Nuovo paradigma missionario:
in 53 anni...neanche un battesimo!
L’Istituto di Missioni Consolata, originario di
Torino e presente in 28 Paesi, dal 1965 svolge una missione tra gli yanomami, attualmente diretta dal sacerdote italiano Corrado
Dalmolego, assistito da tre religiose del ramo femminile della stessa
congregazione.
In una recente intervista al portale Religión
Digital 1, il missionario della Consolata ha fornito interessanti particolari sulla sua
concezione della missione e delle sue attività missionarie, con la speranza
che il suo lavoro funga da modello per
il prossimo Sinodo della Panamazzonia. Le sue sorprendenti dichiarazioni
sono state raccolte e attribuite a un altro missionario, il sacerdote madrileno
Luis Miguel Modino, attivo nella Diocesi di São Gabriel da Cachoeira, Stato
dell’Amazzonia (Brasile).
Per comprendere la trascendenza delle opinioni espresse da padre
Dalmolego, occorre dapprima collocare il contesto della cultura yanomami,
nell’ambito della quale si svolge la sua attività missionaria.
Gli yanomami sono un gruppo etnico composto da 20 a 30 mila indigeni che
vivono nella foresta tropicale in modo molto primitivo, concentrandosi nella
zona della regione del fiume Mavaca, negli affluenti dell’Orinoco, e nella sierra Parima, una regione situata al sud del Venezuela, e in Brasile, negli stati
dell’Amazzonia e Roraima, dove si trova la missione Catrimani dei missionari
della Consolata, vicino al fiume che porta lo stesso nome.
Vivono in piccoli villaggi di 40 o 50 persone. In realtà sono nomadi che
praticano la caccia, utilizzando l’arco e la freccia, e hanno alcuni raccolti
che durano due o tre anni. Quando la terra si svuota, il villaggio crea una
nuova piantagione in un altro luogo.
I loro vestiti sono molto sommari e li usano a malapena come ornamento
ai polsi, alle caviglie e come cintura attorno alla vita. Gli uomini della
tribù generalmente hanno varie mogli,
comprese adolescenti appena entrate nella pubertà. Gli uomini sono soliti
consumare la pianta “epená” o virola, che
contiene una sostanza allucinogena,
utilizzata anche nei rituali curativi dagli sciamani per identificare la
malattia, comunicando con gli spiriti.
Il problema più importante della comunità è la salute, specialmente le
malattie di tipo infettivo e parassitario come la malaria, che è la principale
causa di mortalità tra gli yanomami. Seguono epatite, diarrea, tubercolosi e
malattie dell’apparato respiratorio come polmoniti e bronchiti che soffrono più
volte l’anno. La quasi inesistente abitudine alla pulizia e alla cura dei denti
(non utilizzano lo spazzolino) fa sì che la carie dentale sia un problema
cronico2.
Una delle “tradizioni” più radicate tra gli yanomami è l’infanticidio, praticato dalla madre
che si allontana per dare alla luce il proprio figlio e decide di accogliere o
uccidere il neonato, sotterrandolo vivo. L’infanticidio è praticato per
eliminare i bambini che nascono con malformazioni o per una forma di selezione
(gli yanomami preferiscono i maschi alle femmine e che il primo figlio sia
maschio; se nascono gemelli ne lasciano vivo uno solo e se entrambi sono maschi
uccidono il più debole), o
semplicemente per non dover curare due figli contemporaneamente (li allattano
per tre anni, in media)3.
Gli yanomami hanno un temperamento altezzoso e
guerriero4 e quando uccidono
acquisiscono la condizione sociale di “unokai”. I più bellicosi e chi riesce a uccidere più nemici ottengono un maggior
prestigio e più mogli. Per attaccare i villaggi di altre tribù formano alleanze
con estranei, piuttosto che con parenti vicini, e il bottino di guerra consiste
nello sposarsi con le sorelle o con le figlie dei loro alleati5.
Una delle abitudini più primitive di questa etnia è
la pratica del cannibalismo rituale:
in un rituale funebre collettivo di carattere sacro, bruciano il cadavere di un
parente morto e mangiano le ceneri delle sue ossa, mescolandole con la pasta
del “pijiguao” (frutto di un tipo di palma), poiché credono che nelle ossa
risieda l’energia vitale del defunto, che in questo modo è reintegrato nel
gruppo familiare6. Allo stesso modo uno yanomami che uccide un avversario nel territorio
nemico pratica questa forma di cannibalismo per purificarsi7. Da questo breve racconto emerge che gli yanomami
sono ben lontani dal bon sauvage di Rousseau… Nonostante questo, per il missionario Corrado Dalmonego, che
vive in Catrimani da 11 anni e pertanto li conosce bene, essi possono “con l’esperienza della propria religiosità, della propria
spiritualità, aiutare la stessa Chiesa a ripulirsi, forse da schemi, da
strutture mentali, che possono essere rimaste obsolete o inadeguate”.
In primo luogo gli yanomami aiutano la Chiesa a “difendere questo mondo”
e a “costruire una ecologia integrale”,
a “stabilire ponti tra le conoscenze tradizionali e le conoscenze moderne,
ecologiche, della società occidentale”.
In secondo luogo la aiutano a migliorare le sue strutture e l’esercizio
dell’autorità, per cui la Chiesa
dovrebbe “prestare attenzione a come i popoli indigeni vivono l’esperienza
comunitaria, le relazioni sociali, l’organizzazione della leadership”. “Gli
yanomami sono per noi una testimonianza per poter apprezzare il valore della
vita comunitaria”, afferma il missionario.
E, da ultimo, “con le ricerche
condotte sullo sciamanismo, sulle mitologie, sui diversi saperi, sulle visioni
del mondo, sulle visioni su Dio”, la Chiesa si arricchisce, poiché i momenti
forti di dialogo aiutano i missionari “a scoprire l’essenza della nostra fede,
molte volte coperta da ornamenti, da tradizioni culturali”.
Uno dei modi in cui avviene questo arricchimento spirituale è che gli
yanomami “tendono a unire le cose”, ossia, invocano il Dio dei bianchi senza
rinunciare alle proprie credenze. “Non è necessario rinunciare, si tratta
semplicemente di appropriarsi di qualcos’altro. Perché non fare questo
esercizio, queste esperienze anche come Chiesa?”, si chiede il religioso della
Consolata. “Ciò, da un lato, può essere accusato di sincretismo, relativismo”,
dichiara, ma conclude affermando che, in ogni caso, “noi non siamo padroni
della verità”. Da questa nuova
concezione dell’azione evangelizzatrice della Chiesa come mero esercizio di
dialogo interreligioso, risulta che Corrado Dalmonego si prende il merito
di un evento straordinario, a cui si riferisce il suo intervistatore, e che per
qualsiasi missionario tradizionale sarebbe il calice più amaro: guidare “una
missione di presenza e di dialogo” nella quale “dopo sessant’anni8 nessuno è stato battezzato”!
La cosa più grave è che padre Dalmonego afferma che “tutti i suoi
conoscenti che hanno lavorato lì ammirano questo modo di vivere, hanno
partecipato e ne hanno fatto parte, hanno dedicato la loro vita, i loro anni,
il loro lavoro, apprezzano questo tipo di azione, che [egli] non ridurrebbe a
un testimone silenzioso, perché quando si dialoga si parla, quando si parla si
annuncia”. Ma insiste nuovamente nell’allontanare qualsiasi idea di
“proselitismo” e di “non confondere ciò che è l’annuncio con ciò che si
considera conversione”.Ed è precisamente in questo senso che la Missione
Catrimani potrà servire come un riferimento in vista del
Sinodo della Panamazzonia, perché “è una presenza profetica per la Chiesa, che
si è messa all’ascolto dei popoli, una presenza che non cessa di essere
criticata o mal compresa, accusata di omissione”.
Apparentemente l’importante non è ciò che può decidere Gesù Cristo
vedendo incompiuto il suo mandato di andare a evangelizzare tutti i popoli,
“battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, ma ciò
“che incoraggia il cuore e rassicura” è “ascoltare David Kopenawa9 yanomami, leader indigeno di questo popolo, che afferma che la
Missione Catrimani ha fatto bene le cose, che non ha danneggiato gli yanomami,
che non ha distrutto la cultura, che non ha condannato lo sciamanismo” e che
“questo è il messaggio che essi [i missionari] devono ricavare dal Dio che li
ha inviati”.
Da qui, secondo il missionario italiano,
l’importanza del prossimo Sinodo, “per
cui in tutta la Chiesa, e forse anche fuori dalla Chiesa, gli occhi sono
puntati all’Amazzonia”, poiché “se ci fossero più esperienze come queste la
Chiesa si arricchirebbe fortemente”.
Questo desiderio sembra corrispondere perfettamente ai piani degli
organizzatori del suddetto evento ecclesiale. Il cardinale Lorenzo Baldisseri,
segretario generale del Sinodo dei Vescovi, durante la conferenza stampa di
presentazione del Documento Preparatorio dell’assemblea speciale del prossimo
ottobre ha dichiarato che il suo obiettivo è “trovare nuovi cammini pastorali
per una Chiesa dal volto amazzonico, con una dimensione profetica alla ricerca
di ministeri e linee di azione più adeguate in un contesto di ecologia
veramente integrale”.
Consapevole del carattere piuttosto ermetico della
sua frase, il cardinale Baldisseri ha chiarito: “È papa Francesco che ci indica
la strada per comprendere l’espressione ‘volto amazzonico’. Infatti, afferma a Puerto Maldonado: “quanti non abitiamo queste terre
abbiamo bisogno della vostra saggezza e delle vostre conoscenze per poterci
addentrare, senza distruggerlo, nel tesoro che racchiude questa regione. E
risuonano le parole del Signore a Mosè: ‘Togliti i sandali dai piedi, perché il
luogo sul quale tu stai, è suolo santo” (Esodo 3:5)’”10.
“Come ha detto papa Francesco, il compito della nuova evangelizzazione
delle culture tradizionali che vivono nel territorio amazzonico e in altri
territori chiede di prestare ai popoli ‘la nostra voce nelle loro cause, ma
anche [siamo chiamati] ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad
accogliere la misteriosa sapienza che
Dio vuole comunicarci attraverso di loro’ (Evangeli Gaudium, n° 198)”11.
Più concretamente, questa comunicazione avviene attraverso gli sciamani,
poiché nella sottosezione “Spiritualità e saggezza”, il Documento Preparatorio afferma che “diverse spiritualità e
credenze” dei popoli indigeni, “li portano a vivere una comunione con la terra,
l’acqua, gli alberi, gli animali, con il giorno e con la notte” e che “i vecchi
saggi, chiamati indistintamente – fra l’altro – payés, mestres, wayanga o
chamanes, hanno a cuore l’armonia delle persone tra loro e con il cosmo”12.
La cura del medio ambiente, assicura lo stesso documento, è una delle
principali aree in cui deve compiersi questo apprendimento ecclesiale: “La
conversione ecologica significa assumere la mistica dell’interconnessione e
dell’interdipendenza di tutto il creato. (…) Si tratta di qualcosa che le
culture occidentali possono, e forse devono,
apprendere dalle culture tradizionali amazzoniche, come pure da altri
territori e comunità del pianeta. Essi, i popoli, ‘hanno molto da insegnarci’
(EG 198). Nell’amore per la loro terra e nella loro relazione con gli
ecosistemi, essi conoscono il Dio Creatore, sorgente di vita. (…) Per questo papa Francesco aveva segnalato che ‘è necessario che tutti ci lasciamo
evangelizzare da loro’ e dalle loro culture”13.
I religiosi della Consolata della Missione Catrimani possono dormire in
pace con la coscienza: papa Francesco non li rimprovererà per non aver celebrato nessun battesimo di yanomami in 53 anni.
Probabilmente sono essi stessi che dovrebbero farsi iniziare come sciamani
apprendendo i rituali degli yanomami e seguendo corsi di David Kopenawa…
Jose Antonio Ureta
(Corrispondenza
Romana, 05
Giugno 2019)
(I grassetti sono nostri)
Note:
1 https://www.periodistadigital.com/religion/america/2018/12/20/corrado-dalmonego-los-indigenas-pueden-ayudar-a-la-iglesia-a-limpiarse-de-estructuras-obsoletas.shtml
2 Débora Margarita Marchán, op. cit.
3 Il tedesco Erwin Frank studia le popolazioni indigene dell’America
da 30 anni. Professore dell’Università federale di Roraima e dottore in
Antropologia, da dieci anni conduce ricerche sugli indios dell’Amazzonia,
soprattutto gli yanomami. In un’intervista al quotidiano Folha, ieri ha detto
che l’infanticidio è una tradizione piuttosto radicata nella cultura
yanomami.“Questo esprime l’autonomia della donna nel decidere per la vita o per
la morte del figlio e funziona come una forma di selezione per le malformazioni
e per il sesso dei bambini”, ha spiegato.
Quanto esposto è confermato dall’antropologo Iván
Soares, che collabora con il Pubblico Ministero dello Stato di Roraima. Durante
il Seminario Interamericano sul Pluralismo Giuridico che si è svolto a Brasilia
nel novembre 2005 presso la Scuola Superiore del Pubblico Ministero della Unión
e in collaborazione con la Sesta Camera di Minoranza della Procura Generale
della Repubblica, ha raccontato che le donne yanomami esercitano un potere
decisionale totale sulla vita dei neonati. Il parto avviene nel bosco, fuori
dal villaggio; in questo ambiente di ritiro, fuori dal contesto della vita
sociale, la madre ha due possibilità: se non tocca il bambino né lo prende in
braccio, lasciandolo sulla terra dove è caduto, significa che questi non è
stato accolto nel mondo della cultura e delle relazioni sociali e che,
pertanto, non è umano. In questo modo, dal punto di vista degli indigeni, non
si può dire che è stato commesso un omicidio, poiché ciò che è rimasto sulla
terra non era una vita umana.
4 Dévora Margarita Marchén, Impacto socio-educativo de la misión
salesiana entre los Yanomami del Alto Orinoco,
https://www.monografias.com/trabajos75/impacto-socioeducativo-mision-salesiana-yanomami/impacto-socioeducativo-mision-salesiana-yanomami2.shtml
5 Judith de Jorge, “La guerra de los yanomami: lucha
conmigo y me caso con tu hermana”, El País, 28-10-2014, https://www.abc.es/ciencia/20141028/abci-guerra-yanomami-lucha-conmigo-201410281215.html
6 Jesús María Aparicio y Charles David Tilley, EL ENDOCANIBALISMO EN
LOS RITUALES FUNERARIOS DEL PUEBLO YANOMAMO,
http://www5.uva.es/trim/TRIM/TRIM8_files/TRIM8_4.pdf
7 Joanna Overing, “Images of cannibalism, death and domination in a
«non violent» society”, Journal de la société des américanistes Année 1986, p
151, in https://www.persee.fr/doc/jsa_0037-9174_1986_num_72_1_1001,
8 In realtà sono solo 53 anni.
9 David Kopenawa è conosciuto come “dalai lama della foresta” e
agisce come portavoce internazionale degliyanomami. Nei suoi mediatizzati
spostamenti per le capitali occidentali si dice che sia consigliato dagli
“xapiri” (gli spiriti della foresta amazzonica).
10 https://press.vatican.va/content/salastampa/es/bollettino/pubblico/2018/06/08/bal.html
11 “Nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”:
Documento Preparatorio del Sinodo dei Vescovi per l’Assemblea Speciale per la
Regione Panamazzonica”, n° 13,http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/06/08/0422/00914.html
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