domenica 23 luglio 2017

"In difesa della A.C." - PRIMA PARTE, Cap.III

Previsioni del nostro Fondatore
contro gli errori del progressismo 
che dilagano sino ad oggi

PRIMA PARTE

CAPITOLO III

La vera natura del mandato dell’Azione Cattolica

Vi è una differenza essenziale tra il mandato conferito da Nostro Signore alla Gerarchia e quello conferito dalla Gerarchia all’A. C.

Come abbiamo visto nei capitoli anteriori, il mandato ricevuto dall’Azione Cattolica non genera nessuna differenza tra la sua essenza giuridica e quella delle altre organizzazioni di apostolato. A questo punto spetterebbe una domanda: allora non esisterebbe pure nessuna differenza sostanziale tra il mandato indiscutibile dato da Dio alla Gerarchia e l’attività svolta dai fedeli?


In che cosa questa differenza non risulta

Ovviamente, esiste un'immensa differenza tra una cosa e l’altra, ma sarebbe un grave errore immaginare che questa differenza decorra per intero dal fatto che la Gerarchia abbia ricevuto una missione imperativa mentre i fedeli svolgono per lo più un'azione di consiglio. Infatti, se il carattere imperativo fosse la nota distintiva dell’apostolato gerarchico, ogni qualsiasi apostolato esercitato per mezzo di un mandato sarebbe gerarchico. In questo caso, si potrebbe affermare che una Religiosa che agisce per mandato della sua Superiora, obbligata in nome della santa obbedienza, starebbe svolgendo una azione gerarchica. Orbene, ciò non accade, e nessun commendatore di Diritto Canonico oserebbe affermarlo.
Caratteristiche del mandato ricevuto dalla Gerarchia

Quel che rende differente il mandato gerarchico dagli altri mandati è la fonte immediata, la natura e l’estensione dei poteri imposti. E il fatto curioso è che non possiamo omettere qui la circostanza secondo cui l’importanza di questo mandato risiede pure, in molto ampia scala, nel suo carattere esclusivo. Volendo elargire a tutto il genere umano la distribuzione dei frutti della Redenzione, il Divino Redentore deliberò che di questo compito fossero incaricati i Dodici e i loro successori. E lo fece in tal modo che  il compito appartenesse esclusivamente a loro, in maniera che nessuno potesse richiamarlo a sé, o semplicemente collaborare in esso, senza il consenso, la dipendenza o l'unione con loro.
Da qui decorre che solo la Sacra Gerarchia è distributrice dei frutti della Redenzione, che in nessuna altra chiesa, setta o scuola è possibile trovare. Ed è su questa verità che si fonda l’affermazione, che in tutte l'autenticità dei nostri cuori di fedeli dobbiamo riverire ed amare: fuori dalla Chiesa non c’è salvezza.
È su questa verità pure che si basa il principio secondo il quale ogni attività apostolica svolta dai fedeli è potenzialmente collocata sotto la piena direzione della Gerarchia, che può richiamare a sé, nella misura in cui meglio intenda, qualsiasi potere, o la totalità dei poteri di direzione, sino agli ultimi dettagli di esecuzione, di qualsiasi opera di apostolato privato, alla quale fosse data, con un semplice permesso di funzionare, una piena autonomia. Non si può concepire ne ammettere, nella Santa Chiesa, un’opera fondata in virtù di un preteso diritto naturale dei fedeli che darebbe a questi la più ampia facoltà di agire nel campo dell'apostolato, come ben intendessero, senza l’interferenza della Santa Chiesa, purché non insegnassero l’errore o praticassero il male.
In che senso la Gerarchia può utilizzare dei collaboratori?

Dicendo che questa opera appartiene, per divina imposizione, alla Gerarchia e soltanto ad essa, facciamo alcune affermazioni che è bene esplicitare :
1) questa missione - serbati i diritti di Dio, e considerati solo i rapporti della Gerarchia coi terzi - è una proprietà della Gerarchia, la quale esercita su di essa la pienezza dei poteri che ha un signore sulla cosa posseduta; 
2) soltanto la Gerarchia ha questa proprietà;
3) si intende la parola “soltanto” nel senso che spetta alla Gerarchia, e unicamente ad essa, l’iniziativa e la realizzazione dell’incarico, come soltanto al proprietario di un terreno spetta l’iniziativa e il diritto di piantare e sfruttare il terreno;
4) l’espressione “soltanto” include, tuttavia, nel caso concreto della Gerarchia, un significato in più, che non è necessariamente inerente al diritto di proprietà: - i diritti della Gerarchia appartengono in tal modo ad essa, che sono inalienabili, il che non accade con il comune diritto di proprietà;
5) d'altra parte, questo “soltanto” non esclude la possibilità che la Gerarchia ricorra ad elementi estranei ad essa, per gli incarichi esecutivi di una parte del suo compito, precisamente come - senza alienazione o rinuncia al diritto di proprietà - il signore può impiegare le braccia di terzi per la coltivazione del campo; oppure come un pittore che assume l'accordo di confezionare un determinato  lavoro, non cesserebbe di essere il suo autore qualora incaricasse altre persone per certi compiti secondari, come la miscela delle tinte od anche dipingere delle figure meramente circostanziali e di nessuna importanza, riservando a sé l’immediata direzione di tutta l'opera;
6) - così, la distinzione tra il lavoro gerarchico e il lavoro della persona estranea alla Gerarchia si consolida e definisce con tutta la chiarezza.
In che senso l’Azione Cattolica può collaborare con la Gerarchia?

Applichiamo questa nozione a un’altro ambito, ed essa si farà più chiara. Un professore ha in classe, per un diritto proprio, inerente alla carica che svolge, la funzione di insegnare. Ciononostante, per perfezionare ulteriormente il suo lavoro, può incaricare certi alunni di schiarire i dubbi dei colleghi, per mezzo di circoli di studio, “seminari” oppure spiegazioni pubbliche fatte in classe. La situazione dell’alunno, non smette, per questo, di essere sostanzialmente identica a quelle degli altri colleghi, sia dinanzi ad essi, sia nei confronti del professore:
1) il professore esercita il magistero, cioè gli spetta definire e promulgare la dottrina,  mentre che l’alunno ripetitore, mentre insegna ciò che aveva imparato, è un mero veicolo, benché ufficiale, ma un mero veicolo di una dottrina altrui, a confronto della quale egli stesso è un discepolo;
2) perciò, l'alunno è in tutto uguale ai suoi colleghi, e tutti in una posizione di inferiorità in rapporto al maestro;
3) mentre l’autorità del professore è autonoma, l’alunno ripetitore svolge le sue attività sotto la direzione di una terza persona.

Caratteristiche del mandato dei laici

Basta applicare questo esempio al problema dei rapporti tra la Gerarchia e i laici, perché l’argomento si chiarisca. Infatti, Dio ha dato alla Gerarchia un incarico analogo a quello che i genitori danno al professore: - La Gerarchia assegna ai laici un incarico analogo a quello che il professore assegna all’alunno ripetitore.

Esistono nella Chiesa mandati oltre a quello che la Gerarchia ha ricevuto?

È al mandato concesso dal Divino Redentore - il più augusto e grave dei mandati - che la terminologia ecclesiastica ha riservato per eccellenza alla designazione di mandato. E in questo specialissimo significato, unicamente la Gerarchia possiede il mandato. Ma, utilizzato il termine nel senso etimologico di “ordine imperativo”, è ovvio che anche la Gerarchia può assegnare dei mandati, e che, in certi casi particolari, Dio da direttamente a certe persone un ordine o mandato di fare apostolato. È ciò che abbiamo visto quando menzionavamo l’obbligo morale, di cui Dio è l'Autore, e che impone certi atti di apostolato (genitori, insegnanti, padroni, ecc.).
D'altronde, sebbene questo mandato diretto abbia Dio per Autore, deve essere esercitato sotto la direzione, autorità e cura della Gerarchia. Quindi, alla domanda: “l'A.C. ha un mandato”, rispondiamo: 
1) si, se per mandato intendiamo un impegno di apostolato imposto dalla Gerarchia;
2) no, se per mandato si intende che l'A. C. è comunque un elemento integrante della Gerarchia e di conseguenza partecipa al mandato direttamente e immediatamente imposto da Nostro Signore alla Gerarchia.
Per una buona comprensione di tutto ciò che è stato esposto sul problema di “mandato”, l’esatta intellezione del significato di questo termine è di capitale importanza. Difatti, vi sono due distinzioni fondamentali, che devono essere stabilite.
Il grande Mandato gerarchico – i diversi mandati dei sudditi:

a) in che cosa sono uguali

1ª distinzione – Vi sono due significati per il termine “mandato”. Uno, è quello generico che indica l'ordine imperativo della legittima autorità al suddito. L’altro, è il significato ristrettissimo del mandato che Nostro Signore diede alla Gerarchia. Come è facile vedere, vi sono mille mandati possibili, sia nell’ordine civile che in quello ecclesiastico. Un signore che impone un incarico al suo servitore gli da un mandato o un comando. Una Superiora che da un ordine a una Religiosa, le impone un mandato o un comando. Anche Nostro Signore impose alla Gerarchia un mandato o comando, cioè, gli diede l’obbligo di esercitare i poteri che gli aveva conferito.
Da qui si presenta una considerazione importantissima. Un conto sono i poteri che Nostro Signore conferì alla Gerarchia, e un conto è il “comandamento”, l’obbligo o il “mandato” che gli impose, di esercitare quei poteri. Siccome l’atto stesso di comunicazione di poteri fu imperativo, gli si da il nome di mandato. Ma la natura e l’estensione dei poteri non ha nulla a che vedere, in sé stessa, con la forma imperativa del dovere di esercitarli. Dunque, due mandati conferiti dallo stesso signore allo stesso servo possono conferire dei poteri molti differenti.

b) in che cosa si differenziano

2ª distinzione – Il comandamento imposto da Nostro Signore alla Gerarchia è un comando. Il comandamento imposto dalla Gerarchia all'A.C. come d’altronde anche ad altre organizzazioni, è un comando. Ma non per questo si deve immaginare che ci sia una identità sostanziale dei diritti comunicati in uno e nell’altro caso.
La Chiesa ordina che i presidenti di ogni Congregazione mariana governino i Congregati Mariani, che le Federazioni Mariane esercitino una certa autorità generale sulle Congregazioni Mariane e via dicendo. Ma questo atto imperativo, comandamento o mandato, non comunica ai Presidenti di Congregazione, ecc. ecc., qualsiasi potere intrinsecamente partecipe del potere gerarchico della Chiesa.
Quindi, confondere sostanzialmente il Mandato per eccellenza, della Gerarchia, con gli altri mandati esistenti nella Santa Chiesa, è in effetti praticare il sofisma chiamato “anfibologia”, con il quale si danno due sensi diversi alla stessa parola e si passa gratuitamente da un senso all’altro.
Quanto ai poteri dei Presidenti dell’Azione Cattolica, di Congregazione  Mariana, ecc., forse è importante fare anche qualche chiarimento.

I dirigenti dell'A. C. hanno indubbiamente un'autorità: non si può pretendere che questa autorità sia di una sostanza identica a quella della Gerarchia

L'A. C. ha un'autorità effettiva sui suoi membri e, ancor più, sui terzi, in quel che dice riguardo alla realizzazione dei suoi fini. Essa fu incaricata di un compito di collaborazione strumentale per la Gerarchia, e, quindi, coloro che la dirigono secondo le intenzioni della Gerarchia, lo fanno per autorità di questa. E tanto i membri dell'A. C. quanto i terzi non possono trasgredire l’autorità dei dirigenti dell'A. C. senza, implicitamente, colpire l’autorità della Gerarchia. Ciò significa che l'A. C. si incorpora nella Gerarchia? No. L'A. C svolge una funzione di suddita, precisamente come il capo di un gruppo di operai, che nelle sue attività nella proprietà del padrone dirige i lavoratori, e non può essere disturbato - né da questi, ne da terzi - nell’esercizio della sua autorità. Ciò non vuol dire che egli partecipi al diritto di proprietà, bensì che agisce in virtù dell’autorità del padrone.
La stessa cosa che si dice dell’A. C va detta pure dei dirigenti di qualsiasi altra opera ordinata dalla Chiesa, come ad esempio l'“Opera di Preservazione della Fede” ordinata da Leone XIII.
Come abbiamo visto, la trasgressione dei poteri del collaboratore strumentale sarà tanto più grave quanto più categorica e solenne sarà la manifestazione della volontà del signore. Di conseguenza, è meno grave trasgredire l’autorità di coloro che agiscono per mero consiglio. Ma anche in questo caso vi è una trasgressione dell'autorità. Dunque, nessuno, tranne la Gerarchia stessa, può legittimamente impedire un Presidente di Congregazione di governare il suo sodalizio, proprio come accade nell'A. C. I membri del sodalizio che gli si insorgeranno, insorgeranno “ipso facto” contro la Gerarchia. E i terzi che porranno ostacoli alla legittima attività di una Congregazione, Terz'Ordine, ecc., insorgono, in ultima analisi, contro la Gerarchia stessa. La differenza risiede soltanto nel fatto che, sempre che l’opera di una Associazione religiosa sarà semplicemente consigliata o permessa, la trasgressione sarà meno grave di quando viene ordinata.
Riassunto generale dei capitoli precedenti

Alla vista di questi chiarimenti complementari, e riassumendo in alcuni punti tutte le conclusioni degli ultimi capitoli, abbiamo quanto segue :
1) - Mandato è ogni qualsiasi ordine imposto legittimamente da un superiore a un suddito;
2) - In questo senso generico  corrisponde a un mandato sia l’incarico che Nostro Signore impose alla Gerarchia, sia il mandato che la Gerarchia ha imposto all'A. C., similmente ai numerosi e solenni mandati imposti a diverse opere anteriori o posteriori alla creazione dell'A. C;
3) - L’analogia tra le forme imperative di entrambi le attribuzioni di incarico non esclude una sostanziale diversità di poteri conferiti in uno e nell’altro caso. Da Nostro Signore, la Gerarchia ha ricevuto l’incarico di governare. Dalla Gerarchia i laici hanno ricevuto, non funzioni di governo, ma incarichi essenzialmente propri ai sudditi;
4) - Infatti, allegare che il carattere imperativo del mandato ricevuto dai laici comunica a questi una qualsiasi gerarchia è ridicolo, poiché, in questo caso, nessuno potrebbe mai esercitare un'autorità senza implicitamente conferirla al suddito su cui la esercita;
5) - Il potere di governare, che la Gerarchia possiede, proviene da un atto di volontà di Nostro Signore, che avrebbe potuto pure essere dato senza una forma imperativa, a titolo di mera concessione o facoltà di agire; e così si prova che la fonte essenziale dei poteri della Gerarchia non è il carattere imperativo del mandato;
6) - Perciò, la sapienza dei nostri canonisti non ha mai inteso che il mandato imposto ad altre organizzazioni all’infuori dell'A. C., eleverebbe queste organizzazioni dalla condizione di suddito a quella di governo, e non esiste nessuna ragione perché il mandato imposto all'A. C., essenzialmente identico agli altri, avesse questo effetto.
[continua]

(Traduzione a cura di Umberto Braccesi)







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