martedì 4 novembre 2008

La politica vaticana di distensione verso i governi comunisti

Chiara presa di posizione di cattolici anticomunisti.


Introduzione

La dichiarazione della TFP brasiliana, di cui diamo di seguito una nostra traduzione italiana, è comparsa sulla “Folha de S. Paulo” del 10-4-1974 [ed anche su “Catolicismo”, aprile 1974, e su altri 36 quotidiani brasiliani. Questo documento fu pure pubblicato dalle diverse Società di Difesa della Tradizione, Famiglia e Proprietà ed altre associazioni su 21 giornali di dieci Paesi: Argentina, Bolivia, Canada, Cile, Colombia, Ecuador, Spagna, Stati Uniti, Uruguay e Venezuela].


1. I FATTI

Ieri i cittadini di San Paolo sono venuti a conoscenza dei risultati del viaggio a Cuba di mons. Casaroli, segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici del Vaticano. Questi risultati sono stati esposti dal dignitario stesso nel corso di una intervista[1]. Sua Eccellenza ha affermato che “i cattolici che vivono a Cuba sono felici sotto il regime socialista”. Non dovrebbe essere necessario dire di che specie di regime socialista si tratti nel caso concreto, dal momento che è noto che il regime vigente a Cuba è quello comunista.

Sempre parlando del regime di Fidel Castro, Sua Eccellenza continua: “i cattolici e, in generale, il popolo cubano, non hanno la sia pur minima difficoltà con il governo socialista”.

Forse desideroso di dare a queste dichiarazioni spaventose un certo tono di imparzialità, mons. Casaroli ha lamentato che il numero di sacerdoti a Cuba sia insufficiente: sono soltanto duecento. Ha aggiunto di aver chiesto a Castro maggiori possibilità di praticare pubbliche cerimonie di culto. E ha concluso affermando, in modo assolutamente imprevisto, che “i cattolici dell’isola sono rispettati nelle loro credenze come tutti gli altri cittadini”.

Prendendo in esame soltanto ciò che subito salta agli occhi in queste dichiarazioni, lascia perplessi il fatto che mons. Casaroli riconosca che i cattolici cubani subiscano restrizioni nell’esercizio del culto pubblico e nello stesso tempo affermi che essi “sono rispettati nelle loro credenze”. Come se il diritto al culto pubblico non fosse una delle più sacre fra le loro libertà.

Se i sudditi non cattolici del regime cubano sono rispettati come i cattolici, è il caso di dire che a Cuba nessuno è rispettato…

In che cosa consiste, allora, questa “felicità” di cui, secondo mons. Casaroli, godono i cattolici cubani? Sembra si tratti della dura felicità che il regime comunista dispensa a tutti i suoi sudditi: quella di piegare il capo. Infatti mons. Casaroli afferma che “la Chiesa cattolica cubana e la sua guida spirituale cercano sempre di non creare problemi di nessun tipo al regime socialista che governa l’isola”.

A un esame più approfondito, le osservazioni che l’alto dignitario vaticano ha raccolto dal suo viaggio portano a conclusioni di maggiore rilievo.

In un periodo in cui S.S. Paolo VI ha più che mai dato rilievo all’importanza di eque condizioni materiali di esistenza come fattori che favoriscono la pratica della virtù, non è concepibile che mons. Casaroli giudichi “felici nel regime socialista” di Fidel Castro i cattolici cubani; se questi sono immersi nella miseria. Dobbiamo perciò dedurre che, secondo mons. Casaroli, essi fruiscono di condizioni economiche almeno sopportabili.

Orbene, tutti sanno che non è vero. E per di più i cattolici che prendono sul serio le encicliche di Leone XIII, Pio XI e Pio XII sanno che non può essere così, poiché questi Papi hanno insegnato che il regime comunista è l’opposto dell’ordine naturale delle cose, e il sovvertimento dell’ordine naturale – in economia come in qualsiasi altro campo – può dare soltanto frutti catastrofici.
Perciò i cattolici di qualsiasi parte del mondo, ingenui o male informati sulla dottrina sociale della Chiesa, leggendo i risultati dell’indagine condotta a Cuba da mons. Casaroli, saranno spinti a trarre una conclusione diametralmente opposta alla realtà, e cioè che non hanno ragione alcuna per temere l’instaurazione del comunismo nei rispettivi paesi, dal momento che in questa ipotesi saranno perfettamente “felici”, sia per quanto riguarda i loro interessi religiosi, sia per quanto riguarda la loro condizione materiale.

È doloroso affermarlo, ma la verità ovvia è questa: il viaggio di mons. Casaroli a Cuba si è concluso in propaganda della Cuba castrista.

Questo fatto, in sé stesso terribile, è un episodio della politica di distensione che il Vaticano va conducendo, già da molto tempo, verso i regimi comunisti. Diversi di questi episodi sono ben noti all’opinione pubblica.

Uno di essi è stato il viaggio in Russia, nel 1971, di Sua Eminenza il cardinale Willebrands, presidente del Segretariato per l’Unione dei Cristiani. Ufficialmente la visita era fatta per assistere all’insediamento del vescovo Pimen nel patriarcato “ortodosso” di Mosca. Pimen è l’uomo di fiducia, per i problemi religiosi, degli atei del Cremlino. Di per sé la visita dava grande prestigio al prelato eterodosso, a giusto titolo giudicato la bête noire di tutti gli “ortodossi” non comunisti del mondo. Parlando al sinodo che lo elesse, Pimen affermò che l’atto con cui, nel 1595, gli ucraini erano ritornati dallo scisma alla Chiesa cattolica era nullo. Questo comportava l’affermazione che gli ucraini non devono sottostare alla giurisdizione del Papa, ma a quella di Pimen e dei suoi compari. Invece di prendere posizione di fronte a questa clamorosa aggressione ai diritti della Chiesa cattolica e della coscienza dei cattolici ucraini, il cardinal Willebrands e la delegazione che lo accompagnava rimasero in silenzio. Chi tace acconsente, dice il diritto romano. Distensione…

Come è naturale, questa capitolazione ferì profondamente quei cattolici che seguono con attenzione costante la politica della Santa Sede. Il trauma fu ancora maggiore per i milioni di cattolici ucraini sparsi in Canada, negli Stati Uniti e in altri paesi. Ed ebbe relazione con i drammatici dissensi tra la Santa Sede e Sua Eminenza il cardinale Slipyj, valoroso arcivescovo maggiore degli ucraini, durante il sinodo episcopale tenuto a Roma nel 1971.

Considerata nel suo insieme, la condotta di Sua Eminenza il cardinale Silva Henriquez, arcivescovo di Santiago del Cile, costituì un altro episodio della distensione verso i governi comunisti promossa dalla diplomazia vaticana. Com’è noto – e la TFP cilena lo ha dimostrato in un suo lucido manifesto riprodotto da diversi organi di stampa[2] - il porporato cileno gettò il peso di tutta l’influenza e l’autorità inerenti alla sua carica per aiutare l’ascesa di Allende al potere, il suo felice insediamento, e il suo mantenimento nella prima magistratura fino al momento tragico in cui il leader ateo si suicidò. Con una flessibilità che non contribuisce a farsi di lui una buona opinione; l’eminentissimo cardinale Silva Henriquez ha cercato, con alcune dichiarazioni pubbliche, di adattarsi all’ordine di cose che è succeduto al regime di Allende. Ma con questo non sono cessate le manifestazioni della sua permanente simpatia verso i marxisti cileni. Or è poco tempo, Sua Eminenza ha celebrato una mesa funebre nella cappella del suo palazzo cardinalizio per l’anima di un altro comunista, il compagno Toha, ex-ministro di Allende, per altro anche lui un infelice suicida. Alla cerimonia erano presenti familiari e amici del defunto[3].

Per tutto questo insieme di atteggiamenti, così opportuni per avvicinare i cattolici al comunismo, non consta che il porporato sia stato sottoposto alla sia pur minima censura. Se qualcuno avesse immaginato che avrebbe perso la sua arcidiocesi, a tutt’oggi starebbe aspettando invano. Il cardinal Silva Henriquez rimane tranquillamente investito della missione di portare a Gesù Cristo le anime della sua popolosa e importante arcidiocesi.

Mentre lui la conserva, per imposizioni della politica di distensione, un altro arcivescovo, al contrario, ha perso la sua. Si tratta di una delle figure più straordinarie della Chiesa del secolo XX, il cui nome è pronunciato con venerazione ed entusiasmo da tutti i cattolici fedeli ai tradizionali insegnamenti economici e sociali emanati dalla Santa Sede. Inoltre, il nome di questo prelato è rispettato da persone delle più diverse religioni. Esso è un fregio glorioso della Chiesa anche agli occhi di coloro che in essa non credono. Questo fregio è stato spezzato da poco. L’eminentissimo cardinale Mindszenty è stato destituito dall’arcidiocesi di Esztergom, per facilitare l’avvicinamento al governo comunista ungherese.

Come si può vedere, la visita di mons. Casaroli a Cuba – anche facendo astrazione dalla intervista che ha concesso dopo aver lasciato l’isola – si inserisce come un anello in una catena di fatti che durano da anni. Dove finirà questa catena? A che dolorose sorprese, a che nuove ferite morali devono ancora prepararsi coloro che continuano ad accettare, in tutte le sue conseguenze, l’immutabile dottrina sociale ed economica insegnata da Leone XIII, Pio XI e Pio XII? Siamo certi che innumerevoli cattolici, rileggendo queste notizie, venendo a conoscenza della perplessità, delle angustie e dei traumi espressi in queste righe, sentiranno descritto il loro stesso dramma interiore: il più intimo e più acuto dei drammi, perché prima, molto prima di riguardare soltanto problemi sociali ed economici, ha un carattere essenzialmente religioso. Riguarda ciò che vi è di più fondamentale, vivo e tenero nell’anima di un cattolico apostolico romano: il suo vincolo spirituale con il Vicario di Gesù Cristo.


2. CATTOLICI APOSTOLICI ROMANI

La TFP è un’associazione civica e non religiosa. Tuttavia, i suoi dirigenti, soci e militanti sono cattolici, apostolici romani. E, di conseguenza, è cattolica l’ispirazione che li ha mossi in tutte le campagne che la TFP ha intrapreso per il bene del paese.

La posizione fondamentalmente anticomunista della TFP deriva dalle convinzioni cattoliche di coloro che ne fanno parte. E siccome sono cattolici, i dirigenti, soci e militanti della TFP sono anticomunisti in nome dei principi cattolici.

La diplomazia vaticana di distensione verso i governi comunisti crea quindi, per i cattolici anticomunisti, una situazione che li tocca profondamente, molto meno in quanto anticomunisti che in quanto cattolici. Infatti in ogni momento si può fare loro una osservazione sommamente imbarazzante: l’azione anticomunista da loro svolta non porta proprio a un risultato opposto a quello voluto dal Vicario di Gesù Cristo? E come si può immaginare un cattolico coerente la cui azione si svolga in direzione opposta a quella del Pastore dei Pastori? Tale domanda comporta come conseguenza, per tutti i cattolici anticomunisti, una alternativa: cessare la lotta o chiarire la loro posizione.

Cessare la lotta, non possiamo. Non lo possiamo per un imperativo della nostra coscienza di cattolici. Infatti, se è dovere di ogni cattolico promuovere il bene e combattere il male, la nostra coscienza ci impone di diffondere la dottrina tradizionale della Chiesa, e di combattere la dottrina comunista.
Nel mondo contemporaneo risuonano da ogni parte le parole “libertà di coscienza”. Sono pronunciate in tutto l’Occidente e persino nelle segrete della Russia… o di Cuba. Molte volte questa espressione è tanto usata da assumere persino significati abusivi. Ma in quanto ha di più legittimo e sacro si inscrive il diritto del cattolico di agire tanto nella vita religiosa quanto in quella civile secondo i dettami della sua coscienza.

Ci sentiremmo più incatenati nella Chiesa di quanto non lo era Solgenitsin nella Russia sovietica, se non potessimo agire in consonanza con i documenti di grandi Pontefici che hanno illuminato la Cristianità con la loro dottrina.

La Chiesa non è, la Chiesa non è mai stata, la Chiesa non sarà mai un tale carcere per le coscienze. Il vincolo di ubbidienza al Successore di Pietro, che mai romperemo, che amiamo dal più profondo della nostra anima, al quale tributiamo il meglio del nostro amore, questo vincolo noi lo baciamo nel momento in cui, macerati dal dolore, affermiamo la nostra posizione. E in ginocchio, fissando con venerazione la figura di S.S. Paolo VI, noi gli manifestiamo tutta la nostra fedeltà.

Con questo atto filiale diciamo al Pastore dei Pastori: la nostra anima è Vostra, la nostra vita è Vostra. Ordinateci ciò che desiderate. Solo non comandateci di incrociare le braccia di fronte al lupo rosso che attacca. A questo si oppone la nostra coscienza.


3. LA SOLUZIONE, NELL’APOSTOLO SAN PAOLO

Sì, Santo Padre – continuiamo – san Pietro ci insegna che è necessario “ubbidire a Dio prima che agli uomini”[4]. Siete assistito dallo Spirito Santo e anche sostenuto – nelle condizioni definite dal Vaticano I – dal privilegio dell’infallibilità. Questo non impedisce che in certe materie o situazioni la debolezza a cui sono soggetti tutti gli uomini possa influenzare e persino determinare la Vostra azione. Una di queste è – forse per eccellenza – la diplomazia. E qui si situa la Vostra politica di distensione verso i governi comunisti.

Che fare a questo punto? Le righe di questa dichiarazione non basterebbero per contenere l’elenco di tutti i Padri della Chiesa, Dottori, moralisti e canonisti – molti dei quali elevati agli onori degli altari – che sostengono la legittimità della resistenza. Una resistenza che non è separazione, non è rivolta, non è acrimonia, non è irriverenza. Al contrario, è fedeltà, è unione, è amore, è sottomissione.

“Resistenza” è la parola che abbiamo scelto di proposito, perché è usata dallo stesso san Paolo per caratterizzare il suo atteggiamento. Poiché il primo Papa, san Pietro, aveva preso misure disciplinari relative al permanere nel culto cattolico di pratiche sopravviventi dall’antica Sinagoga, san Paolo vide in questo un grave rischio di confusione dottrinale e di danno per i fedeli. Allora si levò e “resistette in faccia” a san Pietro[5]. Questi non vide, nel gesto energico e ispirato dell’Apostolo delle Genti, un atto di ribellione, ma di unione e di amore fraterno. E, sapendo bene in che cosa era infallibile e in che cosa non lo era, cedette di fronte agli argomenti di san Paolo. I santi sono modelli dei cattolici. Nel senso in cui san Paolo resistette, il nostro stato è di resistenza.

E in questo trova pace la nostra coscienza.


4. RESISTENZA

Resistere significa che consiglieremo ai cattolici di continuare a lottare contro la dottrina comunista con tutti i mezzi leciti, in difesa della patria e della civiltà cristiana minacciate.

Resistere significa che mai ci serviremo dei mezzi indegni della contestazione, e ancor meno che assumeremo atteggiamenti che in qualsiasi punto si discostino dalla venerazione e dalla ubbidienza che si deve al Sommo Pontefice, nei termini del diritto canonico.

Resistere, però, comporta esprimere rispettosamente il nostro giudizio in situazioni come quelle dell’intervista di mons. Casaroli sulla “felicità” dei cattolici cubani.

Nel 1968 il Santo Padre Paolo VI presenziò nella prospera capitale colombiana, Bogotà, al 39° Congresso Eucaristico Internazionale. parlando un mese dopo, da Roma a tutto il mondo, affermò che vi aveva visto il “grande bisogno […] di quella giustizia sociale che metta immense categorie di povera gente [in America Latina] in condizioni di vita più eque, più facili, più umane”[6].

Tutto questo, nel continente in cui la Chiesa gode della massima libertà.

Al contrario, mons. Casaroli a Cuba ha visto soltanto felicità.

Di fronte a questo, resistere significa enunciare con serena e rispettosa franchezza che vi è una pericolosa contraddizione tra queste due dichiarazioni e che la lotta contro la dottrina comunista deve proseguire.

Ecco un esempio di che cos’è l’autentica resistenza.


5. PANORAMA INTERNO DELLA CHIESA UNIVERSALE

Forse per qualche lettore brasiliano la presente dichiarazione può essere fonte di sorpresa. Infatti, riluttante al massimo nell’assumere l’atteggiamento pubblico che oggi assume, la TFP non ha divulgato gli elementi di sconcerto e di dissenso che si propagano fra cattolici dei più diversi paesi a causa della distensione del Vaticano verso i governi comunisti. E allungherebbe troppo questo documento già esteso il farlo in questa sede. Ci limitiamo a riassumere, perché serva a spiegare nel modo migliore il nostro atteggiamento, quando accade attualmente fra i cattolici tedeschi. Lo ha detto sul Correio do Povo di Porto Alegre l’ex-deputato della Repubblica Federale Tedesca Hermann M. Georgen[7].

Egli dà notizia del lancio di due libri di autori tedeschi sulla politica del Vaticano: Wohin steuert der Vatican? (Dove va il Vaticano?) di Reinhard Raffalt, e Vatican intern (Il Vaticano dentro) pubblicato da un autore che si cela sotto lo pseudonimo di Hieronymus. Entrambe le opere hanno avuto una risonanza tale, che “sono all’ordine del giorno per gli intellettuali e i politici tedeschi”. Georgen giudica l’opera di Hieronymus satirica, ipercritica ed esagerata, mentre trova quella di Raffalt “sobria”, con “tesi ben fondate”, ispirate “a un profondo amore per la Chiesa”. E Raffalt aproclama: “Papa Paolo VI è socialista”.

Georgen aggiunge che, poco dopo la diffusione dell’ottima opera di Raffalt, un giornale tedesco ha pubblicato una vignetta che mostra Paolo VI mentre passeggia in compagnia di Gromiko. Passando davanti a un quadro raffigurante il cardinal Mindszenty, Gromiko dice a Paolo VI: “Ebbene, ciascuno ha il suo Solgenitsin”.

Georgen informa anche che un gesuita tedesco, Simmel, ha pubblicato sul tradizionale settimanale Rheinischer Merkur, “conservatore e intrasigente difensore della fede e dei Papi, una critica considerata da Roma persino irriverente”, sotto il titolo: “No, signor Papa!” Georgen afferma ancora, a proposito della destituzione del cardinale Mindszenty: “Una vera ondata di appoggio (al cardinale) ha percorso i cattolici tedeschi”. La Frankfurter Allgemeine Zeitung ha parlato apertamente dei “sogni cristiano-marxisti” di Papa Paolo VI. E la Paulus Gesellschaft, portavoce del dialogo tra cristiani e marxisti, ha condannato la Ostpolitik del Vaticano, denunciandola come “machiavellica”, perché vuole “imporre al mondo una pace romano-sovietica”. Di fronte a questo linguaggio, appare ancora più chiaro quanto sia misurato quello della TFP.

Non possiamo chiudere il nostro commento all’articolo di Hermann Georgen, senza sottolineare una grave affermazione in esso contenuta: in Polonia come in Ungheria, in Cecoslovacchia e in Jugoslavia, i contatti e gli accordi con la Santa Sede non hanno impedito che continuasse intensa la persecuzione religiosa. Lo ha affermato anche, per quanto riguarda la sua patria, il cardinal Mindszenty.

Questo fatto solleva in noi una perplessità. La prospettiva della attenuazione della lotta antireligiosa era il grande argomento (a nostro modo di vedere insufficiente) degli entusiasti della distensione vaticana. La pratica mostra che tale distensione non ottiene questo risultato e favorisce soltanto la parte comunista. Cuba è un altro esempio di questo fatto. E un autorevole promotore della distensione come mons. Casaroli dichiara che, in regime di persecuzione, i cattolici vivono felici. Chiediamo allora se distensione non è sinonimo di capitolazione.

Se lo è, come non resistere alla politica di distensione, mostrandone pubblicamente l’enorme equivoco?

È un altro esempio di che cosa intendiamo per resistenza.


6. CONCLUSIONE

Questo chiarimento si imponeva. Esso ha il carattere della legittima difesa delle nostre coscienze di cattolici, di fronte a una prassi diplomatica che rendeva loro l’aria irrespirabile, e che mette i cattolici anticomunisti nella più penosa delle situazioni, che è quella di diventare incomprensibili per l’opinione pubblica. Lo ripetiamo a titolo di epilogo, chiudendo questa dichiarazione.

Nessun epilogo sarebbe tuttavia completo se non comprendesse la riaffermazione della nostra ubbidienza illimitata e amorosa non solo alla santa Chiesa, ma anche al Papa, in tutti i termi comandati dalla dottrina cattolica.

La Madonna di Fatima ci aiuti nella via che imbocchiamo per fedeltà al Suo messaggio e nella gioia anticipata che si compirà la promessa da Lei fatta: “Infine, il mio Cuore Immacolata trionferà”.

San Paolo, 8 aprile 1974

Il consiglio nazionale della Sociedade Brasileira
 de Defesa da Tradiçao, Familia e Propriedade

Plinio Correa de Oliveira
 Presidente

Fernando Furquim de Almeida
 Vice-Presidente

Paulo Correa de Brito Filho
 Segretario

Adolpho Lindenberg
 Alberto Luiz Du Plessis
 Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira
 Caio Vidigal Xavier da Sìlveira
 Eduardo de Barros Brotero
 Giocondo Mario Vita
 Joao Sampaio Netto
 José Carlos Castilho de Andrade
 José Fernando de Camargo
 José Gonzaga de Arruda
 Luiz Nazareno de Assumpçao Filho
 Paulo Barros de Ulhoa Cintra
 Plinio Vidigal Xavier da Silveira

(Tratto da Cristianità 2 – N. 5 maggio – giugno 1974)


Note

[1] Cfr. O Estado de S. Paulo, 7-4-1974.
[2] Cfr. L’autodemolizione della Chiesa, fattore della demolizione del Cile, in “Cristianità”, Piacenza, luglio-agosto 1973, anno I, n. 0. Il manifesto è ora raccolto in PLINIO CORRÊA DE OLIEIRA e TFP CILENA, Il crepuscolo artificiale del Cile cattolico, “Cristianità”, Piacenza, 1973, pp. 151-180 (N.d.R.)
[3] Cfr. Jornal do Brasil, 18-3-1974.
[4] Atti 5, 29.
[5] Cfr. Gal. 2, 11.
[6] Paolo VI, Discorso all’Angelus, del 22-9-1968, in Insegnamenti, vol. VI, p. 1103.
[7] Cfr. Correio do Povo, 23-3-1974.

Nessun commento:

Posta un commento