«Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato».
Si parla molto spesso, e con ragione, dell’amore che il Divino Salvatore dedicò alle anime peccatrici, pentite o meno: a queste ultime, perseguendole con santa ed affettuosa costanza, sino ad ottener da loro una vera corrispondenza alla grazia; a quelle pentite, spalancandogli ampiamente, con divina generosità, le porte del suo Cuore. Intanto, si parla purtroppo molto meno, dell’amore che Nostro Signore Gesù’ Cristo dedicò alle anime innocenti, dell’estremo zelo con cui difese le pecore fedeli, che mai si allontanarono dall’ovile del Buon Pastore, contro le seduzioni del mondo e gli assalti dei fautori di scandalo. Uno degli episodi più toccanti del Santo Vangelo è, senza dubbio, quello in cui il Divino Maestro, facendo avvicinare a Sé i piccoli, li accarezzò teneramente, e promise il Regno dei Cieli a coloro che gli assomigliassero. Ma chi erano questi piccoli, che Nostro Signore amò con tanta tenerezza, se non altro che i rappresentanti di tutte le anime innocenti, di ogni età, in tutti i tempi e luoghi, che lo Spirito Santo verrebbe a suscitare nella Chiesa di Dio? E a chi si rivolge quella tremenda minaccia, a cui mai dobbiamo pensare senza timore - che sarebbe meglio per coloro che scandalizzassero uno di quei piccoli, essere gettato in fondo al mare - se non a coloro che cercassero di deviare dal buon cammino le anime innocenti?
Ogni anima innocente è come una provincia prediletta nel Regno di Dio. Per salvare ognuna di queste anime, Nostro Signore Gesù’ Cristo si incarnò, patì e morì in Croce. Ancorché la Redenzione fosse necessaria per salvare una sola anima, Nostro Signore avrebbe sofferto generosamente tutto ciò che soffrì, per attuare effettivamente tale salvezza.
Così, quindi, il valore di ogni anima innocente equivale a quello del Sangue infinitamente prezioso di Nostro Signore Gesù’ Cristo. Lanciare nell’abisso del peccato mortale un’anima innocente equivale a sprecare in modo criminale i benefici della Redenzione. Da qui si capisce l’obbrobrio che grava su coloro che con il loro esempio, le loro parole, le loro opere, la loro influenza, trascinano al peccato qualsiasi anima innocente, per quanto ignorante e carente di doti intellettuali sia, posto che il valore dell’anima non va misurato dalla sua cultura, ne dalla sua intelligenza, ma dalle considerazioni fin qui esternate.
Non è minore la responsabilità di coloro che rendono recidive nel peccato le anime penitenti. Per misurare quanto spiace a Dio il cercare di allontanare dal buon cammino le anime sulle quali Egli restaurò il suo Regno, basterà che si leggano le parabole più toccanti del Santo Vangelo. Che cosa direbbe il padre del figlio prodigo, quel padre generoso e buono che accolse con quegli estremi di contentezza il figlio contrito, se dopo il banchetto in cui si celebrò il ritorno dell’infedele, dopo che è stata ristabilita la pace nel focolare ed è stata reinstallata in esso la gioia svanita con l’assenza del figlio ingrato, che cosa direbbe il padre se dopo tutto ciò un perfido amico dei vecchi tempi passasse dalla casa paterna, e con sollecitazioni infami cercasse di trascinarlo di nuovo alla malavita che menava?
Prendiamo adesso la parabola del Buon Pastore. Che cosa direbbe il Buon Pastore, che da la vita per le sue pecore, se, ritornando dal fondo del precipizio dove era andato a salvare da mille pericoli la pecora smarrita, gli si avvicinasse il lupo per strappargliela dalle braccia? Lui che aveva esposto la sua vita a mille pericoli per salvare la pecorella, non dovrebbe affrontare animosamente il lupo, per difenderla ancora da questo rischio? Nostro Signore disse che non venne a distruggere il ramo spezzato ne a spegnere la miccia che ancora fuma. Anzi Egli venne a rialzare l’arbusto leso, e riaccendere il lucignolo che i venti ostili estinsero quasi del tutto. Ma che cosa è un peccatore contrito, in lotta penosa contro i suoi sensi in ribellione, se non un arbusto spezzato, che fu rialzato sulla sua base dal Divino Giardiniere, e che, debole ancora, si piega facilmente alla pressione della minore brezza? Quale maggior peccato esisterà, di quello che consiste nello spezzare di nuovo, e forse in modo irrimediabile, l’arbusto che Dio stesso ha affettuosamente risanato? Che cosa è un peccatore contrito, se non un lucignolo fumante che inizia, lentamente e penosamente, a riaccendersi? Quale cosa ci sarà di più sgradevole a Dio - che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva - che l’agire crudele ed empio di coloro che estinguono volutamente questo lucignolo, ed uccidono nell’anima ancora convalescente i germogli promettenti di una vita che cominciava a rianimarsi?
Per lo stesso motivo per cui il Salvatore amò il peccatore contrito, Gli è sommamente odioso che qualcuno si sforzi a trascinarlo nuovamente nella perdizione.
Un altro episodio del Vangelo lo dimostra in maniera esuberante. Tutti conosco bene la celebre scena del Divino Salvatore, impugnando una frusta e cacciando dal Tempio di Gerusalemme i mercanti che ivi svolgevano un commercio del tutto profano. Dice la Sacra Teologia che ogni anima è un tempio del Divino Spirito Santo. Far cadere un’anima in peccato è cacciare il Divino Spirito Santo dal tempio che gli fu conquistato dal Prezioso Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, è profanare questo tempio, è trasformarlo, da tempio di Dio, non solo in un luogo profano, ma in tempio di satana.
Dunque, se Nostro Signore fustigò con implacabile frusta coloro che profanavano il Tempio di Gerusalemme, costruito con materiale prezioso dalla devozione dei giudei, con quale estrema indignazione non deve desiderare che sia respinto lontano dal peccatore colui che, seducendolo al male, profana un Tempio spirituale, il cui prezzo non fu ne oro ne nessun altro materiale prezioso ma il proprio sangue di Cristo? La prova di questo sta nelle frasi colme di censura, che Nostro Signore proferì ai farisei. A quale scopo Nostro Signore diede a queste frasi tanta divulgazione? Se avesse voluto attirare l’attenzione dei farisei sullo stato lamentevole in cui si trovavano le loro anime, non avrebbe potuto farlo in modo più riservato? Se l’ha fatto pubblicamente, non si può lecitamente ipotizzare che l’abbia fatto per distruggere energicamente il prestigio dei farisei presso il popolo, impedendoli, così, di essergli nocivi, e fustigandoli, per così dire, con la frusta della sua parola, per cacciarli lontano dalle anime che essi volevano pervertire?
Re di tutte le anime in generale, Gesù Cristo è implicitamente Re di ogni anima, governa ognuna con la sollecitudine, l’affetto, l’attenzione con cui la governerebbe se fosse l’unica anima su cui si esercitasse il suo impero. Gesù Cristo, come Re delle anime è il modello di tutti i re. Re di misericordia e di amore, non esercita il suo regno con altro intento, se non quello di beneficiare l’anima che è il suo Regno. Nessuno di noi ometterebbe di qualificare come traditore un re che non impiegasse tutti le risorse del suo talento, tutte le energie del suo potere, per preservare da un’aggressione ingiusta il suo paese. Nostro Signore sarà forse meno perfetto? Non sarebbe una bestemmia immaginare che, spinto da un falso amore verso l’aggressore, Egli consigliasse ai Suoi soldati, che siamo noi, a trascurare la difesa del Suo Regno? Offrirebbe mai l’innocente in olocausto al peccatore, lasciando nell’impunità il peccatore che divorasse l’innocente, con la speranza di così conquistare il peccatore? Ecco perché il “Legionario” non ammise mai quest’assurdo, e si sollevò sempre contro le misericordie mal capite, le pazienze ingenue ed imprudenti, le “abilità” temporeggianti e criminali, le quali, con l’intento di compiere una rischiosa manovra apostolica, dai risultati più che dubbi, espongono alla perdizione le anime innocenti o contrite, nella problematica speranza di attirare il fautore di eresie; e se questi non si lasciasse intenerire? Nemmeno l’abbraccio supremo del Divino Maestro intenerì il traditore “che meglio sarebbe se non fosse nato”. Se l’aggressore non si intenerirà, chi renderà conto a Dio delle anime che avrà divorato, degli arbusti che spezzerà, dei lucignoli che spegnerà, dei figli che trascinerà lontano dalla casa paterna, negli antri maledetti dove ruggisce l’empietà e spumeggia la lussuria? Per il peccatore, anche non contrito, tutta la misericordia. Ma questa misericordia non deve essere, né tanto rischiosa, né tanto imprudente, da giungere alla suprema crudeltà di esporre alla perdizione le anime che furono riscattate dal Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo.
Dio ci liberi, tuttavia, dal mescolare a questa energia, tutta fatta per la Casa di Dio per amore delle anime esposte ad un così grave rischio, il minimo sentimento di rancore contro chicchessia. Odiando l’errore, non vogliamo odiare coloro che errano. E perciò tutto quello che possiamo fare a pro del peccatore, sia pure il peggiore dei peggiori nemici della Santa Chiesa, nostra Madre, lo faremo. Lo faremo, perché questo nemico della Santa Chiesa sarà sempre un figlio, e ogni Madre preferisce mille volte riconciliarsi con suo figlio, anziché far piombare su di lui un castigo vendicativo. Dunque, benché chiediamo ardentemente alla Madonna, che è la Regina di tutti gli Apostoli, e che pertanto protegge coloro che si dedicano all’apostolato, che ci preservi sempre dalle “misericordie” crudeli che espongono Abele alla morte, con l’intento di non offendere ne urtare Caino, è dal più profondo della nostra anima che chiediamo che il Sacro Cuore di Gesù’ tocchi con un raggio della sua grazia tutti i nemici e persecutori della Santa Chiesa di Dio.
Si ricordi, il Cuore divino, che anche questi lupi divoratori possono essere trasformati in pecore, e che queste pecore che oggi sono lupi, potranno domani, nell’ovile del Buon Pastore, rendere gloria a Dio con la loro conversione. Si ricordi che le preghiere di tutta la Chiesa, nella terra e in Cielo, si rivolgono incessantemente al suo Trono, per ottenere la conversione di tutti gli uomini. Per riguardo verso questa supplica di sua Madre Santissima, e della sua sposa Immacolata, perdoni i peccatori che si scagliano con tanta furia contro la sua Chiesa.
(Plinio Corrêa de Oliveira - O Legionario, 27 ottobre 1940 - i grassetti sono nostri)
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