Ha in braccio il piccolo Mattia la signora Marilena Giudice mentre ci racconta la sua storia. Lo culla dolcemente, con tutto l’amore di una mamma. Si sorprende della tanta attenzione che le viene data, del premio che ha ricevuto, “Il premio Giuseppina Amore”.
«Ho compiuto semplicemente un atto di amore – ci ha detto - Non mi aspettavo questa riconoscenza ed ovviamente mi fa piacere. Ma davvero credo di aver fatto una cosa normale, un gesto da mamma».
Marilena ha trentotto anni e tre figli maschi. Resta incinta e, per di più, di due gemelli. La scoperta è arrivata quando erano già passati tre mesi di gestazione.
Inizialmente pensa all’eventualità di abortire e si rivolge ad un’assistente sociale del consultorio dell’Asl Sa1. Sono, però, già passati tre mesi e l’aborto non può più essere praticato. In suo aiuto anche l’associazione Progetto Famiglia – Vita, che si occupa di maternità e vita nascente. Sono proprio i volontari ad aiutarla a trovare fiducia in se stessa e le offrono anche sostegno materiale.
I mesi passano, Marilena si rasserena, accetta l’arrivo di questi due bimbi. Ma la tempesta è nascosta dietro l’uscio e si scatena quando a cinque mesi, con un’amniocentesi, scopre che uno dei due bambini è affetto da sindrome di down.
«Non mi ha spaventata la sua diversità - dice Marilena – ma mi chiedevo cosa sarebbe stato di lui quando io e mio marito non ci saremo più stati, quando gli altri miei figli si sarebbero costruiti la loro famiglia, chi si prenderà cura di lui che, in un mondo già difficile e complesso, si trova a nascere più svantaggiato?».
E così sceglie di recarsi in un centro specializzato per aborti selettivi a Napoli. Suo marito non vuole che lei abortisca, nonostante la loro situazione economica non sia rosea. Anche i volontari dell’associazione Progetto Famiglia cercano di persuaderla. Ma Marilena è decisa. Non aveva fatto i conti con il suo cuore di mamma.
«Era tutto pronto – racconta - il medico, gli infermieri, la flebo al mio braccio. I medici, attraverso il monitor di un macchinario per l’ecografia, dovevano inquadrare il cuoricino del bambino e poi, con un ago, centrare il suo cuore iniettando delle gocce che ne avrebbero procurato la morte immediata. Quando il bambino si è messo in posizione io non ce l’ho fatta, non potevo vedere ammazzare mio figlio».
Il dottore se n’è andato dicendo a Marilena che le dava mezzora per pensare, sono andati via anche gli infermieri, è rimasta sola. E’ così che il suo cuore di mamma ha avuto la meglio e ha scelto di andar via e di tenere Mattia.
Era l’8 ottobre del 2006. Sorride silenziosa Marilena ed alla fine aggiunge:«ogni tanto penso a come mi sentirei male se Mattia non ci fosse».
(Primo piano, sezione Cronache, del 13/2/2007)
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