lunedì 28 aprile 2008

Divorzio e romanticismo

 
Perché, molte volte, il matrimonio si dissolve? Perché, oggi giorno, diminuisce spaventosamente il numero di matrimoni e l’amore libero si installa nei costumi?

Nell’articolo Divorzio e Romanticismo scritto per Catolicismo dell’Ottobre 1951, il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira esplicita magistralmente la causa predominante che conduce alla dissoluzione del vincolo coniugale: il sentimentalismo egoistico e romantico.


Nei compendi, si dice che questa scuola (romantica) è già morta. Evidentemente, questo è vero se si tratta di letteratura o di arte. Ma sarà ugualmente vero se si tratta della vita? I modi di essere e di sentire creati dal romanticismo saranno difatti interamente estranei agli abiti mentali ed affettivi dei nostri coetanei? In ciò che riguarda il matrimonio sarà proprio vero che il comportamento dell’uomo contemporaneo non si risenta di qualche influenza romantica?E quale relazione esiste tra questa influenza e il problema del divorzio?

Alla ricerca della “anima gemella”

Evochiamo innanzitutto alcuni tipi di “eroi“ ed “eroine” del romanticismo. L' “eroe” del genere “delicato” potrebbe essere immaginato come un giovane (a 50 anni ormai non vi è più nulla di meno romantico) gracile, pallido, dai lineamenti regolari, occhi grandi e malinconici persi nel vuoto dell’orizzonte, poeticamente trascurato nella pettinatura e nell’abbigliamento, dal petto ansimante di aspirazioni ardenti, indefinite, torturanti, ad una completa felicità affettiva. Tuttavia è un incompreso. In angoli inesplorati della sua personalità, ci sono orizzonti sublimi, ci sono aneliti indicibili che chiedono, cercano, implorano la comprensione di una “anima gemella”. Ci dovrebbe esistere nella vastità di questo mondo un essere fatto per capirlo. Lui lo cerca, perché così troverà la felicità … e vaga malinconico per la vita, finché lo incontrerà.

L’ “eroe del tipo terribile”

L’eroe romantico del tipo “terribile”, alquanto diverso nell’apparenza fisica, è identico, dal punto di vista morale, al modello già descritto: di virilità esuberante, di costituzione atletica, di bellezza un tanto cupa, secondo lo stile di qualche personaggio di Wagner, ricco, di buona situazione sociale, di immensa influenza, insomma tutto ciò che la vita può offrire … ma nel cuore ha una piaga : un affetto ardente, una delusione tremenda, una persuasione pesante e fredda tanto e quanto una lapide sepolcrale,che mai troverà in terra la corrispondenza affettiva di cui sogna il suo cuore.”

L’ “eroina”

Simmetricamente, si formò la figura della “eroina”, di cui non sarebbe difficile evocare due modelli caratteristici. Uno di questi è del genere“mignon”. Lei è un gingillino di delicatezza d’anima e di corpo. Qualsiasi dolore la fa piangere, qualsiasi graffio all’anima la fa soffrire. Ingenua come una bambina, porta in cuore un’immensa volontà di dedicarsi ed essere amata da qualcuno. Ha bisogno di protezione, poiché la sua fragilità è completa, e si rispecchia nella tenerezza del suo sguardo, nelle inflessioni armoniose della sua voce, nella finezza dei suoi lineamenti, nella delicatezza raffinata di tutta la sua costituzione.

L’altro modello sarebbe quello della “eroina” del genere “grande”. Una bellezza abbagliante, una statura e un portamento da regina, il centro naturale di tutte le attenzioni, di tutti gli omaggi, di tutte le dedicazioni, una presenza dominante e fatale. Nel cuore, ovviamente, una contrazione celata, una profonda amarezza, un grande ed occulto dolore . È l’amarezza di una delusione passata, la ricerca ansiosa e già senza speranze, di qualcuno che la capisca veramente. Ai suoi piedi, poeti, duchi, milionari gemono inutilmente. Il suo sguardo indifferente, altero, profondo e rattristato, cerca a distanza, in giro per la vita, quel che giammai incontrerà. È la felicità di un grande affetto, secondo le aspirazioni “elevatissime” e torturanti che le recano all’anima un segreto ed incessante versamento di sangue.

Matrimonio “di convenienza”

Forse i lettori sorrideranno. Non sembra ben vero che tutte queste cose sono già finite?Chi vede passare, nelle loro macchine di colore pimpante, il giovane o la giovane di questa era di scatti, di sport e di vitamine, non riterrà che siamo a chilometri dal romanticismo? Il giovane è robusto, allegro, sembra ben installato nella vita, pieno di senso pratico e di desiderio di vincere. La giovane è disinvolta, intraprendente, pratica, molte volte audace. Anche lei è allegra, si sente bene, e vuole “sfruttare” l’esistenza. Che cosa c’è in lei di comune con la dama del tipo lacrimoso che commuoveva i nostri nonni?

Non neghiamo che l’utilitarismo moderno ha creato un clima di maggior tolleranza per il matrimonio ispirato da motivi cinicamente finanziari. Non neghiamo che i calcoli concernenti la carriera, la posizione sociale, oggi influenzano molto più frequentemente i matrimoni che in altri tempi. Ma sbaglierebbe chi volesse in modo assoluto i numerosi esempi concreti che si potrebbero presentare in questo senso. A dispetto di tutto l’utilitarismo, il terreno riservato al “sentimento” continua molto considerevole. E, se analizziamo questo“sentimento”, vediamo che non è altro che un adattamento molto superficiale dei vecchi temi romantici.

Matrimoni “di affetto”

“La nostra era di democrazia non ammette più personaggi rimarchevoli ed eccezionali. L’”eroe” oggi è “popular guy”(ragazzo popolare)e la ragazza una “glamour girl” (ragazza affascinante). Intendiamoci, un “popular guy” come mille altri e pure una “glamour girl” come tante altre. La meccanicità dell’esistenza odierna li forza ad essere meno assidui dei loro antenati, nel vaneggiamento e nelle interminabili divagazioni. Tutto questo circoscrive in vari modi l’ambito delle effusioni immaginative e sentimentali. Però, fatte tutte queste riserve, ogni qualvolta loro si occupano di amore, si tratto dello stesso sentimentalismo sdolcinato, sono gli stessi aneliti vaghi, le stesse incomprensioni, le stesse affinità, gli stessi sussulti, le stesse crisi, le stesse ansie di felicità affettiva senza fine, e la cronica precarietà di tutte queste “felicità”. Non vogliamo fare qui uno studio psicologico della produzione letteraria e artistica più o meno di seconda classe che circola nel mondo. E che forma in effetti lo spirito di massa. E’ sufficiente che il nostro lettore abbia un po’ di senso della realtà che ad ogni momento lo circonda, per percepire quanto siano giuste le nostre osservazioni. Infatti, la grande maggioranza dei matrimoni realizzati per motivo affettivo si costruiscono oggi giorno su sentimenti assolutamente imbevuti di sentimentalismo romantico.

Il romantico vive “nelle nuvole”

Eccoci al problema. Se alcuni matrimoni vengono fatti per interesse, ed altri per affetto, e se quelli che sono fatti per affetto generalmente si fanno sotto l’ influsso del romanticismo, la questione della stabilità del convivio coniugale dipende dal sapere sino a che punto l’interesse o il romanticismo possono portare i coniugi a sopportarsi mutuamente.

Non parliamo dell’ interesse. L’argomento è fin troppo chiaro. Parliamo del romanticismo.
Prima di tutto, accentuiamo che il romanticismo è essenzialmente frivolo. Esso suppone volentieri le maggiori virtù nell' “eroina” o nell' “eroe”. Ma in fondo queste virtù pesano molto poco sulla bilancia, come fattore di sopravvivenza dell’affetto reciproco. Difatti, il sentimentalismo perdona generalmente, senza grande difficoltà, difetti morali reali, ingratitudini, ingiustizie, e persino tradimenti. Ma non perdona trivialità. Di modo che – per attingere il midollo della realtà occorre fare un esempio – una maniera ridicola di russare durante il sonno, l’alito pesante, qualsiasi altra piccola miseria umana insomma, può uccidere senza appello un sentimento romantico … che resisterebbe alle più gravi ragioni di lagnanza. Orala vita quotidiana è un tessuto di trivialità, e non c’è persona che nel convivio intimo non le ritenga più o meno difficili da sopportare. Perciò, è ormai banale parlare delle delusioni che vengono dopo la luna di miele. “Passato questo periodo”, mi disse una volta qualcuno, “ mia moglie non mi causò nessuna insoddisfazione ma mi colmò di delusioni” E siccome il romanticismo per essenza e per definizione è tutto fatto di illusioni, di affetti incontrollati e ipotetici riguarda persone esistenti soltanto nel mondo delle chimere, la conseguenza è che in poco tempo i sentimenti che erano l’unica base psicologica della stabilità di convivio coniugale si dissolvono.

“Ritornare alla realtà”

Naturalmente, una persona in queste condizioni non va al fondo delle cose, non percepisce quel che c’è di sostanzialmente irrealizzabile nei suoi aneliti, e giudica solamente che si è ingannata. Si è persuasa, quindi, che ancora può incontrare in qualcun altro la felicità che il matrimonio non le ha dato. Abituata a vivere solo ed esclusivamente per la propria felicità, abituata a vedere la felicità realizzata solo ed esclusivamente nella soddisfazione dei vaneggiamenti sentimentali, tale persona giudicherà la sua vita irrimediabilmente sciupata, se non si soddisferà in un altro modo. E giudicherà pure sciupata la vita di tutte le altre numerose persone che saranno cadute nello stesso “equivoco”. Donde il divorzio le sembrerà assolutamente necessario tanto quanto l’aria, il pane e l’acqua.

Ad una persona in questo stato d’animo, che impressione potrà causare una argomentazione seria contro il divorzio, rafforzata dal linguaggio freddo delle statistiche? Abituata a divagare, e non a pensare, questa persona detesta qualsiasi argomentazione, soprattutto quando è seria. Il linguaggio dei numeri le sembra ridicolo in una materia come questa. Parlarle della sociologia a proposito di matrimonio e di amore le si raffigura scioccante tanto quanto parlare dei temi più tecnici di botanica ad un poeta assorto nell’ammirare la bellezza di un fiore.

Si capisce, dunque, che la campagna antidivorzista, rigorosamente coerente in tutti i suoi argomenti, mira ad un bersaglio sbagliato nel cercare di convincere con argomenti basati sulla morale o sul bene del Paese, gente unicamente preoccupata di raggiungere la felicità individuale in un mondo di sogno e di chimera.

Sull’egoismo nulla si costruisce… specialmente la famiglia

E qui arriviamo alla fine. In ultima analisi, il romanticismo è soltanto egoismo. Il romantico non cerca altro che la sua propria felicità, e solo concepisce l’amore nella misura in cui “l’altro” sia lo strumento adeguato per renderlo felice. Questa felicità affettiva, lui la desidera in modo talmente esclusivo che, se darà libero corso al proprio sentimento, scavalcherà tutte le barriere della morale, sottostimerà ogni convenienza del bene comune, e soddisferà brutalmente i suoi istinti. Sull’egoismo nulla si costruisce … la famiglia meno ancora di qualsiasi altra cosa.

È necessario, dunque, sferrare una tremenda offensiva anti-romantica, per mostrare la sostanziale differenza che va dalla carità cristiana, tutta fatta di soprannaturale, di buon senso, di equilibrio di anima, di trionfo sulle irregolarità dell’immaginazione e dei sensi, tutta fatta di pietà e di ascesi infine, all’amore sensuale, egoistico, incontrollato, fatto di sentimentalismo romantico ancora tanto in voga. E’ falso immaginare che i veri sposi cristiani sono gli eroi da romanzo che per una felice coincidenza riuscirono a realizzare un matrimonio autentico, seguendo il Diritto Canonico, come un passo preliminare per soddisfare le loro passioni, ma che portano al talamo coniugale lo stesso stato d’animo, lo stesso egoismo, la stessa passione di una qualsiasi avventura amorosa.

Fin quando il concetto sentimentale-romantico influenzerà implicitamente o esplicitamente la mentalità dei nubendi, tutto il matrimonio sarà precario, perché sarà stato costruito sul terreno essenzialmente appiccicoso, volubile, vulcanico, dell’egoismo umano.


Si dice, di solito, che la famiglia è la base della società. I matrimoni nati dal sentimentalismo egoistico e romantico sono la base della Città del Demonio, in cui l’amore dell’uomo a se stesso è portato sino alla dimenticanza di Dio. I matrimoni nati dall’amore di Dio, e dall’amore soprannaturalmente santo al prossimo, sino alla dimenticanza di se stesso, sono l’unica base della Città di Dio“.

(Plinio Corrêa de Oliveira)


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