delle Torri di Babele invidieranno le case di solidi fondamenta e pochi piani che sfidano gli elementi e beffano il tempo.
Il lavoro svolto dall'umanità sin dal secolo XV è consistito nel indebolire le fondamenta man mano che andava moltiplicando il numero dei piani.
Le fondamenta della civiltà
La Chiesa, che tutto sommato aveva potuto agire con libertà fino al secolo XV, lavorava invece in senso opposto: voleva allargare le fondamenta per poter in seguito edificare non vani monumenti ad un orgoglio temerario, ma il frutto possente ed ammirevole della prudenza e della sapienza.
Le fondamenta che, ancor oggi, sostengono l'immenso peso d'un mondo che va in frantumi, sono opera della Chiesa. Niente è davvero utile se non è stabile. Ciò che resta oggi di stabile e di utile -- di civiltà, insomma -- è stato edificato dalla Chiesa. Al contrario, i germi che minacciano la nostra esistenza sono nati precisamente dall'inosservanza delle leggi della Chiesa.
Questa è la diagnosi inconfutabile alla quale arriva la sociologia cattolica e che dobbiamo difendere strenuamente.
Un elemento caratteristico dell'odierno disordine (e quindi di anticattolicesimo, giacché cattolicesimo ed ordine si identificano) è l'esistenza di mali opposti ed antagonistici che, purtroppo, invece di cancellarsi si aggravano a vicenda.
Se da un lato l'eccesso di preoccupazioni scientifiche ha generato ai giorni nostri un abuso di scientismo, dall'altro il progressivo declino della capacità intellettuale dell'uomo moderno ha provocato una decadenza generale nella spiritualità, veramente funesta in ogni sua conseguenza.
Fra questi due estremi, nati dal paganesimo, la Chiesa propone la soluzione equilibrata, e dunque cattolica, d'una cultura razionale senza che sia razionalista e sufficientemente diffusa per impedire l'involuzione progressiva delle masse.
Per la Chiesa, la scienza non è fine a se stessa. Come tale, essa perde la sovranità conferitagli dal razionalismo, per riacquistare le sue finalità naturali, cioè la conoscenza, per via razionale, di tutto quello che interessa alla vita dell'uomo.
Ecco la restrizione che la Chiesa impone allo scientismo senza freni. Sparisce quel diritto inventato dal liberalismo che permette agli pseudo-scienziati di elucubrare false teorie e di trasformare la scienza in uno strumento di rivolta.
D'altro canto, però, una certa dose di cultura e di istruzione, in questo mondo sempre più in preda al caos, è condizione essenziale per la formazione spirituale e morale delle persone.
Ecco il compito che spetta a noi, giovani cattolici del secolo XX: lottare per l'elevazione del livello morale e intelettuale della gioventù, esposta oggi a tanti pericoli.
Plinio Corrêa de Oliveira
Pubblicato originariamente in "O Legionario", San Paolo del Brasile, 27-09-1931.
Versione italiana Tradizione Famiglia Proprietà, dicembre 2002
1. Cuore del quartiere finanziario di San Paolo del Brasile, ndr.
2. Beato José de Anchieta, S.J. (1534-1597), apostolo del Brasile, ndr.
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