lunedì 11 gennaio 2010

Non si deve togliere il pane ai figli per darlo ai cani


Che dire di questa “facies”?


Una pelle orribilmente grossa e rugosa, una boccaccia volgare e smisuratamente squarciata, delle narici piatte, che non danno séguito a nessun naso, una peluria scarsa, senza bellezza, che dà vita ad una sorta di barba allo stesso tempo irsuta e povera. E fra tutta questa deformità, una certa somiglianza che ricorda l’uomo… una somiglianza terribilmente accentuata dagli occhi. Che occhi! A momenti sembrano pensierosi e carichi di una espressione malinconica. Ma se li si osserva in altri momenti, ci si raffigurano vuoti, blandi e senza alcun significato. È fatto così il regno animale. Dio mise in esso delle specie ammirabili, nelle quali l’uomo potesse vedere la sapienza, la grazia e la bontà di Colui che lo creò. Ma, nel contempo, ci lasciò vedere, in modo palese, tutta la rudezza della natura irrazionale esistente in esseri come questo.

Dalle specie ammirevoli ci eleviamo a Dio. Mentre, da quelle rozze, sentiamo meglio la nostra dignità naturale, capiamo sino in fondo la gerarchia che il Signore mise nell’Universo, e amando la nostra superiorità – propria dell’uomo – e la santa disuguaglianza del creato, ci eleviamo altresì al Creatore. Forse mai si sente tanto l’abisso che ci separa dal mondo animale, quanto nel contemplare, tra tutte le sue specie, proprio quella che più ci assomiglia!

Gli animali che Dio mise per la convivenza dell’uomo sono precisamente quelli in cui la rudezza naturale è celata da apparenze belle o persino splendide, come gli uccellini dalle piume brillanti o dai gorgheggi armoniosi, i gatti con pose eleganti e peli setosi, i cani dal portamento nobile o dall’aspetto imponente, i lulù  aggraziati, i pesci che sfoggiano veli graziosi nella placidità dei loro acquari.


Sono fattori di bellezza, di distrazione e di riposo nella nostra esistenza diaria. È perché Dio rispetta la nobiltà dell’uomo che, negli animali destinati a convivere con lui, velò con queste apparenze magnifiche, la rudezza naturale a tutti gli esseri non spirituali. Chiaramente, queste creature sono, per così dire, i fiori del regno animale, fatti per le nostre dimore come lo sono i fiori del regno vegetale. E secondo le regole della buona tradizione, vi sono modi ordinati affinché un uomo apprezzi i bei fiori e conviva con gli animali belli, senza tuttavia oltrepassare la giusta misura nel dedicare affetto a questi esseri o nel concedergli una intimità che si deve dare soltanto alle creature umane.


Gli animali, quindi, possono avere un loro posto nella sensibilità cristiana ben formata. Ma con limiti. Così come vi sono piante che servono per adornare la vita dell’uomo ed altre che hanno una rudezza incompatibile a questo fine, così pure succede con gli animali.

Una signora non si abbassa dalla sua condizione se guarda un fiore, se ne respira il profumo o lo usa per adornarsi. Ma si abbasserebbe se facesse  la stessa cosa con un cavolfiore e forse ancor peggio, a volte con un semplice cavolo. E per la stessa ragione l’uomo, al quale conviene tanto la convivenza del cane, non è stato creato per baciare il muso dei cani come chi bacia la moglie o la figlia; inoltre, non fu creato per l’intimità con le scimmie, i topi, i cinghiali e le giraffe. Tutta l’inferiorità della natura animale, evidente in questi esseri, è incompatibile con questa promiscuità con l’uomo.

E l’uomo si degrada quando fa sminuire in sé la naturale ripugnanza causata dall’intimità con queste creature, nelle quali la rudezza animale non fu celata da qualsiasi apparenza. Facendo scemare questa ripugnanza, l’uomo appanna il sentimento della propria superiorità e, per così dire, accetta ed assume in sé ciò che vi è di inferiore nel bruto.

Ecco uno stato d’animo assai frequente in un’epoca come la nostra, in cui tutti gli egualitarismi, anche quelli più degradanti, trovano un clima comprensivo.

“Non si deve dare ai cani il pane destinato ai figli” (Marco 7,27), avverte Nostro Signore e “nemmeno gettare perle ai porci” (Mat. 7,6).

Ed è proprio ciò che fa colui che, per uno stupido sentimentalismo di sfondo ugualitario, concede agli animali carezze ed intimità che l’ordine della Provvidenza ha riservato ai rapporti tra gli esseri umani.

(Plinio Corrêa de Oliveira – “Catolicismo”, Settembre 1957)



Speriamo non siano pro aborto…

Nessun commento:

Posta un commento