martedì 11 gennaio 2011

Cristianofobia

“Chi pecora si fa…”


Una strage di cristiani, all’uscita da una delle più importanti chiese di Alessandria d’Egitto nella notte del nuovo anno, costringe a fare una riflessione che va al di là del singolo episodio, per quanto dolorosissimo. Una riflessione che credo tutti abbiamo nel cuore: dobbiamo rassegnarci al fatto che il cristianesimo scompaia? Non possiamo, infatti, chiudere gli occhi davanti alla realtà: è vero che ad uccidere i cristiani sono dei gruppi estremisti di varia nazionalità ed estrazione sociale, ma il mondo cristiano, soprattutto i leader politici e religiosi, continuando ormai da anni a illudersi, e a spingere i fedeli a illudersi, che si tratti sempre ed esclusivamente di pochi fanatici, hanno permesso che si formasse nell’aria una generale percezione di «debolezza» del cristianesimo.

Anzi, se vogliamo davvero guardarci in faccia, dobbiamo chiamare col suo vero nome tanto il comportamento dei cristiani quanto ciò che i musulmani ne pensano: è ormai più una tradizione culturale che non una vera fede religiosa. Non sono le migliaia di turisti in piazza San Pietro a dare il polso della fede cristiana; non sono le funzioni natalizie gremite di fedeli a proclamare la religiosità dell’Europa. Quello che conta è il vissuto quotidiano, e questo vissuto è lontanissimo dal Vangelo, almeno a livello delle leggi e delle classi direttive. Chi è che difende davvero il cristianesimo?

A forza di «dialogo» non si sa più che cosa sia quello che ha detto Gesù; e senza Gesù - questo i musulmani lo sanno bene - sarà sufficiente dare qualche buona spallata qua e là, e il cristianesimo sarà ridotto presto all’angolo. Un bell’angolo di buone maniere, in cui tutti si vogliono bene, ma angolo. Questo «volersi tutti bene» è ciò che pensano e che vogliono i leader, tutti protesi alla mondializzazione e, di conseguenza, alla omogeneizzazione dei costumi, delle religioni, dei popoli.


Gesù, esempio di estrema carità

Ma non lo pensano i credenti. Non lo pensano perché non vogliono rinunciare ad essere e a sentirsi «uomini», con la propria intelligenza, la propria storia, la propria fede, la propria volontà. Dobbiamo davvero starci zitti nel vedere uccidere a tradimento cristiani innocenti che escono da una chiesa? […] Il problema, poi, esiste ormai in ogni Paese dove la maggioranza musulmana non tollera la presenza di cristiani: in Africa come in Oriente... La culla del cristianesimo è l’Europa. Per quanto esistano cristiani in tutti i continenti, è qui che si deve studiare una strategia e mettere a punto i mezzi per permettere ai cristiani di vivere la propria fede senza timore fisico, ma anche con la sicurezza intellettuale e morale della bellezza della propria fede. In che modo? Certamente i politici, se vogliono, possono trovare le soluzioni più adeguate, tanto a livello diplomatico quanto a livello militare per i diversi contesti, e non siamo noi a potergliele suggerire. Ma c’è un aspetto, forse il più importante, nel quale, invece, è l’opinione pubblica quella che conta. Questa deve essere aiutata ad esprimersi senza remore di nessun genere, senza la censura del politicamente corretto, visto che ai cristiani è stato comandato: «La vostra parola sia: sì, sì, no, no». Dobbiamo discutere di Gesù di Nazaret, di ciò che ha detto e che ha fatto, […] per sapere se vogliamo difendere la religione cristiana nella sua essenza e nella sua attualità. Soltanto se ci sarà una forte presa di posizione nei confronti del cristianesimo da parte dell’opinione pubblica europea e mondiale, sarà possibile mettere in atto gli strumenti politici per tutelare i cristiani in pericolo. Sappiamo già che l’Europa è contro questa strategia (abbiamo commentato pochi giorni fa il Diario europeo privo del Natale), ma questo atteggiamento ha potuto attecchire perché è stata propinata la «sottomissione» alla verità altrui fino alla nausea. Dare ragione agli altri è troppo facile.

(Ida Magli, Strage di cristiani. L’Europa tace - Il Giornale 02 gennaio 2011 - i grassetti sono nostri)

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