venerdì 26 aprile 2013

Baruffetta, raffinamento del bluff

L’autonomia del PCI da Mosca è un inganno.


Il compagno Enrico Berlinguer, segretario generale del Partito Comunista italiano, due settimane fa ha fatto una visita in Russia. Il viaggio era destinato a normalizzare i rapporti tra i partiti comunisti russo e italiano, turbati già da tempo da un problema grave.

In termini chiari e senza i rigiri con cui lo velano certe note di stampa, questo problema si può enunciare così: quale è il grado di indipendenza del PCI rispetto al PC russo?
Questo problema ne implica un altro, di maggiore ampiezza: quale è, attualmente, il grado di indipendenza dei partiti comunisti di tutto il mondo rispetto alla Russia? Ossia, la Russia continua o no a guidare la rivoluzione comunista mondiale?
La portata dell’interrogativo è evidente.
Se il movimento comunista internazionale continua a essere uno, come è sempre stato, i diversi partiti comunisti non sono niente di più di semplici sezioni di una organizzazione unica, la cui direzione suprema è situata a Mosca. Pertanto, dal momento in cui un partito comunista sale al potere in qualche altro paese, il governo che forma obbedirà completamente a Mosca. Questo equivale a dire che tale paese avrà perduto ipso facto la sua sovranità, per diventare una semplice provincia russa.
Se, al contrario, il Partito Comunista russo non ha più la direzione dei vari partiti comunisti, un paese può essere governato dal rispettivo PC senza per questo trasformarsi in una colonia russa.
Si capisce, dunque, come mai gli osservatori di buona qualità abbiano concentrato la loro attenzione sul viaggio con cui Berlinguer è andato a mettere in chiaro il tema a Mosca.
 
Quale delle due soluzioni - autonomia o dipendenza dei PC - è più coerente con la dottrina del comunismo? Certamente la seconda. Poiché la Rivoluzione mondiale è una, secondo gli autori classici del comunismo, anche il partito in tutto il mondo deve essere uno e - in ultima istanza - anche l’autorità motrice di esso deve essere una sola. E così è stato fino a poco tempo fa.
Tuttavia, la notorietà universale di questa unità ha comportato gravi ostacoli per l‘espansione comunista nel mondo.
I PC sono solitamente accusati dagli anticomunisti di essere dei semplici fantocci nelle mani di Mosca. Tale accusa impedisce a molti simpatizzanti per la dottrina comunista di aderire al comunismo.
Bisogna aggiungere che, come è noto, in Russia vige una dittatura ferrea. Se un partito comunista di un paese occidentale deve ubbidire all’autorità russa nel paese in cui esso vada al potere, potrà essere portato, dalla sua stessa posizione subordinata, a instaurare prima o poi, in tale paese, una dittatura. E il sogno cullato da tanta gente di un regime comunista, dirigista sul piano economico, ma liberale sul piano politico, si rivela così come utopico.
A questo modo diventa irraggiungibile la meta attuale dei comunisti di conquistare il potere con l’appoggio dei semicomunisti e perfino dei non comunisti, attirati dalla formula seducente della a «rivoluzione nella libertà» e dal miraggio dell’indipendenza da Mosca.
Perciò il comunismo ha il massimo interesse a dare l’impressione di avere rotto la sua unità mondiale.

Ciò posto, comprendiamo a fondo quanto è successo nelle ultime due settimane, per ciò che riguarda i rapporti tra il PCI e Mosca.
La personalità di maggiore rilievo del PC italiano, Enrico Berlinguer, è stato a Mosca per consultazioni, dalle quali è nato un comunicato congiunto dei due PC, nel quale quello sovietico riconosceva l’autonomia del suo simile italiano. Tuttavia, questo documento non sarebbe stato sufficiente, da solo, per tranquillizzare i semicomunisti o gli acomunisti più cauti.
La strana e sorprendente arrendevolezza del PC russo nel rinunciare in concreto alla direzione del PC italiano, e in tesi alla direzione di tutti i partiti comunisti del mondo esterno, dà inevitabilmente l’impressione di una semplice manovra
Era necessario qualcosa di più, perché il bluff fosse convincente.
Come si poteva aspettare - o piuttosto temere – questo «qualcosa di più» non mancò. Consistette in una baruffetta ben organizzata tra i due PC.
Il segretario generale del PCI ritornò in Italia e rilasciò delle dichiarazioni. Dal canto suo, anche il Cremlino pubblicò una dichiarazione. E tutto sembrava perfettamente combinato o sistemato. Se non che uscì sulla Pravda una nota che attribuiva al PCI una posizione interamente allineata con la politica sovietica e nello stesso tempo ometteva il tratto della dichiarazione congiunta in cui si affermava l’autonomia dei due PC. Il PC italiano dichiarò allora la propria indignazione e affermò che, contro la volontà di Mosca, manteneva la propria completa indipendenza.
Questo piccolo litigio, apparentemente così spontaneo, non poteva non trarre in inganno gli osservatori meno sottili; e a fortiori l’uomo della strada, che deve aver detto fra sé e sé: «Questa volta litigano sul serio. Questi comunisti italiani sì che sono uomini! Hanno rotto di fatto con Mosca: e un governo comunista non farà dell’Italia una colonia russa!» In altre parole, il bluff fu montato in modo perfetto.
Il tutto è del massimo vantaggio per il comunismo in tutto il mondo, e specialmente in Italia, probabilmente nelle mire di Mosca, la prossima vittima.


Plinio Corrêa de Oliveira - Folha de S. Paulo del 1-4-1973.

(I grassetti sono nostri)

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