mercoledì 19 luglio 2017

Tizio, Caio e la "Chiesa-Nuova"

Stralci di un post, oculato e vivace,
che illustra come una minoranza silenziosa (ma numerosa)
sa ormai identificare e sottrarsi a certe metamorfosi  
in cui manovrano gli onnipresenti iniziatori di una "Chiesa-Nuova" (*)


Sto notando, tra i credenti, il diffondersi di un fenomeno nuovo. O, meglio, di una nuova figura. Lo chiamerei il «cattolico errante».

Si tratta di un bravo cattolico, un po’ di tutte le età e le condizioni sociali, che vaga di chiesa in chiesa, di parrocchia in parrocchia. Perché lo fa? Perché, stanco di liturgie sciatte e di chiese brutte, di preti iperattivi o apatici, di parrocchiani sovreccitati o depressi, cerca una chiesa che sia semplicemente normale, con un prete che sia semplicemente prete, una liturgia semplicemente dignitosa, un edificio semplicemente rispettoso del sacro, fedeli semplicemente beneducati.

Il cattolico errante non ha molte pretese. [...] Però è stanco, molto stanco. Non gli va più di convivere con ignoranza e superficialità. Non ne può più di musica per nulla sacra, cori stonati, altoparlanti da discoteca, licenze assurde nella celebrazione. Non sopporta più fedeli chiassosi e sbracati. Non ne può più di chiese orrende, preti che celebrano con le scarpe da ginnastica, tazebao appesi tra una Madonna e un San Giuseppe. Non accetta più di subire omelie irrimediabilmente scontate o troppo immaginifiche. Non gli va più di fare i conti con parroci che sbrigano la messa come fosse una pratica amministrativa o che la trasformano in spettacolo. Ed è anche stanco di essere guardato come un provocatore ogni volta che osa dire come la pensa. Così, si mette in viaggio e diventa un cattolico errante.


Il suo obiettivo è naturalmente quello di tornare a essere un cattolico stanziale, e c’è da dire che spesso ci riesce. Per quanto grami, infatti, questi nostri tempi non sono disperati. Ci sono ancora tanti preti semplici e assennati, alla guida di parrocchie normali nel senso migliore del termine. Ci sono ancora tanti bravi predicatori. C’è ancora attenzione per la coerenza liturgica, per il bel canto, per la musica davvero sacra. Però sono tesori che vanno cercati. E il metodo più utilizzato dal cattolico errante è il passaparola. Come nel seguente esempio di dialogo tra un ex cattolico errante tornato stanziale, che chiameremo Tizio, e un cattolico stanziale che sta per diventare errante, e chiameremo Caio.

Tizio: Ciao Caio!
Caio: Ciao Tizio!

Tizio: Lo sai che ho trovato una bella parrocchia? La Chiesa non è né troppo piccola né troppo grande e l’acustica è perfetta, tanto che non c’è bisogno di altoparlanti. I canti sono stupendi, qualcuno perfino in latino. Niente chitarre, niente tamburi. Pensa che i fedeli, quando entrano ed escono, si inginocchiano! E nessuno si mette a chiacchierare come se si trovasse nella piazza del mercato.
Caio: Ma no? Non ci posso credere!

Tizio: Te l’assicuro, è tutto vero! E il parroco non è un attivista. Niente lotterie, niente viaggi, niente iniziative strane. Non è neanche logorroico. Solo preghiera, adorazione eucaristica e catechismo. E tanta cura per la liturgia. E tante ore trascorse nel confessionale.

Caio: Ma guarda! Sembra impossibile!

Tizio: Anche a me sembrava impossibile. Poi ho trovato questa parrocchia e mi è tornata la voglia di andare in chiesa. E ancora non ti ho detto delle prediche: bellissime! Il parroco non è malato di protagonismo, né monomaniacale. Si limita a commentare il Vangelo del giorno e ogni volta lo fa con semplicità, ma senza diventare banale. E sa farsi ascoltare da tutti, bambini e vecchi, colti e meno colti!

Caio: Dimmi subito dove si trova questa parrocchia!


Ecco, le cose più o meno vanno così. Certo, il traffico un po’ ne risente, perché tutti questi cattolici erranti sono costretti a spostarsi percorrendo molti chilometri. Ma ne vale la pena.

Anche se il cattolico errante spesso non lo sa (perché è una persona semplice, mossa solo dalla sua fede e dal desiderio del bello e del sacro), il «Codice di diritto canonico» sta dalla sua parte. Il Codice infatti riconosce non solo il diritto di ricevere dai pastori l’aiuto derivante dai beni spirituali della Chiesa, specie attraverso la Parola di Dio e i sacramenti, ma anche «il diritto di rendere culto a Dio secondo le disposizioni del proprio rito approvato dai legittimi pastori della Chiesa e di seguire un proprio metodo di vita spirituale, che sia però conforme alla dottrina della Chiesa». Quindi c’è un diritto a evitare le storture, le stranezze e le ambiguità, per non parlare delle vere e proprie profanazioni.

In realtà il Codice dice che le aberrazioni liturgiche vanno anche segnalate e denunciate, e che anzi, per il cattolico, questo è un preciso dovere. Ma il cattolico errante, mosso da pietà, spesso preferisce stendere un velo pietoso e, anziché scrivere al vescovo ed esporre le sue lagnanze, si mette in viaggio.


Il cattolico errante, insomma, non fa che cercare ciò che gli spetta. Lo spiega molto bene anche il liturgista don Nicola Bux in quel prezioso libro che è «Come andare a messa e non perdere la fede», dove ricorda che in tutti i casi in cui la comunità, anziché lodare Dio, celebra sé stessa (per dirla con Joseph Ratzinger), trasforma la liturgia in «una danza vuota intorno al vitello d’oro che siamo noi stessi», occorre reagire.


[...] Vorrei solo sottolineare la verbosità che ha fatto irruzione nella celebrazione della messa. Verbosità vuol dire che si chiacchiera troppo, si prega poco e si adora ancor meno. Don Bux scrive che la messa «non è una conferenza dove devi capire tutto», quindi è inutile che il celebrante si affanni a spiegare ogni cosa, in modo didascalico, quasi desacralizzando la liturgia. «Il linguaggio liturgico non può essere quello quotidiano» e  «comprendere la realtà della liturgia è diverso dal comprendere le parole». Occorre lasciare spazio al mistero e lasciarsi prendere dal mistero.


Un’annotazione va fatta sul ruolo della comunità, del popolo di Dio che partecipa alla messa, ma, attenzione, non è il soggetto della messa. Tanto è vero che il celebrante può benissimo essere da solo e la messa è pienamente valida. Quindi, se va evitato il protagonismo del celebrante, va evitato anche quello dell’assemblea, altrimenti c’è davvero il rischio che l’azione liturgica diventi spettacolo rispetto al quale tutti sono desiderosi di dare un contributo. Partecipare non vuol dire gareggiare nel protagonismo, ma stare al proprio posto, con discrezione. Un malinteso senso della partecipazione porta a coinvolgere il popolo in modo improprio. «Partecipare attivamente significa cooperare intimamente con la grazia di Dio; non è attività esteriore».


Bellissime poi le pagine nelle quali don Bux spiega la necessità e il significato dell’inginocchiarsi. Vangelo e Atti degli apostoli ci dicono che Gesù, Pietro, Paolo e Stefano hanno pregato in ginocchio. «Tutta la creazione piega le ginocchia nel nome di Gesù (cfr Filippesi 2,10), segno della signoria di Dio sul mondo. In tale gesto di verità si inserisce la Chiesa nel glorificare Gesù Cristo» (cfr. Filippesi 2,10). L’inginocchiarsi, il genuflettersi e l’inchinarsi sono atti di culto esterno, certamente, ma anche di fede. Ci aiutano nella preghiera e nell’adorazione.

[...] Come il silenzio, il «sacro silenzio», che è esso stesso preghiera e manifestazione di fede e adorazione. Quel silenzio che oggi è così negletto nelle celebrazioni piene di clamore, nelle quali si arriva perfino all’applauso. Come se l’azione liturgica, al pari di uno spettacolo, dovesse procurare emozioni e non aiutarci a entrare nel mistero permanente di Cristo sulla croce.

Insomma, il cattolico errante ha tutto il diritto di mettersi alla ricerca di liturgie pulite, sobrie, essenziali, belle, efficaci. Ed è comprensibile che, una volta trovato un tesoro così grande, lo voglia condividere.

Aldo Maria Valli

(Blog di Aldo Maria Valli - Luglio 2017 - titolo originale "Il cattolico errante e la ricerca della liturgia perduta")

(I grassetti sono nostri)

(*) Vedi pure:

Comunismo e progressismo verso una Chiesa-Nuova





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