martedì 13 novembre 2012

Ci vogliono come una plebe tutta paura e istinti...

ma c'è una speranza...


Mentre infuriano le polemiche sul gay pride e sulle presunte “interferenze” della Chiesa su questioni di costume e di etica pubblica (il Papa stesso ha dovuto precisare, con uno splendido discorso ai giovani, che la Chiesa non è “sessuofobica” e non è un tribunale di proibizioni, ma è un grande “si” alla felicità), è uscita una sorprendente e inattesa apologia della Chiesa Cattolica sulla “Rivista di sessuologia”, che è il magazine ufficiale del Centro italiano di sessuologia. 

Perché un simile riconoscimento alla Chiesa da un ambiente scientifico, certamente laico? Azzardo una risposta: per l’ “infelicità” di questo tempo di falsa esuberanza, congestionata e obbligatoria. Perché è ormai una malattia sociale che non trova guarigione senza un abbraccio consolante, che dà senso al vivere e al morire. 

L’editoriale del direttore della rivista, Franco Avenia, parte dal diffuso clima ansiogeno in cui ci siamo abituati a vivere. Fa una rassegna delle nostre paure pubbliche e private. Una marea. Ne potremmo aggiungere molte altre. Ormai l’ansia è il nostro pane quotidiano, come rivela il continuo aumento del consumo di psicofarmaci. L’altro ieri “Il Venerdì di Repubblica” – per dire – ha dedicato la copertina proprio a “I nostri luoghi oscuri”. Cioè alla paura. Dai “grandi casi di cronaca agli intrighi politici, dai serial killer ai terroristi”. Il “Venerdi” è andato ad attingere a quell’industria letteraria della paura che è il giallo: James Ellroy, Stephen King e molti altri. Anche in Italia il genere giallo vive un clamoroso boom da dieci anni. 

In realtà però l’industria della paura non è solo letteraria, è molto più grande e pervasiva. I giornali e i media stessi ne fanno parte e non c’è solo la morbosa telenovela di Cogne: i quotidiani titoli dei tg grondano ansia e sangue, specialmente in estate. Ci sono poi potentissime lobby della paura come quelle ecologiste deputate ad annunciarci ogni giorno catastrofi angoscianti e la fine del mondo prossima ventura (sempre puntualmente rinviata): per farsi un’idea di questa colossale bufala consiglierei di leggere – a parte il monumentale volume di Lomborg, “L’ambientalista scettico” – il libro di Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari “Le bugie degli ambientalisti”. O il recente volume di Paul Driessen “Eco-imperialismo”, semplicemente impressionante. Poi ci sono gli allarmi sulla salute: quelli planetari come la mucca pazza, la Sars e la febbre aviaria o il bombardamento quotidiano su ciò che fa male, sui cibi adulterati, il fumo, lo stress e sulle malattie sempre incombenti, un bombardamento che ci ha trasformato in un esercito di ipocondriaci divoratori di medicine (ci sono pillole per qualsiasi cosa). 

Perché si vuole una società così ansiogena e angosciata? Un’ipotesi veramente intelligente è appunto quella di Avenia che segnala l’altra faccia della medaglia: “al diuturno tam-tam mediatico della paura fa da contrappeso, insospettabilmente, ma non involontariamente, il richiamo sessuale”. 

La stessa impaginazione dei giornali e dei programmi tv dosa notizie ansiogene-catastrofiche e immagini sexy. La pubblicità ne è piena. Il “caso letterario” dell’anno è il “demi-porno romanzo ‘Cento colpi di spazzola’ ”, amplificato da tv e cinema. Perché “il sesso fa vendere, il sesso spinge, ma soprattutto distoglie dalla paura, narcotizzando fino al prossimo telegiornale. Una continua altalena tra la morte e la vita, tra la punizione attesa ed il premio sospirato. Un sistema efficace di contrappesi che lascia scorrere in mezzo, in una sostanziale indifferenza, ogni menzogna, ogni nefandezza, ogni sopruso, sia esso sociale, economico o politico”. 

Avenia ricorda le “tre F (Forca, Farina e feste)” con cui un tempo si dominava sulle masse e le aggiorna oggi con le tre P, Paura, Pornografia e Pallone. E qui lo specialista fa questa considerazione: “Non può essere un caso che l’unica istituzione capace di dar sollievo morale alla sofferenza quanto alla consapevolezza della morte e di demitizzare il sesso, sia sempre di più attaccata ed in modo così feroce. La Chiesa Cattolica è fatta oggetto da tempo di una aggressività continua, un odio difficilmente comprensibile, che forse può essere spiegato solo con l’interesse a delegittimarla. Dovremmo seriamente interrogarci su tali fenomeni”. Il simbolo del momento infatti è “Il Codice da Vinci” che non a caso dosa furbamente tutti questi ingredienti: un po’ di giallo, un po’ di sesso e uno smandrappato anticattolicesimo. 

Voglio citare ancora un passo di questo intervento intelligente e anticonformista di Avenia, proprio perché nasce da un approccio medico-scientifico alle sofferenze sociali e alla questione della sessualità: “La Chiesa Cattolica, conforto per i più deboli e speranza nel dolore, elemento stabilizzante della società nei secoli, è ora temuta e avversata” nota Avenia “come capace di spezzare il vantaggioso equilibrio scovato a fondo delle nostre paure più radicate e degli impulsi più facilmente sollecitabili. Un equilibrio funzionale alla conservazione di poteri che hanno perso progressivamente autorità e l’hanno sostituita con uno strisciante, quanto sinistro autoritarismo”. 

Come appare dunque dal pasoliniano Palazzo, laggiù in basso, questa plebe variopinta che sarebbe il “popolo sovrano”? Come “una moltitudine tutta angosce ed istinti, facilmente influenzabile, governabile, spolpabile fino all’osso. Sono uomini e donne spaventati, drogati con un erotismo d’accatto, resi mansueti da chi sapientemente usa il bastone della paura e la carota del sesso”. Se infatti una volta Marx definiva la religione l’oppio dei popoli, “oggi a ben guardare è il sesso l’oppio della nostra società, contraltare ad uno sciame di paure liberate artatamente nell’etere e fatte posare, il giorno dopo, sulle pagine dei giornali”. 

Questo quadro descrive quantomeno come ci vogliono. Come i media rappresentano il Paese, anzi come cercano di plasmarlo. Un dominio che pretende di esprimersi perfino sui corpi oltreché sulle anime. Tutti, giornali e tv, sono omologati alla stessa monocultura: lo si è visto nel referendum dell’anno scorso, quando l’intero schieramento mediatico sponsorizzò questo tipo di sottocultura dell’ “io-istintivo” (tutto voglie e paure). Eppure in quel caso il Paese disse no. Avemmo un sussulto della testa e del cuore, del nostro vero io. Subito censurato e rimosso dai media. “Tutto cospira a tacere di noi/ un po’ come si tace un’onta/ forse un po’ come si tace/ una speranza ineffabile” (Rilke) 

Antonio Socci, Libero 18 giugno 2006 - I grassetti sono nostri

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