La storia e i suoi grandi personaggi - Capitolo VIII
Premessa.
La cavalleria è una delle più belle istituzioni nate dal seno della Chiesa nel medioevo. Essa non coincide esattamente con la nobiltà feudale, sebbene sia costituita prevalentemente da nobili e la maggioranza dei baroni feudali siano cavalieri, ma è un ordine distinto, nel quale i nobili si inseriscono mediante una cerimonia chiamata investitura. La nobiltà non è condizione assolutamente indispensabile per diventare cavaliere: vi sono casi di servi armati cavalieri, mentre certi nobili non giunsero mai ad appartenere a questa istituzione.
I gradi della cavalleria.
Come tutti gli ordinamenti medievali, anche l'istituzione cavalleresca ha una gerarchia. Al primo gradino vi è il paggio. Il futuro cavaliere generalmente inizia il suo apprendistato a sette anni. Il paggio, figlio di un nobile, si mette al servizio di un nobile di categoria superiore, imparando a badare al cavallo e a combattervi sopra.
Più o meno a 14 anni, il paggio diventa scudiero. A questo punto egli viene iniziato al maneggio delle armi, apprende le regole del combattimento e porta le armi e lo scudo del suo signore quando va in guerra.
Giunto a 21 anni viene armato cavaliere.
La cerimonia dell'investitura.
La cerimonia dell'investitura, detta anche "ordinazione cavalleresca", si svolge generalmente in una chiesa, altre volte in un castello feudale o, ancora, in pieno campo di battaglia. Il giovane Don Enrique, ad esempio, fu armato cavaliere sul campo di battaglia per aver compiuto atti di valore straordinari nella conquista di Ceuta.
La sera precedente la cerimonia, il candidato digiuna, si confessa e passa la notte in orazione durante la cosiddetta "veglia delle armi". L'ordinazione del cavaliere giunse ad essere considerata come un ottavo sacramento ma la Chiesa la considerò sempre al massimo come un sacramentale.
La cerimonia comincia con la celebrazione del Sacrificio Eucaristico. Nell'omelia il sacerdote ricorda gli obblighi che il cavaliere sta per assumere, poi benedice le armi che fra poco gli saranno consegnate. Di solito il padrino è il signore feudale della regione, che, seduto col futuro cavaliere davanti a sè in ginocchio, lo interroga in merito alle sue disposizioni nell'assumere gli obblighi che la sua condizione di cavaliere gli impone; poi riceve il giuramento di obbedienza e quindi gli consegna pezzo per pezzo l'armatura, lasciando per ultima la spada. In Francia la cerimonia terminava con la cosiddetta "colèe": un gran colpo che il signore feudale dava sul collo del candidato, dicendogli: "sois preux", ossia "sii valoroso". Dopo ciò il nuovo cavaliere veniva acclamato a gran voce dai presenti.
Doveri del cavaliere.
Gli obblighi morali imposti al cavaliere mettono bene in luce il valore di questa istituzione. Essi sono: combattere per la fede, essere sottomesso al feudatario, mantenersi fedele alla parola data, proteggere i deboli, le vedove e gli orfani, combattere l'ingiustizia.
I poeti medievali fanno la descrizione del cavaliere ideale. Deve essere "puro di cuore, sano di corpo, generoso, dolce, umile e poco chiacchierone". In lui sono presenti le due massime qualità morali richieste ai nobili dell'epoca: coraggio e generosità.
In qualsiasi circostanza il cavaliere deve difendere la fede. Il giuramento di sostenere la fede in Gesù Cristo, trova la sua origine nell'abitudine di sguainare la spada alla lettura del Vangelo, in uso ai primordi della cavalleria. Con ciò si intendeva manifestare la disponibilità a spargere il proprio sangue in difesa della dottrina della Chiesa.
Questa magnifica istituzione contribuisce molto alla fioritura di una delle virtù essenziali dell'epoca: il rispetto fra gli uomini.
Il signore deve amare i suoi vassalli ed essi devono amarlo a loro volta; in questo modo, secondo l'espressione di un famoso storico, "mai il precetto divino 'amatevi gli uni gli altri' penetrava in modo tanto profondo il cuore degli uomini".
La fama delle straordinarie virtù del cavaliere corse anche al di fuori dei confini della Cristianità: mentre San Luigi IX, Re dei francesi, si trovava prigioniero dei mussulmani, uno dei loro capi, minacciandolo con le armi, chiese al santo di essere ordinato cavaliere: "Fatti cristiano", rispose il Re. Tale episodio spiega l'ammirazione che i nemici della Cristianità avevano per questa splendida istituzione.
La punizione del cavaliere corrotto.
Se un cavaliere violava le leggi della cavalleria, mancava al suo onore o tradiva il suo giuramento, veniva degradato. La cerimonia della degradazione era terribile. Il cavaliere indegno veniva condotto sulla piazza principale della città da un corteo di cavalieri vestiti a lutto. Ogni tanto il corteo si fermava e un araldo proclamava ad alta voce il crimine commesso. Giunti sul luogo della cerimonia, il reo veniva posto su un cavallo di legno dove gli si toglievano, uno ad uno, tutti i pezzi dell'armatura dinanzi al popolo riunito, che lo copriva di scherno. Un cavaliere degradato si riduceva in uno stato tale che finiva col cambiare città, non trovando più in alcun ambiente degli aiuti per vivere.
Corruzione e fulgore dell'ideale cavalleresco.
Il romanzo "don Chisciotte" di Cervantes, descrive una cavalleria decadente, romantica e sentimentale, dell'epoca dell'autore, allo scopo di ridicolizzare l'ideale del suo tempo. Nel XVII secolo, infatti, gran parte del nobile ideale di servizio alla società e alla verità, proprio dell'autentica cavalleria medievale, era già stato perduto.
Il più bel frutto della cavalleria fu la nascita degli ordini religiosi militari, o monastico-guerrieri, avvenuta nei primi anni del 1100, dei quali il grande S. Bernardo di Chiaravalle, scrisse:
"Un nuovo genere di milizia, dico, mai conosciuta prima di ora: essa combatte senza tregua e nello stesso tempo una duplice battaglia, sia contro i nemici in carne e sangue, sia contro le potenze spirituali del male nelle regioni dello spirito. Ed io, invero, non giudico tanto degno di ammirazione che resista valorosamente ad un nemico corporeo con le sole forze del corpo, ritenendola, anzi, cosa frequente. Ma anche quando col valore dell'anima si dichiari guerra ai vizi o ai demoni, neppure allora dirò che questo è degno di ammirazione, sebbene sia degno di lode dal momento che si vede il mondo pieno di monaci. Ma quando il guerriero e il monaco si cingono con vigore ognuno della sua spada e nobilmente vengono insigniti della loro dignità, chi non potrebbe ritenere un fatto del genere veramente degno di ogni ammirazione, fatto che appare del tutto insolito?. Ecco un combattente veramente intrepido e protetto da ogni lato, che come riveste il corpo di ferro, così riveste l'anima con l'armatura della fede. Nessuna meraviglia se, possedendo entrambe le armi, non teme né il demonio né l'uomo; non teme la morte, anzi la desidera. Difatti cosa potrebbe temere in vita o in morte colui per il quale Cristo è la vita e la morte un guadagno? Certamente sta saldo con fiducia di buon grado per il Cristo, ma desidera ancor più ardentemente che la sua vita sia dissolta per esistere in Cristo: perché questa è in verità la cosa migliore.
Pertanto, avanzate sicuri, combattenti, e con animo intrepido respingete i nemici della Croce del Cristo, stando certi che né la morte, né la vita, potranno separarvi dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù; ripetendo a voi stessi a ragione in ogni pericolo: 'Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore' (Rom. XIV, 8). Con quanta gioia tornano i vincitori dalla battaglia! Quanto fortunati muoiono i martiri in combattimento! Rallegrati, o forte, se vivi o vinci nel Signore: ma ancor più esulta e sii glorioso nella tua gloria se morirai e ti riunirai al Signore. La vita è certo fruttuosa e la vittoria gloriosa: ma a buon diritto è da preporre a entrambe la morte sacra. Infatti, se sono beati coloro che muoiono nel Signore, quanto più lo saranno quelli che muoiono per il Signore!" (S. Bernardo, "De laude novae militiae ad milites templi", scritto fra il 1128 - data del concilio di Troyes, in cui fu approvata la Regola dei Templari- e il 1136, il testo completo si trova nella "Patrologia Latina" del Migne)
continua...
Come per il cristiano non esiste una filosofia a sé stante,
così non esiste per lui neppure una Storia puramente umana...
la Storia rappresenta il grande palcoscenico sul quale si dispiega nella sua interezza
l'importanza dell'elemento soprannaturale,
sia quando la docilità dei popoli alla fede consente a tale elemento di prevalere
sulle tendenze basse e perverse presenti nelle nazioni come negli individui,
sia quando esso si indebolisce e sembra sparire a causa del cattivo uso della libertà umana
che porterebbe al suicidio degli imperi...
così non esiste per lui neppure una Storia puramente umana...
la Storia rappresenta il grande palcoscenico sul quale si dispiega nella sua interezza
l'importanza dell'elemento soprannaturale,
sia quando la docilità dei popoli alla fede consente a tale elemento di prevalere
sulle tendenze basse e perverse presenti nelle nazioni come negli individui,
sia quando esso si indebolisce e sembra sparire a causa del cattivo uso della libertà umana
che porterebbe al suicidio degli imperi...
(Dom Prosper Gueranger O.S.B., Abate di Solesmes)
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