Era un uomo insieme estremamente pio e, se posso dirlo, estremamente divertente, riflettendo quell’aspetto gioviale della vita spirituale che è tipico della civiltà cristiana: una civiltà che a quel tempo era ancora ben viva nelle classi popolari italiane da cui proveniva San Felice. Accanto ai grandi santi che combatterono le tragiche battaglie contro l’umanesimo, il rinascimento e il protestantesimo troviamo nel cuore della Chiesa anche un San Felice da Cantalice, un esempio dello spirito medievale che era ancora presente, un’espressione della gioia del mondo contadino italiano fedele a Dio.
Di giorno San Felice da Cantalice era frate questuante per il suo monastero cappuccino di Roma. Il frate questuante ha il compito di sollecitare elemosine o donazioni per il monastero. Oggi lo si chiamerebbe più pomposamente “fundraiser”, ma all’epoca la gente lo chiamava mendicante – qualche volta anche “santo mendicante”. Quando ho visitato la chiesa a Roma dove si conserva il suo corpo, alcuni amici mi hanno raccontato episodi interessanti della sua vita. Passava la giornata facendo la questua, ma di notte si era accorto che il Santissimo Sacramento rimaneva da solo per lunghi periodi, quando i frati non erano radunati per l’Ufficio.
Così, lasciava la sua piccola cella ed entrava nella chiesa vuota per pregare e tenere compagnia a Nostro Signore. Quando i frati cappuccini arrivavano per la preghiera dell’Ufficio se ne andava a dormire per un pò, ma appena avevano finito tornava e restava con il Signore di fronte al tabernacolo fino all’inizio della prima Messa del mattino. Allora andava a dormire ancora per un pò e poi cominciava la sua giornata di questua.
Dio gli concesse enormi grazie, cui rispose con una grande gioia. Divenne presto famoso come guaritore. Benediceva i malati con un crocefisso, e guarivano. Altre volte distribuiva un pò del cibo che aveva raccolto per il monastero, e questo cibo guariva. Considerava come sua missione diffondere fra la gente la riconoscenza per le grazie e i favori ricevuti. Viveva in un mondo che non era ancora pervaso dalla durezza della Rivoluzione, e le persone cui si rivolgeva potevano ancora essere toccate dalla sua gioia contagiosa. Oggi non abbiamo idea di quanto semplice e spontanea fosse la gente nel Medioevo. All’epoca di San Felice, lo spirito del Medioevo si era affievolito nelle élite e nell’alto clero, intrisi di spirito rinascimentale, ma la semplicità medievale restava viva nel popolino romano. L’azione distruttiva della Rivoluzione ci ha fatto perdere il senso di questa santa innocenza.
A causa del suo ufficio di questuante, San Felice entrava in contatto con molte persone. Aveva pure un dono speciale per comunicare con i bambini, che si accalcavano intorno a lui. In tutti i suoi incontri cominciava e finiva sempre con “Deo gratias”, invitando a ringraziare il Signore. Per questo era soprannominato “Fra Deo gratias”. Quando i bambini lo vedevano arrivare, gli correvano incontro e gli chiedevano di raccontare una storia: lo faceva sempre, concludendo con “Deo gratias”. E anche i bambini rispondevano in coro “Deo gratias” con quella speciale vivacità italiana, e poi ricominciavano a giocare. “Fra Deo gratias” divenne famoso in tutta Roma per la sua virtù e per i miracoli, ma anche per le sue storie e per la sua gioia e simpatia. Chiedeva fondi per il monastero cantando cantici che componeva o adattava per le persone che incontrava. Quando riceveva l’elemosina ringraziava pure con un cantico. In questi cantici emerge la sua speciale devozione per la Madonna. Ma è interessante notare che in questi cantici introduceva pure parole di consiglio per le persone cui si rivolgeva, che andavano direttamente al loro cuore per farne cristiani migliori e correggere i loro difetti. Faceva tutto questo con tanta delicatezza e semplicità che anche le persone rimproverate sorridevano mentre ricevevano il rimprovero. I suoi buoni consigli e i frutti che recavano, rendevano evidente che questo fratello laico analfabeta era in realtà un raffinato psicologo. Non tuonava contro i peccatori con lo stile di un San Giovanni Battista. Aveva un dono diverso, quello di far sorridere mentre diceva la verità alle persone che avevano bisogno di sentirla.
Benché fosse analfabeta ebbe un ruolo intellettuale importante a beneficio della causa cattolica. San Carlo Borromeo (1538-1584) è giustamente considerato una delle grandi figure della Contro-Riforma: era arcivescovo di Milano e fondatore di un ordine religioso, gli Oblati di Sant’Ambrogio. Dopo aver scritto la regola di quest’ordine le mandò a San Filippo Neri (1515-1595), che viveva a Roma, come sappiamo un’altra grande personalità della Contro-Riforma. Quando ricevette la lettera di San Carlo, San Filippo si recò al monastero di San Felice e chiese la sua opinione sulla regola degli Oblati milanesi. “Fra Deo gratias” difficilmente avrebbe potuto essere più sorpreso. La sua risposta fu: “Come potete chiedere una cosa simile a me, che non so neppure leggere?”. “Non ha importanza”, rispose San Filippo Neri, “si faccia leggere il testo da un confratello e poi mi dia la sua opinione”. San Felice obbedì e diede soluzioni di grande saggezza ad alcune domande di San Carlo Borromeo. I suoi suggerimenti furono accettati e inseriti nella regola del nuovo ordine. Vediamo così l’analfabeta “Fra Deo gratias” consultato da due grandi personalità come San Carlo Borromeo e San Filippo Neri.
Mi si consenta di dire che questo mostra l’errore di quanti credono che la cultura si trovi solo nei libri. Un frate questuante che improvvisa cantici per strada può sembrare insignificante ma in realtà San Felice era un vero pozzo di saggezza. La vita di San Felice da Cantalice ci mostra quanta gioia si trovi nel servire il Signore e la Madonna. Attraverso di lui la Divina Provvidenza ci mostra che il servizio a Nostra Signora si può compiere nella gioia e nel sorriso dei suoi figli.
(Plinio Corrêa de Oliveira)
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