mercoledì 6 febbraio 2019

Ritorno alla torre di Babele?


Dall'archivio, tanti aspetti di molta attualità...
Nel mio ultimo articolo ho analizzato un aspetto della reazione del pubblico brasiliano di fronte alla personalità di Giovanni Paolo II. Si tratta di una reazione molto estesa, poiché, come enormi vibrazioni, ha percorso vaste masse umane in tutti i settori della opinione pubblica. Tanto uomini di sinistra come di centro oppure di destra, cattolici, protestanti, scismatici, ebrei, buddisti, musulmani, spiritisti, atei, sono affluiti in grande numero per applaudire Giovanni Paolo II, in un tumultuoso moto di gioia.
Questo fatto lasciava intravedere, nelle masse spaventate e variamente torturate dei nostri giorni, la speranza che, a contatto con le doti personali - personalissime - di Papa Wojtyla, avrebbero ricevuto, unitamente a effluvi di ottimismo, di allegria, di semplicità e di salute, un peculiare know-how per risolvere, secondo formule inedite, i problemi di ogni individuo, di ogni famiglia, della nazione intera.
Certamente, nell'animo dei cattolici non vi era solamente questa speranza, ma anche la convinzione che Karol Wojtyla è il successore di Pietro. Ma questa nobile convinzione, fondata sulla fede, era un denominatore comune specifico dei cattolici. Tra cattolici e non cattolici, il denominatore era, il più delle volte, Karol Wojtyla, come persona splendente di specifiche doti individuali; e l'ansia di ricevere, nel profondo abisso della afflizione in cui si trovano, qualcosa che sazi il loro desiderio di serenità, di pace e di abbondanza. Crisi di afflizione – ansie di felicità: l'alternativa è molto divaricante. Dal fondo di queste ansie di benessere, di pace, di serenità, che facevano palpitare milioni di petti umani raccolti vicino a Giovanni Paolo II, mi è parso venire alla luce, attraverso il gioco stesso di questa tensione, il sogno utopistico di una completa felicità terrena, che tanti dei presenti speravano di ottenere, meno da Giovanni Paolo II che da Karol Wojtyla.

Tale ansia mi ha lasciato così preoccupato, poiché si presenta con un potenziale di ingenuità e una precarietà emotiva della quale qualche demagogo potrà trarre, in qualsiasi momento, sinistro partito.
La concordia senza macchia, la pace perfetta ed eterna fra tutti gli uomini, tutte le nazioni e tutte le dottrine, la felicità totale non sono di questo mondo. In questa terra di esilio, le privazioni, i contrasti, le catastrofi sono inevitabili; e una visione cristiana della vita porta, nello stesso tempo, a limitarle per quanto possibile, e a rassegnarsi a esse perché inevitabili.

Questa dura lezione, così sgradita al neopagano dei nostri giorni, la ricordo in un testo aureo di san Luigi Maria Grignion di Montfort, l'incomparabile apostolo della devozione alla Madonna.
Trattando della eterna lotta tra la Vergine e il serpente, egli ci mostra anzitutto la vita dei popoli come una grandiosa, tragica e incessante guerra tra la verità e l'errore, il bene e il male, il bello e il brutto. Si tratta di una battaglia senza la quale la esistenza terrena dell'uomo, privata del suo significato soprannaturale, perderebbe la sua dignità.

Commentando le parole della Genesi: "Porrò inimicizie tra te e la donna, tra la stirpe di lei; ella ti schiaccerà il capo, e tu insidierai il suo calcagno" (Gen. 3, 15), il grande santo [Luigi Grignion da Montfort] osserva con profondità: "Dio ha fatto e preparato una sola, irreconciliabile inimicizia, che durerà e anzi crescerà fino alla fine: l’inimicizia tra Maria, sua degna Madre, e il diavolo; tra i figli e servi di Maria Vergine e i figli e aderenti di Lucifero; a tal segno che la nemica più terribile del diavolo che Dio abbia mai creata, è Maria, sua santa Madre" (op. cit., n. 52).

Ed egli passa subito a descrivere la grande guerra che divide l’uomo in modo inesorabile, fino alla fine della storia. Tale guerra non è altro che un prolungamento della opposizione tra la Vergine e il serpente, tra la progenie spirituale di quella e la progenie spirituale di questo: "Sin dal paradiso terrestre (…) il Signore le ispirò tanto odio contro quel maledetto nemico di Dio, e le diede tanta abilità per scoprire la malizia di quell’antico serpente, tanta forza per vincere, abbattere e schiacciare quell’empio orgoglioso, che il demonio la teme, non soltanto più di tutti gli Angeli e gli uomini, ma, in certo qual senso, più di Dio stesso" (ibidem).

All’interno di questo quadro, la "clemens, pia, dulcis Virgo Maria", che il Dottore Mellifluo, san Bernardo, ha cantato con particolare soavità nella "Salve Regina", ci è presentata da san Luigi Maria come una vera torre di combattimento: "Turris davidica", esclama la litania lauretana.
Nel corso della Storia, i figli della Madonna combatteranno fino alla fine del mondo contro i figli di Satana. E la vittoria finale sarà dei primi, grazie all’intervento della Madre di Dio: "Dio non ha costituito soltanto una inimicizia, ma delle inimicizie; l’una tra la Vergine e il demonio, l’altra tra la stirpe di Maria e la stirpe del demonio. In altre parole, Dio ha posto inimicizie, antipatie e odi segreti tra i veri figli e servi della Vergine Maria e i figli e schiavi del demonio: non possono volersi bene tra loro! non ci può essere intesa tra loro!
"I figli di Belial, gli schiavi di Satana, gli amici del mondo – che è la stessa cosa – hanno sempre perseguitato e continueranno più che mai a perseguitare quelli e quelle che appartengono a Maria ss., come un giorno Caino ed Esaù, figure dei reprobi, perseguitarono i loro rispettivi fratelli Abele e Giacobbe, figure dei predestinati.

"Ma l’umile Maria riporterà sempre vittoria sul quel superbo, e vittoria così grande, che riuscirà persino a schiacciargli il capo ove si annida il suo orgoglio; ne svelerà sempre la malizia di serpente; ne sventerà le trame infernali; ne manderà in fumo i diabolici disegni e difenderà sino alla fine dei tempi i suoi servi fedeli da quelle unghie spietate" (Ibid., n. 54).

Ben inteso, anche i nostri giorni sono stati, sono e saranno scossi da questo terribile scontro, che non coincide necessariamente con le guerre del secolo, ma ha qualche rapporto con esse. E ha soprattutto un rapporto ovvio con le innumerevoli rivoluzioni che hanno scosso l’Occidente, come era stato predetto dalla Madonna a Fatima.

La soppressione di questa lotta attraverso una riconciliazione ecumenica tra la Vergine e il serpente, tra la stirpe della Vergine e la stirpe del serpente, verso una èra nella quale la cessazione utopistica dello scontro porti con sé un accordo tra tutti i diritti, tutti gli interessi, una interpenetrazione di tutte le lingue sotto un governo universale che sarà solamente abbondanza e serenità, ecco la grande utopia contro la quale devono essere messe in guardia le masse. Ecco il regresso (o, piuttosto, la retrocessione) alla orgogliosa torre di Babele, che in ogni modo il neopaganesimo cerca di riedificare. Ecco la bandiera interamente tessuta di illusione e di menzogna con la quale, in tutte le epoche, i demagoghi hanno cercato di trascinare le masse insorte.

Ecco, anche, quale mi è parso essere il pericolo verso cui possono scivolare molti di coloro che, vedendo nel nostro illustre visitatore di poco fa, non – o almeno non tanto – l’augusto vicario di Cristo, ma un atleta oppure un demiurgo in materie socio-economiche, a forza di riporre la loro fiducia nell’uomo, possono finire per sottovalutare o per dimenticare che è il vicario di Dio.

Plinio Corrêa de Oliveira


("Folha de S. Paulo" del 12-8-1980. Tratto da Cristianità, Maggio 1982)

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