domenica 24 dicembre 2017

"E la luce brillò nelle tenebre..."


La festa del Santo Natale occupa sicuramente un posto importante nella liturgia. (...) La nascita del Divin Salvatore costituì di per sé stessa un avvenimento d'infinito valore per il genere umano. Infatti, il Verbo di Dio avrebbe potuto unirsi in maniera ipostatica a uno degli angeli più santi e rutilanti delle sfere celesti, ma ha preferito essere uomo, farsi carne, appartenere, con la sua umanità, alla discendenza di Adamo. Un dono assolutamente gratuito, per noi nobilitante, di un ineffabile valore; un punto di partenza storico di altri doni che ci vengono dati ed anch'essi insondabili.


Così, nella previsione dell'Incarnazione del Verbo, la Provvidenza ha creato un essere che conteneva in sé perfezioni maggiori di quelle di tutto l'universo nel suo insieme; e, mediante questa creatura, ha sospeso la successione ereditaria del peccato originale. La virtù di tutti i giusti della legge antica si nutre dei meriti previsti nella Redenzione; ma quella moltitudine di giusti era seduta "alle soglie della morte" (51. 107,18), in attesa che per tutti noi si immolasse l'Agnello di Dio.

Non erano soltanto loro ad attendere a piè fermo. Attendeva pure a piè fermo, se così possiamo dirlo, tutta la Storia in una muta trepidazione. Al momento della nascita di Gesù Cristo, il mondo viveva un tempo di epilogo. Difatti, l'Egitto era fiorito ma, raggiunto un certo culmine, crollò. Lo stesso si può dire di diversi altri popoli: i caldei, i persiani, i fenici, gli sciti, i greci e tanti altri. Alla fine, anche i romani erano sul punto di imboccare la via di un lungo tramonto che, con periodi di rapida decadenza, di stagnazioni più o meno lunghe, di effimere reazioni, li avrebbe condotti da Augusto al suo lontano successore e miserevole omonimo Romolo Augustolo.
Tutti questi imperi erano saliti abbastanza in alto per testimoniare la profondità e la varietà dei talenti e delle capacità dei rispettivi popoli. Ma l'analogo livello che più o meno tutti avevano raggiunto, non soddisfaceva le aspirazioni degli animi più nobili. Sembrerebbe che queste magnifiche civiltà avessero fatto risaltare, non tanto ciò che avevano ma quanto gli mancava; oltre all'inguaribile incapacità di talento, ricchezza e forza umana per costruire un mondo degno di loro.

Tutto ciò creava - in Asia, in Africa e in Europa - un'atmosfera irrespirabile, che aumentava il tormento degli schiavi nella loro già così miserevole vita e minava di soppiatto i piaceri e i godimenti dei ricchi. Si avvertiva un'oppressione imponderabile ma onnipresente, impalpabile ma evidente, indescrivibile ma molto definita. Il corso della Storia si era arenato in un pantano di corruzione - saturo dei ruderi del passato - in cui spiccavano le miserie dell'esistenza.
Nell'ambito politico si vede così la fine di una lotta tra due espressioni della demagogia: quella anarchica e di piazza o quella militare e dispotica. Nel campo culturale, lo scetticismo religioso divora le antiche idolatrie. Nel campo internazionale, le vecchie patrie vanno a disgregarsi nel contenitore dell'Impero, per dare vita a quell'inorganico moloc cosmopolita in cui doveva trasformarsi Roma. Nel terreno morale, si constata la depravazione dei costumi dominando la vita quotidiana. Nel terreno sociale, l'oro viene innalzato a supremo valore. Per quelli che si trovano bene sistemati le cose procedono, in apparenza, piacevolmente. In effetti, in epoche come queste, i "bene sistemati" sono la feccia morale e intellettuale della società. E proprio i migliori patiscono i mille tormenti delle situazioni immeritate e carenti.

Che dire poi del quadro del popolo eletto nel momento in cui il Verbo si incarnò? Erode cingeva il diadema di re ma era uno scellerato fra i peggiori del regno: mediocre, bramoso, crudele, consapevole strumento dell'oppressore per illudere gli ebrei con le apparenze di una vana regalità. I sacerdoti erano - per quanto riguarda lo spirito di fede, la sincerità e il disinteresse - la scoria della Sinagoga. La casa reale di Davide viveva nel disprezzo e nella completa oscurità. I giusti erano gli "emarginati" di quell'ordine di cose così fondamentalmente cattivo che finì con l'uccidere il Giusto. Cosa mancava ancora? Era la fine.

"La luce brillò nelle tenebre"
Fu proprio nelle tenebre di questa fine che, quando meno si pensava e dove meno si sperava, si accese una luce molto pura. In questa luce c'era l'annuncio dell'ora dell'Incarnazione, la promessa implicita della Redenzione tanto attesa e della nuova era che sarebbe iniziata per il mondo con l'incendio della Pentecoste. È lo splendore di questa luce ad avviare nelle tenebre un'aurora che si trasforma trionfalmente in giorno, è il cantico di meraviglia e di speranza davanti a questo rinnovamento spirituale, l'ingresso e la pregustazione di un nuovo ordine basato sulla fede e sulla virtù, contemplato dai fedeli di tutti i secoli al posare i loro occhi sul Dio Bambino che, disteso sulla mangiatoia, sorride pieno di tenerezza alla Vergine Madre e al suo castissimo sposo.

Una significativa analogia
Anche oggi un'immensa oppressione pesa su di noi. Inutile cercare di nascondere a sé stessi la gravità dell'ora presente, suonando le nacchere e i tamburelli di un ottimismo senza riscontri nella realtà. Con l'unica differenza, cioè l'esistenza della Santa Chiesa, la situazione del mondo è oggi terribilmente simile a quella del tempo in cui avvenne il primo Natale. (...) Abbiamo la Chiesa, è vero. Ma questa augusta e soprannaturale presenza non salva se non nella misura in cui gli uomini accettano la sua influenza. (...)

Ebbene, qual è la situazione della Chiesa ai nostri giorni? Ci viene da sorridere, o piuttosto da piangere, quando qualcuno ci dice che è buona. Certo che per alcuni versi può dirsi buona, così come si potrebbe dire che nella Domenica delle Palme fosse grande l'entusiasmo del popolo per Nostro Signore.
Ciò nonostante dire che la situazione della Chiesa oggi è buona, considerati nel loro insieme i fattori positivi ed i negativi, sarebbe un affronto alla verità. Infatti per la Chiesa è buona soltanto la situazione in cui la cultura, le leggi, le istituzioni, la vita domestica e quella privata si conformano alla legge di Dio. Proprio ciò che oggi non avviene, nel modo più chiaro del sole. Perché allora coprirlo con un colabrodo?

Di conseguenza, si capisce che i "ben sistemati" desiderino che perduri questa lenta agonia. (...) Ma anch'essi non possono eludere il profondo malessere di questo tempo, e non possono non tremare di fronte ai lampi che rifulgono, sempre più frequenti, nella già satura atmosfera.

La voce di Fatima
Tuttavia, dall'alto di quella sacra montagna che è la Chiesa, si erge l'immagine materna e malinconica della Madonna di Fatima, incoronata dal legato del papa Pio XII. Da Lei partono per il mondo oppresso raggi di speranza. Speranza analoga a quella portata dalla Buona Novella all'umanità antica. Sono raggi che scaturiscono dalla Chiesa e quindi da Gesù Cristo. Chiarori che prolungano e riaffermano quelli della prima notte di Natale.
"Infine il mio Cuore Immacolato trionferà", ha detto la Vergine nella sua terza apparizione alla Cova da Iria.
Oh neo paganesimo, mille volte peggio del paganesimo antico, i tuoi giorni sono contati! Crollerà il potere sovietico così come crollerà l'influenza della Rivoluzione in Occidente. La Madonna lo ha detto e davanti a Lei nulla possono i grandi della terra e i principi delle tenebre.

Che cosa può essere il trionfo del Cuore Immacolato se non il regno della Vergine Maria previsto da San Luigi Maria Grignion da Montfort? E questo regno che cosa potrebbe essere se non quell'era di virtù in cui l'umanità, riconciliata con Dio, nel grembo della Chiesa, vivrà secondo la Sua legge preparandosi alle glorie del Cielo?

Nella notte di Natale di questo travagliato 1957, non pensiamo né agli "sputnik" né alle bombe all'idrogeno, se non per confermarci nella convinzione che Gesù Cristo ha vinto per sempre il mondo e la carne, e prepara giorni della più alta gloria per la sua Madre Immacolata, che risplenderanno dopo terribili prove.

Plinio Corrêa de Oliveira - Rivista "Catolicismo", Dicembre 1957






(I grassetti sono nostri)


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