venerdì 2 aprile 2010

La vera gloria nasce solo dal dolore

Da lontano, la folla guarda, con la solita ammirazione, una parata dei granatieri della Regina in tenuta di gala.



Da tempo, la tattica militare ha reso inutile tenute come queste: pantaloni neri, dolman rossi con cinturoni ornati di bianco, guanti bianchi, grande cappello di pelo. Ma esse si conservano per gli effetti morali, cioè per mantenere la tradizione e far vedere al popolo lo splendore della vita militare.

La gloria, in effetti, deve essere espressa per mezzo di simboli. Di questi si serve Dio per manifestare agli uomini la Sua grandezza. E in ciò, come d'altronde in tutto, dobbiamo imitare Dio. La divisa dei granatieri, la sua marcia impeccabilmente ritmata e allineata, l'orgoglio con cui il portabandiera conduce l'insegna e il picchetto indica la direzione della marcia, il rullare dei tamburi e il suono delle trombe, tutto esprime la bellezza morale inerente alla vita militare: elevazione di sentimenti, abnegazione fino a versare il sangue, forza nell'avanzare, nel riuscire e nel vincere, disciplina, serietà, eroismo insomma. C’è gloria, e vera gloria, che brilla in tutto questo ambiente.


Ma è questa, in sostanza, la gloria? Essa consiste per caso nell'indossare uniformi anacronistiche, nell'eseguire manovre che non hanno più rapporto con la battaglia moderna, nel rullare dei tamburi, suonare trombe e calpestare in modo energico il suolo per dare a sé, e per creare negli altri, l'impressione che si è eroi? Nell'avanzare "con coraggio" in un terreno senza ostacoli né rischi, come di chi va contro un nemico assente, guadagnando come premio gli applausi inebrianti della folla? Sarebbe questa la gloria? Oppure teatro, rappresentazione, operetta?


Nella seconda illustrazione si trova l'altra faccia della gloria militare. Immerso totalmente nella tragedia del combattimento armato questo giovane soldato della Guerra di Corea sembra non avere più un'età definita. Della giovinezza ha soltanto la robustezza. Ma il rigoglio, il fulgore, la freschezza si sono eclissati. La sua pelle, avvizzita dagli interminabili giorni di sole, dalle intere notti di vento e di tempesta, sembra aver preso una consistenza non molto diversa da quella del cuoio.

Nell'abbigliamento, neanche la più piccola preoccupazione per l'eleganza: tutto vi è disposto in modo da proteggere contro l’inclemenza del clima e permettere movimenti disinvolti e agili nel fango, nella foresta, nelle scarpate, sotto l'azione incessante dei bombardamenti.

La lotta, la resistenza e l'avanzata sono gli obiettivi verso cui tutto in questo uomo è orientato. Da parecchio tempo, la sua fisionomia non è illuminata dal sorriso. Il suo sguardo sembra immobilizzato nella continua vigilanza contro gli uomini e gli elementi. In lui non vi è preoccupazione né per i grandi slanci, né per i gesti teatrali. Egli bada alle banalità della vera e propria vita quotidiana in guerra. Non vuole rappresentare per sé o per altri un gran ruolo, ma vuole la vittoria di una grande causa. È ciò che spiega la sua serietà, dignità, forza di resistenza. Egli è gravato nel suo intimo da una gran fatica e da un gran dolore. Ma da una fatica minore della inflessibile resistenza d'anima e di corpo, che la supera e la vince. Un dolore coscientemente sentito e accertato fino agli estremi limiti e conseguenze, per amore della causa per cui lotta.

Questa è la faccia dolorosa e forse tragica della vita militare. In questo si trova il suo merito, è da questo che nasce la gloria. Tenute appariscenti, arme scintillanti, marce ritmate, sfilate vistose, trombe e tamburi, applausi senza fine del pubblico in deliro; tutto ciò sono esteriorità legittime, addirittura necessarie, nella misura in cui esprimono un desiderio di lotta e sacrificio per il bene comune. Ma tutto ciò non sarebbe altro che operetta se questo coraggio non fosse autentico e provato, come d'altronde lo è nel caso dei granatieri della Regina Elisabetta.


Certo, queste sono considerazioni di ordine morale. In esse possiamo, però, cogliere lo spunto per alzarci ad un livello più elevato. La vita della Chiesa e la vita spirituale di ogni fedele sono una lotta continua. A volte, Dio concede alla sua Sposa giorni di grandezza splendida, visibile e tangibile. Egli dà alle anime momenti di ammirevole consolazione interiore o esteriore. Ma la vera gloria della Chiesa e dei fedeli viene dalla sofferenza e dalla lotta. Lotta arida, senza bellezza sensibile né poesia definibile. Lotta in cui si avanza talora nella notte dell'anonimato, nel fango del disinteresse e dell'incomprensione, sotto la bufera, i bombardamenti scatenati dalle forze congiunte del demonio, del mondo e della carne. Una lotta che riempie di ammirazione gli Angeli del Cielo e attira la benedizione di Dio.

(Plinio Correa de Oliveira - trascritto da “Catolicismo”, Giugno 1957, www.catolicismo.com.br)

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