mercoledì 14 novembre 2012

Case per l'anima, e non solo per il corpo

“Atelier”, quadro di Vermeer, famoso pittore olandese, del XVII secolo. Appartiene al Museo di Stato, a Vienna.

A nostro avviso, il titolo del quadro, per essere più esplicito, dovrebbe essere “Ambiente in un atelier”. Perché il vero “tour de force” dell’artista non consiste tanto nella descrizione degli elementi fisici dell’atelier - il pittore, la modella, il cavalletto, la tela, la mappa, il lampadario, la tenda, ecc. - ma nel rivivere l’ambiente così pieno di significato psicologico che si sprigiona dall’insieme di tutti questi elementi.

La sala è bassa, soprattutto se paragonata alle altre costruzioni di quel tempo. Infatti, se il pittore stesse in piedi sullo sgabello, potrebbe toccare il soffitto con la mano. L’impressione di poca altezza è messa in evidenza dal lampadario, di dimensioni non ridotte. La parete è pitturata semplicemente con un solo colore. Sembra spessa e semplice come in una dimora modesta e comune della piccola borghesia. Questa idea di forza, di stabilità e di semplicità quasi rustica viene accentuata dalle travi a vista nel tetto, scure, sobrie, del tutto comuni. Quel che si può avvertire dal  livello sociale dei personaggi – il pittore e la modella – conferma questa sensazione di piccola borghesia.

Questo và detto, è chiaro, in un senso ben diverso da quello usato dalla propaganda comunista, che presenta il piccolo borghese come un micro- bandito. In una società cristiana, al contrario, la piccola borghesia costituisce un valore prezioso e indispensabile. La sua vita ordinata, seria, semplice, ma dotata di una dignità fondamentalmente superiore a quella del lavoro manuale (il che non vuol dire che questo non sia pure degno, ecc. ecc., - mettiamolo in salvo per scongiurare i raggiri degli intriganti), rappresenta nella scala armonica dei valori un elemento di transizione indispensabile tra l’operaio e il borghese. La spensieratezza, la naturalità, l’intimità e il conforto fanno l’incanto proprio alla vita piccolo-borghese. Ed è ciò che si nota in questa sala. Essa costituisce un mondo chiuso. Al suo interno, l’uomo si sente in una atmosfera morale specifica, completamente diversa dalla strada, sulla quale forse si affaccia una finestra, ma che rimane psicologicamente a mille miglia dal pittore e dalla modella.


“Un ambiente chiuso”, sì, ma non un ambiente vuoto e senza vita. In esso penetrano molteplici chiarori di varie specie. Dalla finestra viene una luce splendida, che inonda la modella e si trasforma in una soave ed intelligente penombra presso al pittore. Il pavimento in marmo serve a moltiplicarla un po’ e dà a questo ambiente quasi povero un tocco gradevolmente contraddittorio, di ricchezza e distinzione.  Questa sensazione di ricchezza è accentuata da una tenda opulenta di un tessuto riccamente lavorato, e da una splendida mappa murale, che dà un’impressione di intellettualità e di ampiezza di orizzonti. Si direbbe che il talento e il lusso luccichino in questa penombra di semplicità, come la luce brilla con mille tonalità diverse (il viso della modella, la schiena del pittore, lo stivale della sua gamba destra, la mappa, il lampadario) nella meditativa e raccolta oscurità della sala. È la bellezza specifica di un ambiente di piccola borghesia, fortemente intellettualizzato, e un tanto agiato nelle risorse economiche.

Insomma, la sala possiede un ambiente. E l’anima umana ha bisogno di compartimenti chiusi nei quali possa sistemare degli ambienti fatti secondo le proprie necessità, così come il corpo ha bisogno di una casa e degli indumenti per non deperire.

Per contro, in molti architetti moderni si riscontra la tendenza ad ignorare questa imperiosa necessità dell’anima, costruendo case in cui l’uomo si sente come per la strada. Non vi è nulla di isolato, di raccolto, di tipico. Tutto è permeabile, anodino, volgare. E ovviamente non mancano poi gli arredatori per completare la loro opera.

Un esempio tipico di questa tendenza è la foto di questa cappella, tutta in vetro con colonne di legno, costruita in California da una setta protestante. Essa equivale, nell’arte sacra, agli edifici civili dalle grandi pareti di vetro, nei quali di cemento c’è solo il necessario per sopportare il peso dei diversi piani, e il tetto.

Niente raccoglimento, nessuna “ambientazione”. L’edificio ha la mera funzione fisica di proteggere dal freddo, dal vento o dal caldo. È talmente snudato di significato morale per gli uomini, quanto lo è un incubatoio per i rispettivi occupanti.

È chiaro che non censureremmo il fatto che in un  luogo dotato di uno splendido panorama, dove tutto invita al culto di Dio, si costruisse in via di eccezione una chiesa di vetro. Quindi, portando le cose all’estremo, riterremmo legittime persino le più larghe eccezioni. Sempre, però, in via di eccezione. Tuttavia, desiderare in modo sistematico che degli edifici del genere fossero frequenti in tutto il mondo, sembrerebbe proprio contrario a tutte le esigenze dell’anima umana.

Plinio Corrêa de Oliveira – Catolicismo, Novembre 1959

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