Tra i numerosi pregi della ricchissima e sfaccettata personalità di Plinio Corrêa de Oliveira, ne spicca una: il suo discernimento politico provvidenziale. Sui più svariati argomenti, egli fece innumerevoli pronostici e previsioni – che erano frequentemente grida di allerta o denunce opportune – sempre in difesa della Chiesa e della Civiltà Cristiana. Il corso della Storia si è man mano incaricato di confermare queste predizioni, riportate su libri o pubblicate sulle pagine del “Legionario” (1929-1947), e in seguito su Catolicismo (1951-1995), su “Folha de S. Paulo” (1968-1990) o altri quotidiani.
Ai contemporanei, molte di queste previsioni sembrarono talmente improbabili – e qualche volta persino strane – che il loro adempimento provocò un vero stupore a chi ne aveva preso conoscenza. E, con lo stupore, nasceva nelle anime rette un sentimento di legittima e calorosa ammirazione. […]
Nulla di più opportuno, dunque, che mostrare come pochi tra i nostri contemporanei hanno avuto come lui l’ampiezza di risorse naturali e soprannaturali – prodigategli dalla Provvidenza Divina – che lo resero degno della più giustificata ammirazione e adesione. (*)
Riportiamo qui un esempio:
Maometto rinasce
Quando studiamo la triste storia della caduta dell'impero dell'Occidente ci costa capire la miopia, la superficialità e la tranquillità dei romani davanti al pericolo che si veniva formando. Roma soffriva, per aggiungere agli altri mali, di un’inveterata abitudine di vincere. Ai loro piedi stavano le più gloriose nazioni dell'antichità, l'Egitto, la Grecia, tutta l'Asia. La ferocia dei Celti era definitivamente ammansita. Il Reno e il Danubio costituivano per l'Impero una splendida difesa naturale. Come mai aver paura che i barbari che vagavano nelle selve vergini dell'Europa centrale potessero esporre a serio pericolo una così immensa struttura politica?
Abituati a questa visione, i romani non hanno avuto la flessibilità di spirito per capire la situazione nuova che pian piano si stava creando. I barbari hanno scavalcato il Reno, hanno incominciato la loro invasione, davanti a loro la resistenza delle legioni romane era debole, indecisa, insufficiente. Però i romani continuavano a ignorare il pericolo, ossessionati da un lato dalla sete assorbente dei piaceri, e dall'altro illusi da quello che si potrebbe chiamare in una detestabile terminologia freudiana "un complesso di superiorità". È ciò che spiega il sopore mortale in cui si sono conservati fino alla fine. Anche se consideriamo dentro questo insieme il mistero dell'inerzia romana, il quadro ci sembra particolare e magari un po’ forzato. Lo capiremo meglio se consideriamo un altro grande mistero che si para davanti ai nostri occhi, dal quale siamo in un certo modo partecipi: la grande inerzia dell'Occidente cristiano di fronte alla rinascita del paganesimo afroasiatico.
L'argomento è troppo vasto per essere trattato in blocco. Basterà, per comprenderlo bene, considerare soltanto uno degli aspetti del fenomeno: il rinnovamento del mondo musulmano.
Ricordiamo rapidamente alcuni dati generali del problema. Come si sa, il mondo maomettano abbraccia una striscia territoriale che comincia in India, passa per l'Arabia e l'Asia minore, raggiunge l'Egitto e va a finire nell'Oceano Atlantico. La zona di influenza dell'Islam è immensa sotto tutti i punti di vista: territorio, popolazione, ricchezze naturali. Però fino a qualche tempo fa certi fattori inutilizzavano in maniera quasi completa tutto questo potere. Il legame che potrebbe unire i maomettani di tutto il mondo sarebbe, evidentemente, la religione del Profeta. Però questa si presentava divisa, debole, e totalmente sprovveduta di uomini notabili nelle sfere del pensiero, del comando, o dell'azione. Il maomettanismo vegetava e questo sembrava bastare perfettamente allo zelo degli alti dignitari dell'Islam. Lo stesso piacere per la stagnazione e per la vita semplicemente vegetativa era un male di cui anche era colpita la vita economica e politica dei popoli maomettani dell'Asia e dell'Africa.
Nessun uomo di valore, nessuna idea nuova, nessuna impresa veramente grande poteva affermarsi in questa atmosfera. Ogni nazione maomettana si chiudeva su se stessa, indifferente ad ogni cosa che non fosse il piacere tranquillo e piccolo della vita quotidiana. Così ognuno viveva in un mondo proprio, diversificato dagli altri dalle loro tradizioni storiche profondamente diverse, tutti separati dalla loro reciproca indifferenza, incapaci di capire, desiderare e realizzare un opera comune. In questo quadro religioso e politico così deprimente, lo sfruttamento delle ricchezze naturali del mondo maomettano, ricchezze che considerate nel suo insieme costituivano uno dei maggiori potenziali del globo, era manifestamente impossibile. Tutto, quindi, non era altro che rovina, disaggregazione e torpore.
Così l'Oriente trascinava i suoi giorni mentre l'Occidente arrivava allo zenit della sua prosperità. Dall'era vittoriana, un'atmosfera di giovinezza, di entusiasmo e di speranza soffiava nell'Europa e nell'America. I progressi della scienza avevano rinnovato gli aspetti materiali della vita occidentale. Le promesse della Rivoluzione trovavano credito e negli ultimi anni del XIX secolo vi erano coloro che aspettavano il XX secolo come l'età dell'oro dell'umanità. È chiaro che un occidentale messo in questo ambiente si rendeva conto profondamente dell'inerzia e dell'impotenza dell'Oriente. Parlargli della possibilità di rinascita del mondo maomettano gli sarebbe sembrato qualcosa di così irrealizzabile e anacronistico quanto il ritorno agli abbigliamenti, ai metodi di guerra, e alla mappa politica del medioevo.
Di questa illusione viviamo ancora oggi. E, come i romani, fiduciosi nel Mediterraneo che ci separa dal mondo islamico, non ci rendiamo conto che fenomeni nuovi ed estremamente gravi accadono nelle terre del Corano. È difficile abbracciare in una descrizione sintetica fenomeni così vasti e ricchi come questi. Però in modo generale si può dire che dopo la seconda guerra, tutto l'Oriente – e con questa espressione vogliamo significare in un senso molto ampio abbracciando nella sua totalità le zone di civiltà non cristiana dell'Asia e dell'Africa - ha cominciato a subire un fenomeno di reazione antieuropeo e molto pronunciato. Questa reazione aveva due aspetti un po’ contraddittori ma ambedue molto pericolosi per l'Occidente. Da una parte, le nazioni orientali cominciavano a soffrire con impazienza il giogo economico e militare dell'Occidente, manifestando un'aspirazione ogni volta più pronunciata per la sovranità piena, per la formazione di un potenziale economico indipendente e di grandi eserciti propri. È ovvio che questa aspirazione comportava una certa "occidentalizzazione", cioè l'adattamento della tecnica militare, industriale e agricola moderna, del sistema finanziario e bancario euroamericano, all'Asia ecc.. D'altra parte però questo risveglio patriottico provocava un rinnovamento dell'entusiasmo per le tradizioni, abitudini, culto, storia nazionali. È superfluo aggiungere che lo spettacolo degradante della corruzione e delle divisioni alla quale stava sottomesso il mondo occidentale favoriva lo stimolo all'odio contro l'Occidente. Da questo proveniva la formazione in tutto l'Oriente di un nuovo interesse per i vecchi idoli, di un "neopaganesimo" mille volte più combattivo, risoluto e dinamico che il paganesimo antico. Il Giappone è un tipico esempio, ultratipico forse, di tutto questo processo che tentiamo di descrivere. Il gruppo ideologico e politico che lo ha messo nella categoria di grande potenza e che ha avuto per lui l'ambizione del dominio del mondo è stato esattamente uno di quei gruppi neopagani ostinatamente attaccati ai vecchi concetti di divinità dell'imperatore ecc.
Ora, un fenomeno più lento, però non meno vigoroso di quello del Giappone, è accaduto in tutto il mondo Orientale. L'India, l'Egitto, la Persia, la Turchia, queste potenze possiamo dire si sentono orgogliose del loro passato, delle loro tradizioni, della loro cultura e desiderano conservare con zelo nello stesso tempo mostrandosi fieri delle loro ricchezze naturali, delle loro possibilità economiche e militari, e del progresso finanziario che stanno ottenendo. Giorno dopo giorno loro diventano più ricchi, costruiscono città dotate di un sistema governativo efficace, di una polizia bene attrezzata, di università strettamente pagane ma molto sviluppate, di scuole, ospedali, musei, tutto ciò che per noi significa in qualche modo potere del progresso materiale. Nelle loro casse l'oro si va accumulando. Oro significa possibilità di acquistare armamenti. E armamenti significano prestigio mondiale. È interessante osservare che l'esempio nazista ha impressionato fortemente l'Oriente. Se un grande paese come la Germania ha avuto un governo che ha lasciato il cristianesimo e non è rimasto rosso di vergogna di ritornare agli antichi idoli, cosa c'è di vergognoso nel fatto che un cinese o un arabo rimangano nelle loro religioni tradizionali?
Tutto ciò ha trasformato il mondo islamico e ha determinato in tutti i popoli maomettani, dall'India al Marocco, un sussulto che significa che il sonno millenario è finito. Il Pakistan – stato mussulmano indù alla vigilia dell'indipendenza – l'Iran, l'Iraq, la Turchia, l'Egitto sono i punti alti del movimento di risveglio islamico. Però nell'Algeria, nel Marocco, nella Tunisia, l'agitazione va in crescendo. Il nervo vitale dell'islamismo rivive in tutti questi popoli facendo rinascere in loro il senso dell'unità, la nozione dell'interesse comune, la preoccupazione della solidarietà e il piacere della vittoria.
Niente di questo è rimasto campato in aria. La Lega Araba, una confederazione vastissima di popoli musulmani raduna oggi tutto il mondo maomettano. È alla rovescia ciò che fu nel medioevo la Cristianità. La Lega Araba attua come un vasto blocco davanti alle nazioni non arabe, e fomenta in tutto il nord Africa l'insurrezione. L'evasione del gran muftì (Abd-el-Krim) è stata una chiara manifestazione della forza di questa Lega. La liberazione di Abd-el-Krim è più che questo, è un'affermazione del proposito deliberato in cui si trova la Lega di intervenire negli affari dell'Africa settentrionale, promuovendo l'indipendenza dell'Algeria, Tunisia e Marocco. È quello che abbiamo dimostrato nella sezione del giornale "7 giorni in rivista" dell'ultimo numero. Sarà necessario avere molto talento, molta perspicacia, delle informazioni eccezionalmente buone, per rendersi conto di ciò che significa questo pericolo?
(Plinio Corrêa de Oliveira - “Legionario”, Giugno 1947)
(*) Introduzione alla filiale raccolta intitolata “Plinio Corrêa de Oliveira: Previsões e Denúncias em defesa da Igreja e da Civilzação Cristã“, a cura di Juan Gonzalo Larrain Campbell – São Paulo, 13 Dicembre 2000.
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