Certi studiosi dei fatti della preistoria presumono di poter ricostruire, basandosi su un semplice osso, l’intero scheletro di animali morti già da molti secoli. Non so se i tentativi di ricostruzione di corpi di animali antidiluviani, avendo come base soltanto un osso, siano accettati dagli scienziati più ponderati, e dubito molto che questi azzardati tentativi abbiano numerosi ammiratori. Tuttavia, siamo spesso tentati di imitare i ricercatori delle cose preistoriche, nel campo psicologico. Infatti, molte volte siamo tentati di ricomporre alla nostra vista un’intera mentalità, basandoci semplicemente su una frase o un detto. Così, ancorché non avessimo le narrative evangeliche che ci mostrano eloquentemente la sinuosità dell’intelligenza e del carattere di Pilato, potremmo avere un’idea alquanto certa della sua mentalità a partire dal suo immortale “quid est veritas?”.
Astraendo il profilo religioso del dialogo tra Nostro Signore e Ponzio Pilato, non possiamo non considerare la bellezza storica della scena riportata rapidamente nei Vangeli. Il colloquio tra l’innocente e il pretore romano, vittima della sua vigliaccheria, rappresenta il dialogo tra un’epoca che si estingueva, negli ultimi barlumi di una civiltà decadente, e un’altra epoca che nasceva nel sangue e nell’apparente infamia della Croce, ma che, dopo qualche qualche secolo, sarebbe sbocciata nella soave aurora di una dolce vittoria, portando agli uomini dissennati il dolce lenitivo di una dottrina di salvezza.
Il pretore romano è dipinto al vivo dal “quid est veritas?” con cui voleva confondere Nostro Signore. Il romano civilizzato, i cui sensi si erano già estasiati in tutti i piaceri di una società che viveva per il godimento, il romano istruito, la cui intelligenza irrequieta aveva percorso ansiosamente tutti i sistemi filosofici che degli scienziati mediocri esibivano nel mercato letterario di Roma, proprio come fanno gli stilisti quando usano i più recenti tessuti esotici giunti dall’Oriente, l’uomo sopraffatto dal piacere, incapace di svincolarsi dalla sua sensualità, la cui personalità naufragava in un mare-magno di dottrine confuse ed imperfette, nella rilassatezza dei suoi sensi insoddisfatti, il povero romano triste vittima della pestilenza di un’epoca quasi morente, esala attraverso il “quid est veritas?” tutta l’acrimonia di chi avverte attorno a sé nient’altro che le rovine causate dai deliri del proprio intelletto e dei propri sensi. E l’umile Nazzareno che trascorse una vita fatta di privazioni ed abnegazione, e che, nonostante fosse giovane, bello e florido, sarebbe morto per mano dei suoi aguzzini, sostenendo una verità di cui si proclamava l’incarnazione, rappresenta esattamente il polo opposto. Ecco il magnifico contrasto tra l’abisso impregnato di umidità, di tenebre e di freddo, e l’apice elevatissimo di una montagna piena di luce, di armonia e di bellezza.
Non vinse l’orgoglioso pretore. Il sibarita scettico che, tra l’ansia e l’indifferenza, aveva cercato infruttuosamente la verità, fu fragorosamente vinto dalla vittima umile, che asperse col sangue le sue proprie dottrine, e sostituì il sistema del dubbio e della negazione di Pilato per un criterio di affermazione e costruzione che, durante tanti secoli, l’umanità civilizzata ammirò! E la domanda dello scettico pretore fu ricordata dalla Chiesa - per interi secoli, ai popoli prosternati nelle cattedrali gotiche, durante la Settimana Santa - come il grido di insensatezza e disperazione di una civiltà prossima al naufragio.
Il “quid est veritas?” di Pilato, pronunciato nell’agonia della civiltà romana, equivale al “vicisti tandem, Galilaeu, vicisti” [infine vincesti, Galileo, vincesti], che Giuliano, l’Apostata, al morire lasciò al mondo, come un ultimo sfogo di un cuore ribelle. Entrambi sono grida di rivolta e di disperazione, di fronte alla vittoria della Verità, che sarebbe sorta.
Ma il grido di Pilato non fu scandito senza eco. Oggi, si ripercuote di nuovo nella nostra società neo paganizzata, nel nostro mondo restituito agli orrori di uno scientismo sfrenato, ridotto quasi esclusivamente a dottrine fallite ed esplorazioni scientifiche. Quando osserviamo lo stato attuale della scienza, proprio come può considerarla uno scettico, ci fa ricordare inavvertitamente le nostre foreste vergini. Infatti, la vegetazione è talmente lussureggiante, sono tanti i parassiti, le liane, le piante di ogni sorta, è talmente pazzesco il groviglio delle reti verdi formate dalle piante rampicanti che, a prima vista, in certi punti, è difficile scoprire gli alberi rigogliosi che, come un’impeccabile linea retta, riescano ad elevare più in alto le loro fronde verdeggianti.
Capita lo stesso anche nel mondo scientifico moderno. Tale è lo scontro delle dottrine, tale la confusione dei sistemi, tali le contraddizioni tra le scoperte di oggi e le leggi sino a ieri ritenute vere, che l’albero retto e frondoso della Verità, la magnifica sequoia degli insegnamenti eterni, che resistono ad ogni esame e sono superiori a tutti i parassiti scientifici, è difficile da identificare. Ma, perché nella nostra epoca esiste una vegetazione nociva che cerca di nascondere la verità? Perché ci sono tanti sconfitti, tanti individui che considerano la verità come una bolla di sapone che, appena la si tiene in mano per esaminarla, sparisce? A causa della neo paganizzazione dell’uomo. A causa della ribellione della propria ragione contro la Rivelazione, che la logica nel contempo ci impegna ad accettare. A causa, principalmente, dell’orgoglio e della sregolatezza dei sensi, in rivolta contro ogni freno ed ogni legge.
Poco tempo fa abbiamo avuto una manifestazione patente di ciò che abbiamo appena affermato. Un illustre scienziato, il Dott. Franco da Rocha, nel pubblicare un libro sulla psicanalisi, ripete e avvalla l’esclamazione di Pilato. Ma quel che spaventa di più è il fatto che un notevole giornalista, il Dott. Plinio Barreto, commentando il libro del suddetto scrittore, non solo approva, come pure rafforza, con l’autorevolezza, d’altronde indiscutibile in merito, di Anatole e di Loy, il grido multisecolare di Ponzio Pilato.
Dunque, si studia, ci si sforza per acquisire conoscenze svariate e notevoli, per arrivare infine al fallimento totale dell’intelligenza umana dinanzi ai problemi più immediati della vita! Ma è sano, questo, in materia di logica? Inoltre, se l’intelligenza è incapace di percepire qualsiasi verità, è doveroso confessare che, ancor quando si tratta di affermare la relatività di ogni conoscenza, l’intelligenza è sospetta. Quindi, anche per coloro che volessero dichiarare il fallimento dello spirito in cerca di verità, non c’è nulla di meno logico della metafora proposta da Anatole, di un disco con diversi colori, che rappresenta le diverse verità, e che, girando, produce il fenomeno di sovrapposizione dei colori, risultandone una “verità bianca”, come sovrapposizione di tutte le verità. Dire che la verità può consistere nella sovrapposizione di taluni concetti contraddittori è un insulto al buon senso. In questo modo, due persone che affermassero, una sì e l’altra no, l’esistenza di un gioiello in una stanza, potrebbero raggiungere la verità reale… “sovrapponendo” entrambi i concetti!!!
Tanto meno è assurda l’allegoria del Dott. Loy. Secondo questi, la verità è come un sole dinanzi alla quale è stato posto un prisma. La decomposizione dei raggi solari in un prisma farebbe sì che, in ogni regione del globo terrestre la verità apparisse con un certo colore. Se stessimo al dire del suddetto signore, l’aritmetica in India sarebbe una, nella Groenlandia un’altra, una ancora in Giappone e un’altra in Ungheria. Eppure, non ci risulta questo fatto, peraltro davvero singolare.
Dobbiamo concludere con malinconia le nostre modeste ponderazioni. Vediamo che il neo-paganesimo dei nostri giorni si è infiltrato nella scienza in tal modo che il buon senso viene imbrattato e che le stesse nozioni più elementari sono altezzosamente negate da persone di incontestabile notorietà e di valore intellettuale. Infatti, non poteva essere altrimenti! I filosofi del secolo XVII negarono la Fede cattolica in nome della ragione, il quale culto la Rivoluzione Francese volle impiantare. L’evoluzione di questo stesso movimento rivoluzionario fece in modo che si finisse col negare la ragione stessa, restando così… le macerie, cioè quel che vediamo ovunque.
(Plinio Corrêa de Oliveira - “O Legionario”, nº 64, Agosto 1930)
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