giovedì 9 giugno 2011

Per contrastare un rimbombo mediatico che intendeva distorcere le parole del Sommo Pontefice

Congregazione per la dottrina della fede: nota sulla banalizzazione della sessualità a proposito di alcune letture di "Luce del mondo".



In occasione della pubblicazione del libro-intervista di Benedetto XVI, Luce del mondo, sono state diffuse diverse interpretazioni non corrette, che hanno generato confusione sulla posizione della Chiesa cattolica riguardo ad alcune questioni di morale sessuale. Il pensiero del Papa non di rado è stato strumentalizzato per scopi e interessi estranei al senso delle sue parole, che risulta evidente qualora si leggano interamente i capitoli dove si accenna alla sessualità umana. L’interesse del Santo Padre appare chiaro: ritrovare la grandezza del progetto di Dio sulla sessualità, evitandone la banalizzazione oggi diffusa.

Alcune interpretazioni hanno presentato le parole del Papa come affermazioni in contraddizione con la tradizione morale della Chiesa, ipotesi che taluni hanno salutato come una positiva svolta e altri hanno appreso con preoccupazione, come se si trattasse di una rottura con la dottrina sulla contraccezione e con l’atteggiamento ecclesiale nella lotta contro l’Aids. In realtà, le parole del Papa, che accennano in particolare ad un comportamento gravemente disordinato quale è la prostituzione (cfr. Luce del mondo, prima ristampa, novembre 2010, pp. 170-171), non sono una modifica della dottrina morale né della prassi pastorale della Chiesa.

Come risulta dalla lettura della pagina in questione, il Santo Padre non parla della morale coniugale e nemmeno della norma morale sulla contraccezione. Tale norma, tradizionale nella Chiesa, è stata ripresa in termini assai precisi da Paolo VI nel n. 14 dell’enciclica Humanae vitae, quando ha scritto che è "esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione". L’idea che dalle parole di Benedetto XVI si possa dedurre che in alcuni casi sia lecito ricorrere all’uso del profilattico per evitare gravidanze indesiderate è del tutto arbitraria e non risponde né alle sue parole né al suo pensiero. A questo riguardo il Papa propone invece vie umanamente e eticamente percorribili, per le quali i pastori sono chiamati a fare "di più e meglio" (Luce del mondo, p. 206), quelle cioè che rispettano integralmente il nesso inscindibile di significato unitivo e procreativo in ogni atto coniugale, mediante l’eventuale ricorso ai metodi di regolazione naturale della fecondità in vista di una procreazione responsabile.

Quanto poi alla pagina in questione, il Santo Padre si riferiva al caso completamente diverso della prostituzione, comportamento che la morale cristiana da sempre ha considerato gravemente immorale (cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 27; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2355). La raccomandazione di tutta la tradizione cristiana – e non solo di quella – nei confronti della prostituzione si può riassumere nelle parole di san Paolo: "Fuggite la fornicazione" (1 Corinzi, 6, 18). La prostituzione va dunque combattuta e gli enti assistenziali della Chiesa, della società civile e dello Stato devono adoperarsi per liberare le persone coinvolte.

A questo riguardo occorre rilevare che la situazione creatasi a causa dell’attuale diffusione dell’Aids in molte aree del mondo ha reso il problema della prostituzione ancora più drammatico. Chi sa di essere infetto dall’Hiv e quindi di poter trasmettere l’infezione, oltre al peccato grave contro il sesto comandamento ne commette anche uno contro il quinto, perché consapevolmente mette a serio rischio la vita di un’altra persona, con ripercussioni anche sulla salute pubblica. In proposito il Santo Padre afferma chiaramente che i profilattici non costituiscono "la soluzione autentica e morale" del problema dell’Aids e anche che "concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità", perché non si vuole affrontare lo smarrimento umano che sta alla base della trasmissione della pandemia. È innegabile peraltro che chi ricorre al profilattico per diminuire il rischio per la vita di un’altra persona intende ridurre il male connesso al suo agire sbagliato. In questo senso il Santo Padre rileva che il ricorso al profilattico "nell’intenzione di diminuire il pericolo di contagio, può rappresentare tuttavia un primo passo sulla strada che porta ad una sessualità diversamente vissuta, più umana". Si tratta di un’osservazione del tutto compatibile con l’altra affermazione del Santo Padre: "questo non è il modo vero e proprio per affrontare il male dell’Hiv".

Alcuni hanno interpretato le parole di Benedetto XVI ricorrendo alla teoria del cosiddetto "male minore". Questa teoria, tuttavia, è suscettibile di interpretazioni fuorvianti di matrice proporzionalista (cfr. Giovanni Paolo II, enciclica Veritatis splendor, nn. 75-77). Un’azione che è un male per il suo oggetto, anche se un male minore, non può essere lecitamente voluta. Il Santo Padre non ha detto che la prostituzione col ricorso al profilattico possa essere lecitamente scelta come male minore, come qualcuno ha sostenuto. La Chiesa insegna che la prostituzione è immorale e deve essere combattuta. Se qualcuno, ciononostante, praticando la prostituzione e inoltre essendo infetto dall’Hiv, si adopera per diminuire il pericolo di contagio anche mediante il ricorso al profilattico, ciò può costituire un primo passo nel rispetto della vita degli altri, anche se la malizia della prostituzione rimane in tutta la sua gravità. Tali valutazioni sono in linea con quanto la tradizione teologico-morale della Chiesa ha sostenuto anche in passato.

In conclusione, nella lotta contro l’Aids i membri e le istituzioni della Chiesa cattolica sappiano che occorre stare vicini alle persone, curando gli ammalati e formando tutti perché possano vivere l’astinenza prima del matrimonio e la fedeltà all’interno del patto coniugale. Al riguardo occorre anche denunciare quei comportamenti che banalizzano la sessualità, perché, come dice il Papa, proprio questi rappresentano la pericolosa ragione per cui tante persone nella sessualità non vedono più l’espressione del loro amore. "Perciò anche la lotta contro la banalizzazione della sessualità è parte del grande sforzo affinché la sessualità venga valutata positivamente e possa esercitare il suo effetto positivo sull’essere umano nella sua totalità" (Luce del mondo, p. 170).

(i grassetti sono nostri)


Battaglia del Crocefisso: vittoria contro la Rivoluzione

Con la sentenza della Grande Chambre di Strasburgo, il 18 marzo è stata scritta una bella pagina per l’Europa. Il verdetto ha un valore simbolico ben oltre il caso italiano. Basta pensare alle reazioni suscitate dalla prima sentenza a livello europeo e mondiale. La sentenza è una pagina di speranza non solo per i cristiani e per i credenti, ma per tutti i cittadini europei che sono preoccupati di non corrodere la grande tradizione maturata nei secoli e quindi la propria identità. Senza il crocifisso l’Europa non esisterebbe. Per questo la sentenza è anche una vittoria per l’Europa. I giudici, con grande saggezza, hanno riconosciuto che la cultura dei diritti dell’uomo ha radici nella civiltà cristiana. Non si può negare l’una senza mettere in pericolo l’altra.
Questa sentenza ha una profonda portata unificatrice tra i diversi popoli europei. Davanti ai rischio della messa in causa della propria identità più di venti Paesi hanno preso pubblicamente posizione a favore dell’Italia, per sostenere la presenza pubblica del simbolo del Cristo nello spazio pubblico europeo. […] Occorre essere grati a tutti Paesi e a tutte le persone che si sono impegnate con intelligenza e sensibilità per scrivere questa pagina che fa onore all’Europa, a cominciare dall’ambasciata d’Italia presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo con il suo ambasciatore Sergio Busetto e il co-agente, avvocato Nicola Lettieri. Emerge dalla sentenza un concetto positivo di rapporto Chiesa-Stato. La Corte non ha voluto imporre a tutti i Paesi una idea di “laicità" estranea alla maggioranza dei Paesi aderenti alla Convenzione dei Diritti dell’uomo di Strasburgo. La laicità non significa esclusione, far tabula rasa del sacro dalla sfera pubblica. Spazio pubblico non significa spazio vuoto. La storia ci insegna che uno spazio vuoto è destinato a essere velocemente occupato da ideologie distruttive. Sarebbe stato incomprensibile che un organismo europeo come la Corte, in un momento storico in cui si assiste al ritorno della religione sulla scena pubblica e delle Istituzioni europee, avesse compiuto un errore storico nel voler decidere contro l’esposizione del crocifisso che è espressione della fede religiosa, ma anche di una storia e di un’identità di un Paese. […] L’umanità ha urgente bisogno di un simbolo come il crocifisso, che – se autenticamente interpretato – è unico nel proporre il valore della riconciliazione; il rispetto dell’altro; la legge dell’amore fino al dono della vita; e in particolare é un segno di speranza per le tantissime persone che sono ferite dalla vita e che subiscono il potere del male e del dolore. Perché privare di una fonte di luce le persone che vivono nelle lacrime?

Monsignor Aldo Giordano,
rappresentante della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa

(Avvenire - 21 marzo 2011)



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