martedì 20 dicembre 2011

Il "crepuscolo" del Sole di Giustizia

Questo Natale segna, rispetto ai precedenti, l’aggravarsi di un fenomeno  che di per sé non dovrebbe esistere. Ma che, esistendo, dovrebbe perlomeno risparmiare la festa della Nascita del Salvatore. 



Mi riferisco alla scristianizzazione generalizzata delle mentalità, della cultura, delle relazioni, insomma della vita. In questo contesto, scristianizzazione significa propriamente paganizzazione. Poiché, man mano che si relega nell’ombra l’Uomo-Dio, il posto da Lui lasciato vuoto viene occupato da “valori” molto concreti e palpabili, ma che, a volte, sono glorificati come se fossero fulgide astrazioni: l’Economia, la Salute, il Sesso, la Macchina e tanti altri (le anacronistiche maiuscole servono a fare capire meglio il concetto che affermo). “Valori” materiali, ovviamente, enfatizzati da una propaganda orchestrata e satura di marxismo, di freudismo, di edonismo. 
Al contrario di ciò che accadeva nel mondo classico, questi “valori” non sono personificati in divinità e nemmeno concretizzati in statue. Il che non impedisce che siano dei veri idoli pagani del nostro infelice mondo scristianizzato. L’influenza del neo-paganesimo laicista va infiltrandosi sempre più nel Natale moderno. Un’infiltrazione graduale, ma perfettamente palese. In che modo? Non in un solo modo, ma simultaneamente in tutti i modi concepibili. A cominciare dall’Avvento. Questo periodo, che nell’anno liturgico abbraccia le quattro settimane antecedenti al Natale, costituiva per la Cristianità una parte dell’anno dedicata specialmente al raccoglimento, ad una discreta compunzione e alla palpitante speranza del grande giubilo derivante dalla nascita del Messia.


Tutti si preparavano così ad accogliere il Dio-Bambino che, nel verginale sacrario materno, si avvicinava, giorno dopo giorno, al momento benedetto in cui avrebbe cominciato la sua convivenza salvifica con gli uomini. 

In questa atmosfera religiosa vissuta intensamente, l’accento si spostava gradualmente. Man mano che si avvicinava la notte più sacra fra tutte le notti, la compunzione cedeva il posto all’allegria. Sino al momento in cui, nelle pompe festive della “Messa del Gallo”, le famiglie, i popoli, le nazioni si sentivano uniti dal sacrale giubilo disceso dal più alto dei Cieli, e in ogni città, in ogni focolare, nel foro interiore di ogni anima si diffondeva, come un balsamo di profumo celestiale, l’impressione che il Principe della Pace, il Dio Forte, il Leone di Giuda, l’Emanuele fosse ancora una volta appena nato.
“Stille Nacht, heilige Nacht” – Notte tranquilla, notte santa… è la celebre canzone che nel nostro vernacolo si traspose, in modo meno espressivo, come “Astro del ciel”. 
Di tutta questa preparazione, cosa è rimasto? All’Avvento chi ci pensa, se non una infima minoranza? E all’interno di questa minoranza, quanti lo fanno sotto l’influsso della vera teologia cattolica e tradizionale, e non delle teologie ambigue e dissennate che oggigiorno scuotono il mondo cristiano, come se fossero convulsioni febbrili?
Ma lasciamo da parte questa minoranza, e pensiamo alle folle che si agitano nelle grandi città. Da loro, l’Avvento puramente e semplicemente non è ricordato. Il corri-corri quotidiano continua, aggravato dalla prospettiva degli acquisti d’affrontare,  dei regali da mandare, delle visite da fare e delle feste o festicciole da organizzare. Insomma, tutti si avvicinano al Natale, non come una data per la quale si cammina con speranza, ma come un giorno affannoso, dispendioso e sotto certi aspetti anche complicato, che si avrà la soddisfazione di “lasciarsi alle spalle”.


È pur vero che nelle città, e forse più specialmente in quelle grandi, l’avvicinarsi del Natale è messo in evidenza da una moltitudine di lampadine colorate, sugli alberi nei giardini dei quartieri residenziali, da lunghe ghirlande di luci nei viali più trafficati, dagli addobbi nelle vetrine dei negozi. Tuttavia, non è difficile percepire che la peculiare allegria che tutto questo tende a suscitare, d’altronde tutta artificiale, proviene dal desiderio di comprare, di godere e di festeggiare. Tra tutte queste illuminazioni elettriche, nulla o quasi nulla ricorda il Messia che sta arrivando. Tutto ricorda, questo sì, l’economia ansiosa d’essere stimolata, il commercio che palpita per esaurire le scorte, l’industria che moltiplica i suoi prodotti (e i suoi guadagni) cercando di svuotare gli scaffali dei negozi con l’aumento del consumo. Insomma, è l’Idolo-Economia che diventa il grande centro delle aspettative, degli aneliti e delle festività natalizie di questa fine di secolo. Il dio Mammona. Lo Stomaco. La Materia. Gesù no!…

Finalmente arriva Natale. Riesce ancora a riunire le famiglie attorno a un presepio? A volte si. Però, in molti casi, li riunisce non attorno alla mangiatoia dove il Bambino-Dio apre le braccia verso Maria Santissima profondamente intenerita, sotto lo sguardo pensoso e gioiosamente raccolto di San Giuseppe. Ma attorno ad una mensa in cui le golosità, lo champagne per chi se lo può permettere, o le modeste bibite per chi non può, occupano le attenzioni che in altri tempi erano  rivolte fondamentalmente alla nascita del Redentore. In quante case, l’abbigliamento sempre più succinto e trasparente, espande una atmosfera di sensualità, sfigurando profondamente il significato di questa notte di insuperabile purezza.


Il neo-Natale laico ha ancora un altro aspetto, cioè il gorgo del turismo che strappa innumerevoli famiglie dalle loro case, le quali dovrebbero essere, come la Chiesa Madre, la cornice specifica della notte di Natale, e le disperde negli alberghi sia di mare che di montagna, in mezzo ad un frastuono mondano nel quale non riescono a penetrare le voci angeliche che cantano “Gloria in excelsis Deo”.

Ma la scristianizzazione non si ferma qui. Essa perseguita il Natale persino negli echi solenni con cui esso si prolunga nelle feste successive.
 

Il Capodanno, l’Epifania… La festa di Capodanno è, in termini religiosi, la festa della Circoncisione, che ricorda Nostro Signore Gesù Cristo, il quale mosso dall’amore nei confronti del genere umano, versa già nella Sua prima infanzia, gocce del Suo Sangue infinitamente prezioso a favore degli uomini. Così ci fa già pensare all’augusto Sacrificio che ci redimerà dal peccato, che ci strapperà dalla morte eterna aprendo il cammino verso il Cielo. 
Ebbene, su questa festa religiosa del Bambino-Dio si sovrappone la commemorazione sterile di una laicissima fraternizzazione universale dei popoli. Una fraternizzazione irrimediabilmente vuota, come tutto ciò che è laicista, e della quale sembrano farsi beffa cinicamente le muraglie di acciaio e di bambù che dividono i popoli, il terrorismo che li spaventa, il rischio della distruzione atomica che pesa su di loro come una nuvola plumbea e la sarabanda sempre più assordante degli antagonismi, degli odi, delle idee e degli interessi incompatibili e inconciliabili.
Insomma, quando il sole tramonta, i peggiori animali escono dalla tana e girovagano per la selva. Il laicismo presenta Gesù Cristo agli occhi del mondo come un sole alla fine del tramonto. C’è dunque da sorprendersi se tutto ciò che è nocivo si moltiplica e si diffonde negli antri dei cuori scristianizzati, delle città impazzite e delle moltitudini in cui il vizio e il crimine dilagano, moltiplicando a loro agio la nefandezza per la nefandezza?


Ma, qualcuno dirà, perché ricordare tutto ciò in questo contesto di allegria? Perché questo piagnucolio, nel momento in cui gli uomini anelano a ridere e festeggiare? Per protestare! E se questa protesta risuona come un piagnucolio per qualche udito ottenebrato dalla cacofonia moderna, il difetto non sta nella protesta. Il difetto è di chi sa sentire nella protesta solo ciò che essa non è: un piagnucolio. Il piagnucolio è pusillanime, esso indica sempre sconfitta e capitolazione. Mentre la protesta ispirata all’amore a Cristo, Re vincitore, ed a Maria, ut castrorum acies ordinata, si innalza con audacia in mezzo all’incomprensione. E questa protesta è un grido di riparazione, una proclamazione di non conformità, e ancor più, un preannuncio di vittoria!

(Plinio Corrêa de Oliveira – “Folha de São Paulo”, 1º Gennaio 1979)

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